La struttura è ospitata all'interno del cortile di una vecchia caserma, in Corso Brunelleschi (angolo via Monginevro). E' formata da tre recinti distinti, cintati con rete dell'altezza di ca. 10-15 metri. All'interno di ciascun recinto sono presenti alcuni containers di ca. 10-15 metri quadrati adibiti a sala dormitorio, muniti di letti a castello e sevizi igienici con doccia, piu' un container adibito a sala mensa fornito di tavoli e panche d'acciaio, lavandino con acqua corrente e televisore con antenna satellitare. I containers appaiono tutti danneggiati all'interno, sono direttamente esposti al sole e alle intemperie e la temperatura interna appare piuttosto elevata, ai limiti della vivibilita', pur in presenza di condizionatori che, ci viene detto, sono periodicamente lesionati dagli internati.
All'interno di ciascun recinto possono essere "alloggiati" al max 18 persone, con una densità abitativa per container di 6-7 persone, per una capienza massima complessiva di 54 persone.
Gli "ospiti" sono divisi tra i recinti essenzialmente in base al sesso e in alcuni casi in base alla nazionalità. Attualmente un recinto è occupato da donne, gli altri due da uomini, per un totale di 53 ospiti. Il centro è gestito dai corpi volontari della CRI (in totale 31 persone distribuite su 4 turni); ad essi si affiancano 20 persone divise su tre turni adibite alla vigilanza (carabinieri, polizia, guardia di finanza) e 3 persone dell'ufficio stranieri adibite all'espletamento delle pratiche amministrative in orario d'ufficio. Da rilevare l'inadeguatezza degli agenti presenti (sette per turno) rispetto al numero degli "ospiti", considerata l'esistenza di un continuo stato di tensione.
Non sono presenti locali adibiti al culto (la ragione addotta è la mancanza di richiesta).
In ciascun recinto sono presenti telefoni pubblici e agli "ospiti" è consentito l'uso dei telefonini.
E'consentito ricevere e trasmettere posta; per quanto riguarda le visite, possono accedere alla struttura solo i "parenti conviventi", gli avvocati, i ministri di culto e le associazioni di volontariato (gli internati hanno sottolineato l'indubbia ristrettezza della categoria "parenti conviventi"). Nessuna associazione di volontariato ha richiesto di poter accedere in modo continuativo alla struttura.
Un container è adibito ad infermeria, con presenza di un medico 24 ore su 24; da rilevare che il luogo è diviso in due ambienti: l'ufficio del medico, dotato di condizionatore; l'infermeria vera e propria, senza condizionatore.
Il medico ha dichiarato che gli "ospiti" con problemi di tossicodipendenza sono trattati prevalentemente con una terapia "sintomatica" di tipo ansiolitico (in pratica sono sedati con tranquillanti, la cui domanda è, peraltro, molto alta da parte della maggioranza degli internati); <> viene praticato il trattamento metadonico, d'intesa col SERT.E' prevista la presenza saltuaria di un ginecologo per le "ospiti" femminili.
Sono forniti tre pasti al giorno e un litro e mezzo di acqua a testa al giorno. Gli ospiti non possono cucinare nulla per proprio conto; addirittura, non possono detenere accendini: per accendere la sigaretta devono chiamare il personale addetto.
I dati ufficiali sulla permanenza media degli ospiti nel centro parlano di circa 5/6 giorni; nei colloqui diretti con gli internati è, tuttavia, parso emergere un dato prossimo almeno ai 20 giorni (ricordiamo che la permanenza massima consentita dalla legge è di 30 giorni); la maggior parte degli ospiti pare non essere a conoscenza dei loro diritti, a partire dalla possibilità di nomina di un difensore; alcuni affermano di essere disponibili ad essere espatriati immediatamente (sarebbero in questo caso inspiegabili le ragioni della permanenza). Gli agenti, a nostra richiesta, hanno affermato che per circa il 70% dei casi la permanenza nella struttura è dovuta alle pratiche di accertamento dell'identità; per il restante 30% la permanenza è da imputare alla difficoltà di reperimento del mezzo di trasporto per il rimpatrio forzato.
Dai colloqui con gli ospiti sono emerse le seguenti lamentele: il cibo non è adeguato alle abitudini alimentari degli internati; impossibilità di lavarsi il vestiario in modo adeguato; ritardi nelle cure mediche. Da sottolineare, ancora una volta, lo stato generale di invivibilità della struttura, acuito dal caldo torrido; evidente la tensione esistente con il personale e l'indisponibilità a qualunque rapporto umano che non sia determinato dai rapporti di forza. Prova evidente di quanto detto: sabato scorso si è verificato un tentativo di fuga culminato nell'incendio parziale di un container.
In tutta Italia sono esistenti sette centri di "permanenza temporanea": Agrigento, Brindisi, Catanzaro, Lecce, Roma, Torino e Trapani.
Sarebbero auspicabili visite di radicali anche negli altri centri, per acquisire una mappa dello stato delle cose simile a quella desunta dalle visite nelle carceri; le notifiche vanno fatte alle locali Prefetture, poiché i centri suddetti ricadono sotto la competenza del Ministero dell'Interno; possono accedere ai centri le stesse cariche istituzionali che possono visitare le carceri.