Arriva a Roma il caso della donna trevigiana lasciata sola dai medici obiettori per un'interruzione terapeutica di gravidanza "A Ca' Foncello in questo modo sono state aggirate le leggi dello Stato"
L'onorevole Vigneri: "Compromesso brutto e penoso per chi lo ha subito"
DA LA TRIBUNA DI TREVISO, domenica 6 agosto 2000
di Antonio Frigo
"La storia raccontata dalla signora Patrizia mi sembra un trionfo dell'ipocrisia e la dimostrazione che la formula compromissoria sulla quale, nel 1978, la Dc tratto' il comma 2 della legge 194, era destinata ad essere un feroce tranello per l'interruzione volontaria di gravidanza".
"L'obiezione di coscienza e' una scelta che riguarda un singolo medico, non puo' riguardare un'intera struttura sanitaria. Non si possono aggirare le leggi dello Stato, non si puo' abbandonare una donna alle proprie sofferenze umiliandola". Parole di Emma Bonino, leader dell'omonima lista rappresentata in Parlamento. A lei la donna trevigiana che ha denunciato di essere stata abbandonata nella sua stanza d'ospedale a Ca' Foncello ad abortire un feto malformato, ha inviato copia dell'esposto presentato alla magistratura. La Bonino e' molto dura nei confronti dell'ospedale trevigiano. Ma allarga la prospettiva: "Quel successo a Treviso non e' un caso isolato, nemmeno nuovo, anche se i termini sono particolari e inquietanti. Quando la legge passo', intere province, specie al Sud, restarono completamente sguarnite di medici che applicassero l'interruzione di gravidanza. Ai pochi che restavano, si aprirono prospettive per niente rosee dal punto di vista professionale: un superlavoro poco gratificante e che impedi
va loro di fare qualsiasi tipo di carriera". Traduzione: fai il lavoro duro anche per chi non e' obiettore e, siccome un buon laureato in ginecologia e ostetricia viene valutato in base ai casi "risolti", resti al palo e macini aborti.
"A Treviso non hanno accettato quella donna in sala parto e in sala operatoria, facendola abortire nel suo letto, perche' altrimenti "avrebbero avuto il dovere di tentare di salvare il nascituro"? Questa e' pura ipocrisia - aggiunge l'ex commissario europeo, che negli anni 60-70 fu presidente dell'Aied e principale fautrice del referendum "stoppato" dalla 194 - Se e' vero cio' che leggo sui giornali, questa donna e' stata ostacolata in vari modi e i tempi del suo ricovero si sono allungati. A quel punto mi pare improbabile che non ci sia stato il modo di farle trovare una soluzione diversa dall'aborto nel letto della camera d'ospedale, in desolata solitudine. Se i medici di Treviso "si sarebbero sentiti in dovere di tentare di salvare la vita del nascituro" in quanto obiettori, potevano cercare una collaborazione esterna. Il fatto e' che, nonostante tutto, questa conquista civile va ad infrangersi contro un sistema cattolico che vuole che si partorisca con dolore e si abortisca con dolore. Una specie di puni
zione. L'Italia e' uno dei quattro soli paesi europei in cui non si puo' prescrivere la pillola del giorno dopo, tanto per dirne un'altra. Il tutto nel quadro di una campagna contro la 194 dai tratti oscurantisti, alimentata soprattutto dalla destra, che rischia di rendere i fatti di Treviso sempre meno infrequenti".
