Ricorderete la vicenda avvenuta in Wyoming. Un ragazzo barbaramente ucciso perche' omosessuale da altri due ragazzi. Quella volta si pose il problema di ritenere questo crimine un crimine cosiddetto efferato in gergo penale. Crimini che in alcuni Stati americani comportano l'applicazione della pena di morte. Quel crimine era sicuramente efferato e sicuramente andava applicata un'aggravante nel giudicare i due imputati. Ma per molti, anche per molte organizzazioni di omosessuali, anche americane, il limite di tutto stava nell'applicazione della pena capitale.
Ricorderete anche il caso di Karla Faye Tucker. Una donna colpevole e rea confessa giustiziata dallo Stato del Texas due anni fa. Quel giorno ero a manifestare ad Huntsville davanti al carcere dove viene eseguito il maggior numero di condanne negli USA. C'erano decine di troupe televisive, di ogni parte del mondo. Quella sentenza di morte aveva alcuni elementi che facevano notizia: uno su tutti una donna dopo un secolo giustiziata in Texas.
Ricorderete anche il caso piu' recente di Gary Graham, ritenuto minorato mentale e giustiziato.
Intanto negli Stati Uniti gli avvocati dell'American Bar Association, la maggiore organizzazione degli avvocati americani, porta avanti insieme con l'intero movimento abolizionista la campagna per ottenere la moratoria delle esecuzioni in molti Stati e a livello federale. La pena di morte - documentano - e' applicata in modo iniquo e non tiene conto delle garanzie processuali.
Sfido chiunque invece a ricordare il caso di un iraniano, di un pakistano, di un filippino, di un cinese, di un africano condannato a morte. Sara' difficile trovarne memoria. Eppure ce ne sono centinaia e nel caso della Cina, migliaia.
L'ultima volta che sono entrata in un braccio della morte e' stato a novembre dell'anno scorso. Florida, carcere femminile. Con alcuni giornalisti italiani ed europei e insieme a Emma Bonino abbiamo incontrato una detenuta, condannata a morte, oggi salva perche' la sua condanna e' stata rivista in ergastolo, Andrea Jackson, da 14 anni reclusa in attesa della sedia elettrica, la Old Sparky, quella che ha bruciato il viso di almeno due condannati. Pochi mesi prima avevo provato ad entrare con altri parlamentari italiani nel braccio della morte del carcere di Lahore in Pakistan, paese musulmano. Non ci siamo riusciti. Il massimo che abbiamo potuto fare e' stato incontrare i detenuti italiani per droga. Nessuna possibilita' c'e' stata neanche nelle cattoliche Filippine, dove i condannati a morte sono fortunati se arrivano al giorno dell'esecuzione e non muoiono prima per una qualche malattia presa in carcere.
Come dire ogni paese ha la pena di morte che merita. Democratizzata in America, simile alla tortura in paesi totalitari e comunisti, clandestina in regimi liberticidi, invocata nel nome di Allah le' dove prevale lo Stato teocratico.
Eppure in Italia per molti versi l'opinione pubblica prevalente conosce solo la pena di morte americana. Rocco Barnabei e' innocente e va salvato. Questo e' stato lo slogan con cui alcuni parlamentari italiani e alcuni opinionisti hanno dato avvio alla campagna in Italia. Quando ci si e' accorti che invece la giustizia americana lo ritiene colpevole si e' iniziato a dire che anche se colpevole va salvato comunque, oppure qualcun altro che l'America - addirittura non degna di essere annoverata tra gli Stati dell'Occidenteà - sta mettendo a morte un altro innocente. Per non parlare poi dei servizi giornalistici strappa lacrime di alcuni "reporter". Tutti sono mobilitati. Tra qualche giorno non lo saranno piu'. E in molti restera' il sentimento che l'America e' un postaccio e che solo l'Europa puo' salvarci dal demonio.
Facciamo un passo indietro: novembre '99. Nazioni Unite, Palazzo di Vetro. Dopo anni di iniziative in Italia e tre voti favorevoli della Commissione Diritti Umani dell'Onu, la massima organizzazione internazionale puo' finalmente votare la risoluzione che invita tutti gli Stati dove viene eseguita la pena di morte ad applicare una moratoria - parola cacofonica del nostro vocabolario che significa piu' semplicemente sospensione - delle esecuzioni. A presentare il testo all'Onu sono i Quindici Paesi dell'Unione Europea. Si raccolgono molte adesioni di altri Paesi. Si e' pronti per andare a votare e con ogni probabilita', vincere. L'Europa invece decidere di bloccare la risoluzione, cedendo a pressioni di varia natura e di rinviare tutto a data da destinarsi, lasciando prevalere il fronte di quei paesi che affermano il principio della sovranita' nazionale anche sull'applicazione della pena capitale.
Io no so ancora mentre scrivo se Rocco Barnabei questa notte morira' sul lettino dell'iniezione letale. Al momento e' quasi certo. Mi piacerebbe sapere cosa penseranno quei condannati che moriranno dopo di lui all'ombra dei riflettori. E mi piacerebbe sapere se l'Europa finalmente decide di perseguire concretamente fino in fondo la battaglia per la moratoria Onu delle esecuzioni.
Non c'e' nessuna superiorita' culturale o perbenismo politico da affermare in chi la pena di morte non la applica. C'e' il dovere, se ci si crede, di conquistare un diritto nuovo: far si' che un individuo in qualunque luogo della terra, anche se colpevole, non subisca l'ingerenza del potere dello Stato fino al punto di essere ucciso. E se da abolizionisti continueremo ad additare i buchi neri di quella che anche il diritto internazionale definisce una violazione dei diritti umani, pensando a Barnabei e agli Stati Uniti e scrivendo per Aut, mi viene in mente di ricordare Stonewall e la conquista di quei diritti che hanno fatto fare a tanti omosessuali tanti progressi anche in Europa. Se si evita di metterci troppa demagogia e si lavora concretamente nella conquista del diritto a vedere abolita la pena di morte, gli Stati Uniti potranno ancora una volta rappresentare un punto di partenza verso una nuova frontiera.
Alessandra Filograno
Nessuno tocchi Caino