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Conferenza Rivoluzione liberale
Poretti Donatella - 6 agosto 2000
"L'ITALIA E' FINITA, SCELGO IL SILENZIO"
Una lettera dell'ambasciatore medaglia d'oro

Edgardo Sogno

pag. 32, IL GIORNALE 23 marzo 1999

Caro direttore,

non credo ti sfugga quanto mi sia diventato sempre piu' difficile scrivere su queste pagine che pure, nell'attuale situazione della stampa italiana rappresentano la voce piu' libera e piu' vicina al mio modo di pensare. Pur nell'affrontare questioni contingenti non sopporto l'idea di lasciar supporre ai lettori il mio benche' minimo accordo sulle questioni di fondo del governo e del Paese, quando da decenni ormai la mia opposizione all'ordinamento politico in cui viviamo e' totale e radicale. Consentimi dunque di manifestare sul tuo giornale tutto il mio pensiero con questo ultimo scritto che, quasi testamento politico, prelude a un deliberato e ritengo necessario silenzio.

Tra Giovanni Spadolini e me dopo lunghi anni in cui non andammo mai al di la' dei rapporti ufficiali, avvenne uno scontro-incontro molto personale cui devo un fascio di luce sulla ripida discesa in cui sta precipitando l'Italia. Qualche tempo fa nell'approssimarsi del cinquantennio della guerra di Liberazione, non riuscivo a controllare la mia rabbia prevedendo che la vulgata governativa avrebbe collocato fra gli altri al centro delle celebrazioni tre feticci estranei alla lotta resistenziale come Bobbio, Taviani e Spadolini. Non c'era che Vittorio Feltri capace di pubblicare sull'Indipendente un editoriale violento come quello che scrissi contro quella triade di intrusi. Conoscendo il danno del compromesso storico, a Spadolini in particolare rimproveravo la sottomissione e l'omaggio di un cultore dei valori risorgimentali a Nilde Iotti, indegna presidente del nostro massimo organo rappresentativo. Fu soprattutto per questo alto tradimento della storia e della sacralita' risorgimentale, di cui lo consideravo

responsabile, che gli rinfacciai impietosamente l'errore giovanile, per lui assai piu' bruciante, di aver militato nell'altro campo quando noi si combatteva contro la Germania hitleriana. Tanto ne fu ferito che chiese al comune amico Renzo De Felice di organizzare un incontro conviviale per una spiegazione e rappacificazione a cui non potevo sottrarmi. Unitamente a molte carte mi dono' e dedico' in quell'occasione il suo monumentale volumeappena uscito da Longanesi su Gli uomini che fecero l'Italia, dopo aver constatato che l'aveva concluso con i profili di Amendola, Einaudi e Sturzo, non mi trattenni dal dirgli che occorreva ormai scrivere un secondo volume su "gli uomini che disfecero l'Italia". Ecco, dissi, proprio gli uomini che non erano soltanto da descrivere ma, secondo l'esempio della Cecoslovacchia, da escludere dalla scena politica nazionale.

Solo una piccola parte degli intellettuali e dei politici italiani stava aprendo gli occhi sul disastro, ad ogni passo deviati e paralizzati dal puntare non sempre disinteressato su svolte ingannevoli e riprese inesitistenti. Avevo dato tutto il mio appoggio a iniziative politiche di tendenziale rottura, quale quella di Randolfo Pacciardi, quella di Francesco Cossiga e quella di Bettino Craxi, soprattutto perche' miranti alla sconfitta del nemico principale di ogni futuro morale, sociale, politico ed economico della nazione, la parte della Sinistra laica e cattolica gidata dalla ex nomenclatura marxista-leninista. Fin dagli Sessanta avevo constatato, detto e scritto che il nostro sistema politico era finito in un vicolo cieco e che volerne uscire senza cercare una via diversa da quella costituzionale portava a rompersi inutilmente la testa contro un muro. Qualche tempo dopo (1974) in un articolo sull'organo ufficiale della gioventu' liberale italiana avevo esortato i giovani del Pli a quella rivoluzione libe

rale, liberista e libertaria che oggi e' stata invocata dai radicali di Pannella e di Emma Bonino. Negli stessi anni avevo pronosticato l'evolversi verso il collasso della nostra crisi economica e finanziaria sottolineando che sarebbe stato in ogni modo impossibile far fronte alle incognite e agli imprevisti esterni senza un rafforzamento dell'esecutivo. Nella cronaca di ogni giorno vi e' pur stato chi ha rivolto pubblicamente alla classe politica, ai maggiori responsabili del potere le accuse piu' scottanti e gli insulti piu' sanguinosi (Pannella, Sgarbi), chi ha detto (cito testualmente) che l'Italia e' morta, il Risorgimento tradito, la nostra societa' invertebrata, la transizione interminabile, l'esecutivo impotente, il legislativo esautorato, il giudiziario prevaricatore, il caos politico imperante, il disfacimento e la frantumazione dilaganti (Ferrara, Galli della Loggia, Mathieu, Matteucci, Montanelli, Romano, Rusconi), ed anche chi ha parlato o parla della necessita' di uno scossone, uno strappo, una