Mentre la signora Patrizia, a scanso d'equivoci, ci tiene a precisare che la sua non e' una crociata generalizzata contro il personale del Ca' Foncello ("Qui ho partorito i miei tre figli, assistita in modo egregio"), l'onorevole Adriana Vigneri, che con le leggi dello Stato ha un rapporto tecnico ravvicinato, dice: "In effetti non si capisce che servizio pubblico possa rendere una struttura che non e' in grado di dare attuazione alle leggi: l'aborto terapeutico e' un diritto e in fatto che non si possa fare in sala parto perche' "in quel caso i medici avrebbero dovuto fare tutto il possibile per far vivere il feto" viene presto contraddetto. Perche' in sala parto no e nel letto d'ospedale si'? Mi pare un'ipocrisia: a quella signora e' stata negata l'urgenza, ma si e' trovata una formula di compromesso, brutto e penoso per chi lo ha subito. Alla luce dei fatti, o la legge viene intesa male e quindi male applicata, oppure e' stato un errore concedere l'obiezione di coscienza. Viene da pensare che sia l'ospeda
le di Treviso ad avere male interpretato la legge".
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L'USL REPLICA
Simini: "Procedure standard per un aborto"
"Noi risponderemo alla magistratura, se e quando ci interroghera'". Risponde cosi' il direttore sanitario Giuseppe Simini, alle domande sullo stato dell'indagine interna promossa dall'Usl di Treviso sulle modalita' dell'aborto subito all'ospedale Ca' Foncello di Treviso da una donna, madre di tre figli, che si e' poi rivolta alla magistratura. La vicenda, insomma, prende connotati sempre piu' consistenti e la polemica susseguente all'esposto fatto dalla signora Patrizia alla magistratura ordinaria si fa incandescente.
"Le procedure seguite - ha detto il direttore sanitario, rispondendo alle accuse riportate per la prima volta dalla Tribuna - sono quelle standard".
Per Simini, "la signora ha proceduto alla pratica abortiva come normalmente succede: il personale si e' adoperato per la sua salute, non per quella del feto. Bisogna ricordare che si trattava di un aborto e non di un parto".
In merito alle dichiarazioni della denunciante, secondo la quale e' passato un quarto d'ora prima che fosse tagliato il cordone ombelicale che ancora la legava alla creatura destinata a morire, Simini ha detto che "mancavano alcuni protagonisti del fatto, dobbiamo ancora verificare i tempi".
"Una volta avvenuta l'espulsione del feto - ha pero' ricostruito il direttore sanitario - la signora e' stata accompagnata in sala operatoria per una revisione di cavita', ossia un raschiamento".
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TREVISO, ODERZO E MOTTA
Una volta alla settimana, 300 interruzioni all'anno
Sara Salin
Negli ospedali dell'Usl 9 le interruzioni volontarie di gravidanza vengono praticate un solo giorno la settimana. Il giorno scelto e' il lunedi'.
Le strutture sanitarie dell'azienda diretta da Domenico Stellini hanno dovuto far fronte ad un problema di non poco conto: tutto il personale medico in servizio nel reparto di Ostetricia e Ginecologia e' infatti obiettore di coscienza: una possibilita' prevista dall'articolo 9 della 194, previa dichiarazione.
L'obiezione di coscienza esonera il personale sanitario dall'intervenire direttamente nella determinazione dell'interruzione volontaria di gravidanza, ma non dall'assistenza antecedente e conseguente l'intervento.
Dal momento in cui, comunque, la legge c'e', e deve essere applicata dalla struttura pubblica, la direzione sanitaria trevigiana si e' dovuta attrezzare: e' stata percio' stipulata una convenzione con un medico esterno, che ogni settimana si trasferisce a Treviso per far fronte alle richieste.
Nel caso di aborto volontario oltre i novanta giorni, la struttura sceglie di riservare alla donna una stanza separata, con la possibilita' di presenza di un familiare: a tutti gli effetti si tratta di un mini-parto e si preferisce non tenere la donna a contatto con le altre pazienti in sala travaglio o in sala parto. Una volta eseguita l'interruzione volontaria di gravidanza, la donna verra' trasferita in camera con le altre pazienti.
Negli anni il numero delle Ivg (entro i primi novanta giorni dal concepimento) e' andato a mano a mano aumentando. Dal 1989 al 1994 gli aborti venivano praticati solo al Ca' Foncello. Dal 1995 in avanti, invece, la pratica e' stata introdotta anche negli ospedali di Motta e Oderzo. La media e' di circa 300 interruzioni di gravidanza ogni anno. Nel solo capoluogo e' di circa 160 aborti l'anno.
