Commento pubblicato su "La Repubblica" del 08/11/00, a pagina 17
I RADICALI (come ogni forza politica) possono e devono essere oggetto di continua attenzione critica, ma ad essi deve riconoscersi una inesauribile fantasia istituzionale. Da un quarto di secolo identificano strumenti istituzionali, li impongono all'attenzione dell'opinione pubblica, si identificano con essi, li usano in modo estremo e, dopo averli spolpati, li abbandonano e passano ad un altro. La loro storia potrebbe essere scandita da questa voracità, espressa tra gli anni '70 e '80 dall'uso ostruzionistico dei regolamenti parlamentari e, negli anni più vicini, dall'uso esasperato del referendum. Ora si volgono verso Internet. Che, in sé, non è uno strumento istituzionale, ma sicuramente racchiude possibilità di trasformazione della politica e delle istituzioni sulle quali si insiste retoricamente da molto tempo, e che tuttavia in Italia non hanno ancora stimolato utilizzazioni della rete diverse da quelle più banali, anche se non indifferenti, di fornire un supplemento d'informazione, qualche occasione d
i scambio d'opinioni, qualche opportunità in più di collegamento tra persone e gruppi. L'uso politico della rete è ancora ai suoi inizi. Per questo è importante seguire ogni tentativo che cerchi di indicare vie nuove. Per questo è bene chiedersi se, nei prossimi mesi, la tecnopolitica comincerà a non identificarsi soltanto con il massiccio trasferimento delle tecniche di marketing alla comunicazione con gli elettori e, invece, avvierà essa stessa una trasformazione delle forme dell'agire politico. I radicali hanno cominciato a muoversi in due direzioni. Prevedono l'elezione di un quarto del loro consiglio nazionale tra coloro che si registreranno sul loro sito. E sottopongono a "referendum elettronico" le future, impegnative scelte del partito. Dico subito che quest'ultima via, nelle apparenze la più innovativa e suggestiva, mi sembra la più rischiosa. Certo, l'appello diretto ai cittadini, saltando ogni mediazione, sembra essere quello che più rafforza il loro potere d'incidere davvero sulle decisioni polit
icamente rilevanti. Non è un caso che il progressivo diffondersi delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione sia stato accompagnato da un possente ritorno della discussione sulla democrazia diretta. Si è giunti a prospettare anche l'ipotesi estrema, quella di una integrale soppressione del Parlamento, sostituito dal voto sulle leggi da parte di tutti i cittadini in rete. Non è l'ipotesi di uno scienziato pazzo: era la proposta contenuta nel "contratto con l'America" di un politico allora sulla cresta dell' onda, il repubblicano Newt Gingrich che, con il conforto di due guru dell'età elettronica, Alvin e Heidi Toffler, aveva prospettato appunto la creazione di un Congresso "virtuale" al posto del Congresso degli Stati Uniti. Ipotesi come questa sembrano fatte apposta per confermare la tesi di chi sottolinea che la democrazia dei referendum elettronici sarebbe la forma congeniale al populismo del nostro tempo. La democrazia risolta tutta nel rapporto diretto tra il leader e i cittadini, senza alcu
na mediazione. I cittadini stessi impossibilitati a sfuggire a un destino che li fa essere "carne da sondaggio" o nevrotici "spingitori di bottoni", tagliati fuori da tutto il processo di preparazione delle decisioni e confinati nella fase di una ingannevole scelta finale, in realtà dominata dalla forza di suggestione di chi controlla il sistema della comunicazione. Può la democrazia essere risolta tutta in una infinita serie di plebisciti proposti da chi detiene in quel momento il potere? O le grandissime opportunità offerte dalla tecnologia debbono essere utilizzate piuttosto per distendere il loro potere su tutto il processo delle decisioni, sulla loro preparazione, valutazione, controllo, sulla possibilità di proporre soluzioni alternative? La tecnologia, altrimenti, diventa un potente veicolo per rafforzare la pura personalizzazione della politica, per dare ai cittadini un'ingannevole sensazione di sovranità. Possibilità ben diverse stanno dietro l'altra proposta dei radicali, quella che riguarda il nuo
vo modo di comporre il loro consiglio nazionale. Qui si coglie un tentativo interessante di integrare le forme tradizionali della democrazia rappresentativa con quelle nuove della democrazia diretta, di trasformare l'indistinto "popolo della rete" in un soggetto politico che si registra nel sito di un partito, presenta liste, elegge i propri rappresentanti. Internet diviene un canale politico autonomo, ma non esclusivo, dal momento che deve concorrere con altre forme di composizione del consiglio nazionale (elezione, sorteggio). Il rapporto così istituito, inoltre, non è con una persona, ma con un soggetto collettivo, le cui attitudini rappresentative e di intermediazione possono essere rafforzate proprio dalla sua capacità di dare voce immediata a una realtà nuova i navigatori di Internet, sollecitati ad una forma incisiva di autorappresentazione in un luogo istituzionale. Si realizza così un caso di quella mixed reality - non più solo reale, e non integralmente virtuale - che si profila come uno dei connot
ati della fase che si è aperta. La mossa dei radicali non è la sola nel panorama italiano della rete. Due studiosi hanno annunciato l'apertura di un sito per consentire il confronto tra i programmi dei leader delle coalizioni di centro-destra e di centro-sinistra, proponendo un questionario al quale ogni cittadino potrà rispondere, misurando così la propria vicinanza all'uno o all'altro candidato. Al tempo stesso si potrà misurare anche la maggiore o minore distanza di ciascun candidato dalle opinioni prevalenti. La politica comincia così ad entrare in rete in modo sempre più intenso, scandagliandone le caratteristiche specifiche e cercando di spostare l'attenzione sull'iniziativa dei cittadini, le cui indicazioni possono contribuire a formare una "agenda" politica con la quale ogni candidato o partito deve fare i conti. Siamo già oltre la funzione, peraltro importantissima, dell'informazione capillare sulla storia politica e personale dei candidati, sui loro programmi. Questa conoscenza analitica, fornita d
a soggetti diversi dai candidati o dai partiti, accresce le possibilità di valutazione critica e di scelte consapevoli. Ma il passaggio determinante è quello che porta dai cittadini informati ai cittadini organizzati. Vi sono ormai infiniti esempi, in giro per il mondo, di iniziative vincenti o bloccate per effetto di mobilitazioni di cittadini rese possibili da Internet. Accade nella dimensione locale o sul palcoscenico globale, in un sobborgo di Los Angeles o a Seattle. E quel che unisce qualitativamente iniziative lontanissime per dimensioni e contesto è la loro incidenza sull'intero processo di decisione, che le fa lontanissime dal puro gioco del "sì o no" dei referendum elettronici; e il loro nascere dall'azione diretta dei cittadini, che scardina la logica della personalizzazione della politica. Il punto decisivo, da tener sempre presente per valutare la folla benefica delle sperimentazioni, riguarda la loro capacità non di trasformare Internet in una gigantesca cabina elettorale permanente, ma di crea
re le condizioni per il dispiegarsi di una cittadinanza "attiva". La tecnologia non può colmare il vuoto lasciato dalla politica. Ma Internet non offre soltanto una opportunità per perseguire la tradizionale politica con altri mezzi. Obbliga a ripensare l' ambiente istituzionale. E, per questo, siamo solo all'inizio.