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Conferenza Rivoluzione liberale
Vecellio Valter - 14 settembre 2000
STORIE DI ORDINARIA GIUSTIZIA

Il signor Sergio Attolini lavorava come architetto capo al Comune di Brindisi. Un professionista come ce ne sono tanti, non fosse per un aspetto che lo rende, probabilmente, unico: è stato inquisito e processato trentasei volte; e trentasei volte è stato assolto. Per la trentasettesima, bisognerà attendere a metà novembre. Le incriminazioni di volta in volta parlavano d'abuso d'ufficio o di potere; per questo ha dovuto patire un migliaio di giorni agli arresti: parte in cella, parte ai domiciliari. Altro curioso particolare: se l'imputato era sempre lo stesso, anche il magistrato che apriva i fascicoli e i procedimenti, era sempre lo stesso. "I miei guai", racconta Attolini, "cono cominciati nel 1993. Inizialmente l'accusa è abuso di potere, omissione d'atti d'ufficio, poi la tentata corruzione. Quattro volte mi hanno sbattuto dentro". Prima sono stati 17 giorni; una sorta di "antipasto", visto che poi è arrivato un ordine d'arresto durato sei mesi; accompagnato dalla sospensione per cinque anni dall'uffi

cio.

Un inferno. Attolini, la moglie e i tre figli per tirare avanti sono stati costretti a svendere le proprietà di famiglia. Per le spese legali è andata meglio: il fratello è avvocato, non ha voluto una lira.

Se da Brindisi ci si sposta a Fasano, ci s'imbatte in un'altra sconcertante vicenda: il sindaco della città, Sante Nardelli ha subito ventun processi; conclusi tutti con assoluzione. "Diversi procedimenti", dice Nardelli, "li ha avviati quello stesso pubblico ministero che si è occupato dell'architetto Attolini. Mi sono fatto 17 giorni agli arresti, e dopo gli accertamenti patrimoniali, sono stato prosciolto. Pensate che mi contestarono addirittura la tentata concussione per aver sollecitato l'assunzione di un dipendente che non è mai avvenuta".

Lelio Luttazzi, l'indimenticabile animatore di Hit Parade che si vide stroncata la carriera a causa di una falsa accusa che lo portò ingiustamente in carcere, rivivendo quello che aveva dovuto subire e patire quando scoppiò il caso Tortora, spezzò il riserbo che si era imposto: "Una volta passato il Castello Kafkiano della Giustizia", scrisse, "si diventa pavidi e vili La responsabilizzazione dei P.M.: affermano che è impensabile, perché li paralizzerebbe. Allora propongo: che il Consiglio Superiore della Magistratura faccia un controllo annuale, biennale o triennale sulle schede di tutti i P.M.; quelli i cui imputati, dimessi perché assolti dopo un'ingiusta carcerazione, superano un prestabilito tetto numerico, vadano al Civile, fuori dalle scatole!".

Era, a ben vedere, una proposta estremamente ragionevole. Per questo, naturalmente, è caduta nel vuoto.

 
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