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Usl 7. Interventi in aumento a Conegliano e Vittorio Veneto
Obiettori sei medici su otto
f.a.
Interruzione volontaria di gravidanza nell'Usl 7: sei medici su otto sono obiettori di coscienza all'ospedale Santa Maria dei Battuti di Conegliano e l'identico dato, sei su otto, vale anche per Costa a Vittorio Veneto. "Non abbiamo mai avuto problemi disorganizzativi con donne che avevano chiesto l'Ivg - spiega il dottor Mario Secolo, direttore sanitario - le interruzioni vengono eseguite regolarmente nei due presidi, con programmazioni precise. Assolutamente impossibile che le pazienti rimangano prive di un'assistenza adeguata". E nell'Usl 7 le interruzioni di gravidanza sono aumentate negli ultimi anni. Erano 401 nel 1997, sono salite a 420 nel 1998 e a 498 nel 1999 (267 a Conegliano e 231 a Vittorio Veneto). L'aumento a Costa e' del 19,1 per cento e a Conegliano del 18,1 per cento. Nell'ultimo anno sono aumentate le Ivg soprattutto da parte di donne tra i 25 e i 29 anni (17 in piu' rispetto al 1998) e tra i 35 e i 39 anni (16 in piu'). I dati di quest'anno sembrano confermare il trend in aumento, con 53
Ivg gia' eseguite fino al 15 marzo. E' una tendenza opposta rispetto all'andamento nazionale, in parte spiegabile con un sensibile aumento delle Ivg da parte di giovani immigrate extracomunitarie residenti nell'Usl 7.
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Usl 8. A Castelfranco e Montebelluna in dieci favorevoli
Due ospedali, due posizioni
e.f.
Nell'Usl 8 gli obiettori sono 10, contro 8 non obiettori. A Ginecologia di Castelfranco prevalgono i non obiettori, in quella di Montebelluna e' il contrario. A Castelfranco infatti 3 sono gli obiettori e 6 i non obiettori, a Montebelluna gli obiettori sono 7 e i non obiettori 2. "Ma non ci sono mai stati problemi perche' sono solo due i non obiettori - precisano a Montebelluna - Il non obiettore firma le carte, ma tutti sono pronti a dare la loro assistenza". Entrambi i primari sono obiettori. L'istituto dell'obiezione vige anche tra gli anestesisti e le strumentiste. Tutti gli anestesisti dell'Ulss 8, invece, sono obiettori e quindi, quando c'e' da fare un'interruzione volontaria di gravidanza, viene chiamato un anestesista esterno.
Le strumentiste, una decina per reparto, si equivalgono per numero tra obiettrici e non obiettrici. Visti gli orari delle interruzuioni di gravidanza, le strumentiste avevano chiesto il pagamento degli straordinari e come forma di pressione si erano dichiarate tutte obiettrici. Ora la questione e' stata risolta e parte delle strumentiste di Castelfranco sono ridiventate non obiettrici.
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LE REAZIONI
"Forse e' solo un equivoco ma ci voleva piu' umanita'"
s.s.
Ha lavorato per quarant'anni nel reparto di Ostetricia e Ginecologia dell'ospedale Umberto I di Mestre. Il dottor Terzio Luppari oggi e' in pensione ed e' consigliere comunale di Forza Italia a Venezia, ma la professione e' rimasta nel suo cuore.
"Sono un obiettore, ma comunque la si pensi questa e' una legge dello Stato e gli ospedali devono provvedere. In una vicenda come questa - afferma Luppari - metto sempre il dubbio davanti a tutto e mi chiedo se per caso la struttura non abbia voluto porre la paziente in una situazione di vantaggio personale, per non dover affrontare il disagio di trovarsi assieme a donne felici perche' in procinto di avere un figlio. Mi auguro quindi che non si sia trattato di cattiva volonta' da parte dei medici, ma di errata interpretazione della volonta' stessa".
