Il Sole-24 Ore
27 agosto 2000
di Cinzia Caporale
La Relazione del Gruppo di Esperti nominato dal Governo britannico avrebbe meritato una lettura più attenta e una valutazione razionale. La redazione del documento non giunge inaspettatamente, ma è l'esito dell'esame di centinaia di pareri di comitati istituzionali e privati, e di dieci anni di esperienza nel campo della sperimentazione su embrioni il cui utilizzo a scopo di ricerca era già ammessa, insieme alla loro creazione ad hoc, dallo Human Fertilisation and Embriology Act (1990) al fine di studiare problematiche biomediche riproduttive. La proposta britannica mira semplicemente ad estendere l'autorizzazione anche ad altri settori di ricerca (cellule staminali embrionali), e si riferisce esclusivamente alla ricerca fondamentale escludendo ogni possibilità di applicazione diretta dei risultati. La clonazione umana è rigettata con forza in più punti. Il testo affronta anche l'argomento retorico del "piano inclinato" - per il quale una volta intrapreso il primo passo di un percorso non è più possibile non
arrivare alle estreme conseguenze-, concludendo che la limpidezza della posizione contraria alla clonazione e l'efficacia dei controlli rendono irrealistica ogni eventualità. Sono viceversa consentite, ove scientificamente inevitabili, le tecniche di trasferimento nucleare (da taluni definite "clonazione terapeutica") che peraltro non risultano proibite, sempre a scopo di ricerca, né dalla Dichiarazione sul Genoma Umano dell'Unesco, né dalla Convenzione sulla Biomedicina del Consiglio d'Europa, e neppure dalla Carta dei Diritti europea in elaborazione. L'impianto concettuale della Relazione parte dal presupposto che non esiste e non può esistere univocità sul valore da at-tribuire all'embrione nei suoi stadi precoci di sviluppo, che migliaia di embrioni creati in vitro come rimedio per la sterilità sono crioconservati e destinati ad essere distrutti, che gli studi su modelli animali o su cellule staminali dell'adulto (l'italianissima "terza via") con "certezza" non potranno fornire risposte comparabili a qu
elle che potenzialmente si attendono dalle cellule staminali embrionali e dalle tecniche di trasferimento nucleare, che attraverso l'uso di cellule embrionali pluripotenti si intravedono straordinarie opportunità terapeutiche per malattie epidemiologicamente rilevanti, gravissime e oggi incurabili. Su queste basi, gli esperti concludono che la posta in gioco, in termini di conoscenza e applicazione terapeutica, è talmente elevata da giustificare "in via transitoria" l'impiego di embrioni e la loro creazione anche per mezzo delle tecniche di trasferimento nucleare. Ed è forse sul termine "transitorio", che dimostra un'assai responsabile e dignitosa "umiltà" scientifica e morale, che ci si sarebbe dovuti soffermare. Se è vero, infatti, come dice Popper, che "la ricerca non ha mai fine" e che non esistono teorie definitive, è altrettanto vero che non hanno mai fine i tentativi di dare un significato etico alla scienza e alle sue applicazioni.
L'appello degli esperti britannici perché si incoraggino progetti di ricerca in questo settore è rivolto a centri pubblici ma anche privati. Da oltreoceano si risponde con la decisione di far cadere la barriera del non utilizzo di fondi federali per la ricerca condotta su embrioni (quella privata era già sostanzialmente libera). Pur con alcune differenze - è esclusa la clonazione a scopo terapeutico-, la scelta di Clinton ha il pregio di ricoinvolgere in una ricerca così sensibile anche la dimensione pubblica, che assicurerà un pluralismo scientifico e quindi una maggiore e proficua competizione, ma soprattutto, in un campo così incerto, garantirà l'effettiva fondatezza dei risultati ottenuti. Costituirà, insomma, una sorta di punto di riferimento per una collettività disorientata ma che ha forse anche eccessive aspettative. A fronte di una straordinaria capacità, tutta anglosassone, di "governo" della rivoluzione genetica, l'Italia presenta una gestione politica strumentale, un Comitato nazionale per la Bio
etica non in grado di produrre una sintesi efficace, e una comunità scientifica troppo silenziosa. Il ricorso a una qualche forma di consultazione popolare sembra l'unica ipotesi realmente auspicabile.