Torino, 15 agosto 2000
Questa mattina i consiglieri regionali radicali Bruno Mellano e Carmelo Palma hanno visitato il carcere minorile Ferrante Aporti di Torino.
Dichiarazione di Mellano e Palma:
'Negli scorsi mesi abbiamo visitato gli istituti di pena piemontesi 'per adulti', e abbiamo denunciato una situazione di evidente, e per certi versi clamorosa, illegalità; oggi, il Ferrante Aporti di Torino ci ha mostrato l'altra faccia- sicuramente più umana e dignitosa, ma non per questo più ragionevole e, soprattutto, 'costituzionale'- del sistema penitenziario italiano.
Del Ferrante Aporti- per come ci è stato mostrato e raccontato- possiamo dire che non sembra una struttura di 'afflizione' gratuita e immotivata. Non ci sono evidenti problemi di spazi, igiene e sicurezza 'ambientale'. Non ci sono i macroscopici problemi di personale e di organizzazione interna che rendono invivibili e insicuri gli istituti di pena per adulti. Esiste una attività 'trattamentale' strutturata e coerente, che coinvolge la quasi totalità dei detenuti. Esiste un grado di consapevolezza e di attenzione del personale interno sicuramente non comune.
Come carcere, sembra funzionare, ma è assai dubbio- per come è, e per come le leggi impongono il carcere sia e funzioni- che possa in qualche modo servire a realizzare processi di reale integrazione legale della popolazione detenuta. Sul carcere minorile- più che sulle altre strutture carcerarie- si pagano i prezzi altissimi di una politica per la sicurezza astratta e propagandistica, inutilmente repressiva e crudelmente inefficace. Il carcere minorile, oggi, non recupera. Sono altissimi i livelli di recidiva. Sono altissimi- intorno all'80%- i tassi di 'evasione' dei detenuti affidati alle strutture comunitarie alternative al carcere. Perché?
A spiegarlo, basta qualche numero. Al Ferrante Aporti sono ospitate 27 persone; 4 italiani, e 23 stranieri, per la stragrande maggioranza immigrati illegalmente. La maggior parte dei detenuti ha dunque dinanzi a sé una prospettiva segnata: quella dell'espulsione al compimento della maggiore età e comunque al termine della pena. Con quali incentivi, con quali prospettive positive, in una situazione di questo tipo, è possibile immaginare percorsi di reale integrazione socioeconomica? Quale grado di collaborazione- malgrado gli sforzi e lo zelo degli operatori- è possibile conquistare da persone che sono in qualche modo obbligate alla 'fuga' per evitare una sanzione ancora più grave, a volte, di quella reclusiva, come è quella dell'espulsione? Per quale ragione un detenuto minorenne- molto spesso obbligato a delinquere dalle violenze degli adulti- dovrebbe imparare a comportarsi diversamente se, 'in nome della legge' continuerà ad essere inchiodato allo status di clandestino?
Sarebbe il caso che i professionisti del quotidiano blablabla sulla sicurezza, iniziassero a tenere il conto dei disastrosi paradossi della politica del pugno di ferro.'