Il medico spiega anche che gli ospedali, qualora non abbiano a disposizione un medico non obiettore, possono scegliere di inviare la paziente che vuole interrompere la gravidanza in un'altra struttura sanitaria. "La legge lo prevede ed e' una buona soluzione", dice Luppari.
Su una cosa, comunque, il ginecologo non transige: "La signora ha subi'to un mini-parto a tutti gli effetti e avrebbe potuto trovarsi in una situazione di emergenza, ad esempio in uno stato di emorraggia e la presenza di un medico in questo caso diventa doverosa. Mi auguro, quindi, che la signora sia stata sottoposta ad un monitoraggio della situazione, perche' il soccorso va prestato".
Luppari non ha dubbi: "Sono un obiettore, ma non ho mai schifato le donne che abortiscono: hanno le loro motivazioni e vanno rispettate".
E sul fatto che la direzione sanitaria di Treviso affermi che comunque la paziente non e' stata lasciata sola, perche' le e' stata concessa la presenza di un familiare, il medico di Mestre spiega che "non e' questa la persona piu' valida", che "sarebbe piu' opportuno un vero supporto psicologico" e che comunque "una figura sanitaria in quel momento ci deve essere".
"Forse qualcuno - conclude Terzio Lippari - doveva essere un tantino piu' umano, pur pensandola in un modo diverso".
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Bimbi: "L'obiezione e' un diritto del medico, non dell'ospedale"
s.s.
"L'obiezione di coscienza e' un diritto. Ma e' un diritto del singolo medico, non della struttura sanitaria nel suo complesso".
Ad affermarlo e' Franca Bimbi, docente di Politica sociale all'Universita' di Padova. La Bimbi e' anche delegata del rettore per le pari opportunita'.
"Siamo di fronte ad un problema che innanzitutto riguarda il diritto all'informazione. Se la signora fosse stata correttamente informata rispetto a quello che le sarebbe stato riservato, probabilmente non avrebbe accettato la situazione. Purtroppo - sostiene la sociologa - questo diritto nei nostri ospedali non c'e'".
E cita l'esempio degli Stati Uniti. Un esempio che potrebbe benissimo essere allargato anche ad altri paesi dell'Unione Europea: "Li', quando si entra in un ospedale, la prima cosa che fanno e' riferirti se quel tipo di intervento di cui necessiti si fa oppure no. Mi chiedo come sia possibile ricoverare qualcuno pur sapendo di non avere medici disponibili per quel tipo di intervento".
In ogni caso, Franca Bimbi ritiene che la struttura sanitaria e' tenuta a rispondere alle richieste del cittadino: "Che si tratti di un intervento di routine o di un'emergenza, di un appendicite o di un aborto, la struttura deve sempre far fronte all'evento. L'intervento e' un atto dovuto".
Chiarito questo, la docente padovana affronta la seconda questione. La piu' spinosa, chiaramente: "Quella signora e' stata lasciata sola".
La Bimbi non ha dubbi in proposito: "Se fosse capitato a me di essere ricoverata e di essere lasciata senza assistenza sanitaria, mi sarei immediatamente rivolta ad un avvocato, perche' l'assistenza e' un punto assolutamente essenziale".
Ed e' quello che Patrizia ha fatto, denunciando il personale del reparto di Ca' Foncello alla Procura della Repubblica.
"Pero' - tiene a specificare la Bimbi - con questo non voglio assolutamente mettere in discussione il diritto dei medici all'obiezione di coscienza. Qui il fatto e' proprio un altro: e' mancata l'assistenza sanitaria adeguata".
La rappresentante per le pari opportunita' dell'Universita' patavina, infine, si chiede se quell'intervento fosse cosi' urgente da dover essere effettuato per forza in determinate condizioni.