29 luglio 2000 pag.11 "Liberazione"di Salvatore Cannavò
Ma come mai nessuno cerca più i radicali? Va bene che hanno perso le elezioni e dalle splendide vette toccate con le europee del '99 sono ritornati a cifre più consone con le ultime regionali. Va bene che i guai se li vanno a cercare, magari riproponendo per la terza volta un referendum già bocciato e ribocciato. Epperò, ora che il partito transnazionale è minacciato dalla Russia di essere espulso dall'Onu, in cui siede come Organizzazione non governativa, nessuno degli antichi corteggiatori, né il Polo né l'Ulivo, è disposto a tendere una mano, a prendere posizione, a intervenire nelle sedi appropriate. Alle manifestazioni di protesta organizzate in questi giorni si vedono i volti di sempre, l'entourage che da dieci o venti anni si raccoglie attorno al partito di via Torre Argentina. Gli altri, i D'Alema, Berlusconi, Amato, Rutelli, fanno finta di niente e passano oltre. Eppure, il contenzioso con Mosca è di quelli che dovrebbero scatenare gli animi, innalzare i cuori e far vibrare la protesta: la difesa, n
ientemeno, di un popolo inerte massacrato dalle bombe russe. Per un fatterello analogo, poco più di un anno fa, l'intero occidente capitalista, Polo e Ulivo compresi, ha inondato di piombo, missili e uranio, la Jugoslavia di Milosevic, dimostrando che, quando si toccano i diritti delle minoranze etniche, non ci vede più dalla rabbia e dall'indignazione. Logico che i radicali ritenessero normale, e dovuto, portare un esponente ceceno fin dentro il palazzo di Vetro per fargli sporgere denuncia: "Capirai - si saranno detti - Europa e Usa faranno a gara per chi condanna per primo le operazioni militari russe". Invece niente. Putin è stato ricevuto a Okinawa, manco fosse il figliol prodigo, con tanto di vitello (sotto forma di sushi) scannato per festeggiarlo. Nessun biasimo, nessun rimbrotto, nessuna parola fuori posto. Solo elogi e pacche sulla spalla. In realtà i radicali sono stati tratti in inganno non tanto dai cattivi amici, quanto dalle loro scelte politiche. Pensare di condannare la guerra russa in Cecen
ia, dopo aver appoggiato quella del Kosovo, è stato o un abbaglio o un'illusione. Perché entrambe sottendono alla stessa volontà di potenza e di egemonia militare e politica. Entrambe sono state e sono tuttora, per violenza sui civili, arroganza, e necessità di coesione interna agli aggressori, due guerre speculari. E dentro il G8, specularmente, nessuno ha rimproverato alcunché alle scelte dell'altro. Per questo, gli unici che avrebbero potuto offrire solidarietà coerente ai radicali sono coloro che hanno condannato entrambe le guerre, che non hanno avuto dubbi al tempo delle bombe contro Belgrado e che hanno manifestato sotto l'ambasciata russa. Ma su questa solidarietà ha pesato, e pesa, irrimediabilmente tutta la distanza politica e ideale prodotta dagli stessi radicali al tempo della guerra, quando coloro che chiedevano la fine dei bombardamenti erano definiti, con furore ideologico e arroganza bellica, gli "amici assassini " dell'" assassino Milosevic". A ognuno i suoi amici.