di Piero CraveriSabato 26 Agosto 2000, IL SOLE 24 ORE commenti e inchieste
Non si intende perche' si voglia tornare a fare del Risorgimento - su cui ci sono molti eccellenti libri di storia, niente affatto celebrativi, ma improntati a metodo critico, molti dei quali sono di storici cattolici - un tema di rottura, quando tutto cio' sembrava del tutto superato da un cinquantennio, e di conseguenza negare il contributo cattolico alla nostra storia nazionale unitaria, che forse e' opportuno rievocare con tutti i suoi chiaroscuri.
Cesare Balbo, scrivendo a un amico, nel lasciare Torino, lo pregava di salutare "almeno da lungi, quella maestosa, altera croce che sovrasta ai colli circostanti, ed a pie' della quale appoggiato io mi doleva sovente che la pianura sottoposta ai miei sguardi avesse nome Italia". Era il 1815 e nei vent'anni successivi, da quei sentimenti, cattolici e nazionali, si sarebbe sviluppato il neoguelfismo, che diede la linfa decisiva al Risorgimento, allineando al suo programma di indipendenza gran parte del ceto moderato italiano. Ma l'idea federalista, propria del neoguelfismo, naufrago' alla prima grande prova, nel 1848, quando Pio IX, che l'aveva promossa e ne era divenuto il simbolo, si ritiro' da quella prima alleanza italiana contro lo straniero.
Il Risorgimento, che era stato nella sua genesi, per una larga sua parte, cosi' profondamente cattolico, dovette, nel decennio successivo, quello del compimento dell'Unita', volgersi contro la Chiesa e contro l'Impero austroungarico. I neoguelfi si fecero cattolici-liberali e grande fu il loro travaglio, perche' la frattura tra la Chiesa e il nuovo Stato unitario rimase a lungo profonda. E da questa frattura storica prevalse anche nella classe dirigente un'inclinazione anticlericale, un laicismo che si faceva laicista, che fu necessariamente uno dei limiti originari del liberalismo italiano, non vivificato da un intrinseco rapporto con la religione cristiana, come lo troviamo nel mondo anglosassone.
E questa resto' a lungo l'anomalia storica italiana, l'unica grande nazione europea a costituirsi in Stato unitario contro la Chiesa, che raccoglieva i sentimenti religiosi della maggioranza del suo popolo. E cio' fu possibile, pote' reggere per un lungo tratto della nostra storia, perche' il Risorgimento non fu solo indipendenza dallo straniero, ma fu il primo decisivo processo di modernizzazione del Paese, il superamento di un ritardo secolare e l'adeguamento dinamico al progresso civile ed economico dell'Europa. E di questa necessita' incomincio' a farsi interprete anche un pontefice, Leone XIII. E se la sua dottrina sociale aveva ancora una valenza di opposizione contro lo Stato unitario, era tuttavia la presa d'atto dei mutamenti epocali che nell'ultimo scorcio del secolo XIX caratterizzavano l'Italia e l'Europa. Dall'insegnamento leonino si sviluppo' il popolarismo, che con Sturzo ebbe un assertore della laicita' dello Stato, in cui voleva realizzare una piu' ampia liberta' dei cattolici nella scuola,
nell'assistenza, nella prassi sociale.
Il concordato del 1929 segna formalmente la fine della frattura tra Stato e Chiesa. Ma nella sostanza fu il secondo dopoguerra a colmarla definitivamente. Fu un partito cattolico a raccogliere maggioritariamente, sia l'eredita' moderata, sia quella progressista dell'Italia prefascista e ad accompagnare il Paese verso nuovi traguardi. E fu uno statista cattolico, Alcide De Gasperi, a restituire all'Italia quella dignita' e quel ruolo internazionale, con un'opera seconda solo a quella del conte Camillo Benso di Cavour.
E accompagna il lento colmarsi di questa frattura della nostra storia nazionale una rinascita spirituale ed ecumenica della Chiesa cattolica (che trasse grande giovamento, come molti cattolici riconobbero, dall'avvenuta fine del suo governo temporale), dal pontificato di Pio XII a quello di Giovanni Paolo II, fino ad affrontare i problemi di oggi, senza postulare ritorni al passato, guardando positivamente al processo di internazionalizzazione che si e' prodotto negli ultimi decenni, originato principalmente dalla vittoria del liberalismo anglosassone di contro i terribili "ismi" che hanno caratterizzato il Novecento, a cui la Chiesa ha negli ultimi cinquant'anni contribuito portando un suo altro diverso lievito religioso e culturale.
Siamo nuovamente in presenza di una profonda frattura della Chiesa cattolica con il mondo contemporaneo? Non crediamo. La Chiesa tiene fermi i suoi principi anche in cio' che contrasta alcuni aspetti della modernita'. Ma questa suo posizione non si pone in contrasto con quella che e' la presente civilta' dell'Occidente. Vuole essere piuttosto un richiamo alle sue piu' profonde radici etiche e religiose. Un richiamo, che non ascoltato, non elaborato, costituisce oggi la debolezza maggiore del pensiero laico.
Tuttavia, credo, nessun laico, che abbia senno, pretenderebbe oggi di restituire al 20 settembre (la breccia di Porta Pia) la dignita' di festa nazionale. Perche' di contro, come vediamo nella mostra sul Risorgimento, allestita a Rimini da Comunione e liberazione, tornare a esaltare la barbarie della Santa Fede del cardinal Ruffo, il brigantaggio borbonico, riabbracciare il Sillabo di Pio IX, simbolo di un momento di rottura della Chiesa con il mondo circostante, denigrare gli antenati di una storia ormai riconciliata? Davvero non s'intende, tanto piu' che non pare un "clericalismo", di cui, come dell'"anticlericalismo", non vi sono piu' le premesse, ma potrebbe interpretarsi come un nuovo inquietante "fondamentalismo".