Allo studio del Parlamento europeo una penalizzante direttiva sull'iva
IL FISCO UE FRENA L'E-COMMERCE
La tassazione dei consumi digitali rischia di rallentare lo sviluppo della new economy nell'Unione
di Benedetto Della Vedova*
La Commissione Europea, attraverso una sua proposta di Direttiva del Consiglio in questi giorni all'esame del Parlamento Europeo, si appresta ad assestare un duro colpo alle opportunità di sviluppo del Commercio on line. Tale proposta mira a realizzare una revisione della disciplina di applicazione dell'IVA che consenta di assoggettare all'imposta gli acquisti di prodotti digitali - software, prodotti editoriali, files audio o video, "scaricati" direttamente dalla rete - effettuati da consumatori residenti nell'UE presso imprese extracomunitarie.
UN PROVVEDIMENTO CHE INCIDE SUL COMMERCIO AL DETTAGLIO. Il provvedimento sarebbe destinato ad incidere sul solo commercio che coinvolge il consumatore finale, ovvero l' e-commerce business to consumer, quello che piu' sembra preoccupare le istituzioni europee: attualmente infatti, i consumatori europei possono acquistare prodotti digitali da provider extra comunitari senza pagare l'IVA (non essendo nessuna delle due parti contraenti soggetto IVA), imposta che invece pagano sugli acquisti effettuati presso providers residenti nell'Unione. Ciò crea, e qui sta il principale motivo addotto dalla Commissione per l'intervento legislativo, una evidente penalizzazione per i fornitori comunitari, i cui prodotti sono resi meno competititvi. Al contrario, nel caso di commercio elettronico business to business il problema non si pone poichè per le forniture alle imprese comunitarie, che sono soggetti IVA, è lo stesso acquirente che adempie agli obblighi dell'imposta. Anche il commercio elettronico che preveda il solo o
rdine on line e la consegna a domicilio di prodotti materiali non pone problemi particolari, essendo assoggettato alle regole oggi vigenti sulle vendite per corrispondenza.
UN FRENO ALLO SVILUPPO. Tuttavia, se il problema della minore competitività delle imprese di e-commerce europee è reale, il meccanismo proposto è destinato a rivelarsi ingestibile sotto il profilo tecnico e deleterio per lo sviluppo delle transazioni in rete da parte dei consumatori europei, proprio in una fase in cui tutti parrebbero invece auspicarne l'espansione (si vedano le conclusioni del recente Consiglio Europeo di Lisbona).
In estrema sintesi, la proposta prevede che qualunque azienda non comunitaria che fornisca servizi elettronici ad utenti finali europei per un importo annuo superiore ai cento milioni di euro debba registrarsi, ai fini IVA, in un paese dell'Unione (probabilmente per tutti il Lussemburgo dove minori sono le aliquote).
Le istituzioni europee, si sa, sono assai sensibili agli introiti dell'IVA, dal momento che il loro bilancio è alimentato dai proventi della tassazione del consumo, e questo spiega la solerzia.
La proposta della Commissione, tuttavia, è debole e lacunosa e alcune obiezioni difficilmente contestabili suggerirebbero di accantonare il provvedimento. Più precisamente:
le misure adottate, la cui implementazione appare ardua senza una fattiva collaborazione degli altri paesi (USA in particolare, al momento tutt'altro che disponibili), sono insufficienti per quel che riguarda l'applicabilità: che succede se una impresa extra UE non provvede a "registrarsi" in Europa ai fini IVA? si pensa forse di oscurarne il sito? O di perseguire gli utenti che continueranno a scaricare files da siti "off shore"? Il vantaggio finirebbe per ricadere sulle imprese che, con relativa facilità e quasi certa impunità, sfuggissero all'obbligo di registrazione.
Come sarà possibile determinare in modo univoco la residenza delle parti, cioè la veridicità di quella dichiarata? In particolare, una azienda che fa e-commerce come puo' avere certezza circa la residenza dichiarata dei propri clienti? I sistemi di "tracciamento" dei consumatori costituiscono (anche quando aggirabili e, quindi, tutt'altro che "certi" come quello, ipotizzato dalla Commissione, basato sul numero di carta di credito) una seria minaccia alla privacy dei consumatori;
Se il criterio europeo dovesse essere preso a modello sul piano internazionale per la tassazione del commercio on line, le aziende che lo praticano, incluse quelle europee, sarebbero costrette a registrarsi in decine o centinaia di paesi, ovvero in tutti quelli nei quali hanno clienti. E' chiaro che gli oneri finanziari e burocratici per le imprese, in particolare le più giovani, diverrebbero, oltre che insensati, insostenibili.
Altro si potrebbe aggiungere, ad esempio sulla scelta di tassare come "servizio" qualunque tipo di prodotto elettronico acquistato on line, scelta che porta a numerose incongruenze (ad esempio l'applicazione della aliquota del 20% su prodotti editoriali altrimenti tassati, se venduti in forma materiale, al 4%).
Ma la proposta, oltre ad essere di difficile implementazione è intempestiva ed affrettata; in primo luogo perchè il settore del commercio elettronico è al centro di tumultuose innovazioni tecnologiche ed ha pertanto, caratteri, tecnici ed economici, ancora indefiniti; in secondo luogo perche la fattispecie colpita dalla proposta della Commissione ha ancora dimensioni minime: il business-to-consumer rappresenterà, secondo le stime disponibili, nel 2001, solo il 7% dell'intero commercio elettronico e, sempre nel 2001, l'intero commercio elettronico rappresenterà lo 0,18% del PIL europeo: si avrebbero percio' per qualche anno introiti fiscali trascurabili, inferiori ai costi complessivamente sostenuti dal Fisco per la loro riscossione (oltre che dalle aziende).
Sarebbe molto meglio se l'Unione Europea rinunciasse a questo zelo tributario, in attesa che in sede OCSE o WTO si arrivi a una definizione congiunta e definitiva dei criteri di tassazione del commercio on line.
La soluzione piu' realistica ed efficace per rimuovere lo svantaggio competitivo delle aziende di ecommerce europee e per promuoverne lo sviluppo è la realizzazione di una totale moratoria fiscale, attraverso la rinuncia ad applicare l'IVA, almeno nel business to consumer, anche sulle transazioni intraeuropee. Si perderebbero pochi Euro di gettito e in cambio si darebbe un impulso alle transazioni on line, si eliminerebbero i vantaggi delle aziende USA e si spronerebbero aziende e utenti ad investire risorse (e attenzione) nella new economy.
* Deputato europeo, Lista Bonino