Grande Riforma, una rottura costituzionale, una rivoluzione liberale (Pacciardi, Miglio, Craxi, Cossiga, Emma Bonino). Tutti concordi nella diagnosi, ma poi invariabilmente esitanti o fallimentari nell'azione. In Italia sarebbe dunque quasi totalmente estinta quella razza di politici che si batteva, poco importa se a destra o a sinistra, nella convinzione che la propria visione fosse quella migliore per la collettivita' nazionale lasciando in mano tutta la vita politica agli attuali protagonisti che si battono sia a destra che a sinistra, per conquistare, riconquistare o conservare il potere al solo scopo di poterlo esercitare a vantaggio proprio e dei propri clientes? Le proiezioni sui dati correnti ci dicono che fra vent'anni lo Stato italiano dalla quinta posizione nella classifica mondiale dei Paesi industrialmente sviluppati passera' al ventiduesimo posto. Crollo storico irreversibile e ricaduta nella condizione prerisorgimentaledi espressione geografica accompagnata da un proporzionale deterioramento

delle condizioni economiche, culturali, sociali, compresa la capacita' di difesa degli interessi dell'area nella competizione con le comunita' organizzate dell'Europa e del mondo. A differenza di cio' che sara' avvenuto per i maggiori popoli europei che in qualsiasi formula di unione conserveranno un'identita' e uno stato, la cancellazione della nostra unita' e solidarieta' nazionale, suonera' la campana a morto per tutte quelle istanze che la variegata coalizione delle sinistre politiche ha cercato di difendere e lasciato sperare.

Dopo aver buttato o logorato tutti i congegni istituzionali, giuridici e storici che il Risorgimento aveva raccolto per dotarci di coscienza e vertebre di nazione europea,dopo aver affidato il destino di questo popolo a maggioranze politiche totalmente estranee a quelle che ne avevano ideato e guidato la rinascita, come sola risposta canteremo in qualche stadio o su qualche palco sportivo quella strofetta dell'inno nazionale che dice: "Noi siamo da secoli calpesti e derisi perche' non siam popolo, perche' siam divisi"?

Chi puo' ancora stupirsi se a questo punto c'e' chi pensa che lo Stato unitario sorto come grande progetto del Risorgimento si vada dissolvendo come l'ultimo sogno felice che le popolazioni della penisola siano riuscite a tradurre in realta'? L'arco lungo della mia vitami ha consentito di sentire e di ricordare, malgrado le insofferenze per un regime che avversavo, l'orgoglio della mia nazionalita' italiana, il desiderio di difenderne la dignita' e i valori, la consapevolezza della necessita' di una sua presenza nel Mediterraneo e nel mondo. Le mie esperienze esistenziali mi hanno anche consentito di apprendere dalla viva voce dei miei maggiori maestri di liberta' e democrazia, Benedetto Croce, Luigi Einaudi, Carlo Sforza, Giuseppe Saragat, che esistono valori di fondo della nostra civilta' la cui difesa non conosce regole e non consente compromessi. E chi mai potrebbe negarlo di fronte alle centinaia di migliaia dei nostri migliori concittadini che hanno dato il massimo di se stessi, la loro vita sul campo,

per questi valori e ideali e non certo perche' costretti dal servaggio politico, dallo sfruttamento della borghesia o dal fanatismo totalitario?

Non si puo' rimanere impassibili di fronte a questo nuovo grido di dolore che sale da ogni parte d'Italia. Non si puo' tacere, fosse anche la mia l'ultima delle voci risonanti in un deserto, che il patto costituzionale ci obbliga ad accettare regole democratiche e risultati elettorali, di fronte alla distruzione ormai accertata del nostro contesto sociale e delle nostre istituzioni nazionali, e' definitivamente infranto e invalidato. Come per un drogato che aspetta inebetito la fine inflittagli dall'overdose, non ci resta che il soccorso straordinario dell'ultimo minuto, non ci resta che il miracolo imprevisto che passa necessariamente attraverso la rottura traumatica dei lacci che ci soffocano e la disintossicazione violentemente imposta dai veleni che ci hanno paralizzato. L'unica alternativa e' la morte e nell'attesa scelgo il silenzio.

 
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