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Conferenza Rivoluzione liberale
Partito Radicale Rinascimento - 15 dicembre 2000
RELAZIONE DEL COORDINATORE

Avevamo fissato questo appuntamento già dal mese di luglio, tracciando il percorso di allargamento del Comitato, che ci porta a riunirci in questa nuova composizione, con i 44 membri originari (si sono dimessi Buonassisi, Marcozzi, Scarpa e Spagnoli), i 25 membri sorteggiati e i 25 eletti online. Quel percorso è stato dunque compiuto con successo.

Il nostro mandato è quello di confrontarci con l'obiettivo di eleggere nel prossimo parlamento consistenti gruppi di parlamentari radicali e di definire nuove regole per questo soggetto politico, per continuare sulla strada del suo rinnovamento profondo.

Su questo secondo punto, già il fatto che oggi l'organismo direttivo della "cosa" radicale abbia una composizione pressoché raddoppiata è un segnale importante che si muove in quella direzione. Siamo oggi profondamente diversi da quello che eravamo l'ultima volta che ci siamo riuniti. Nuove forze si sono innestate sul vecchio tronco, e provenienti anche da orizzonti diversi. Già negli anni sessanta, quei radicali lanciarono al mondo politico, agli interlocutori di allora, una analoga sfida: venite, dissero, a iscrivervi, "occupateci", impadronitevi del partito. Allora anche, sarebbe bastato un pugno di nuovi iscritti a ribaltare l'immagine e la sostanza del partito radicale. Ma questo non avvenne. Oggi la sfida si rinnova : con le elezioni online abbiamo addirittura voluto che potessero decidere, su di noi, sulla composizione del Comitato, persone che semplicemente si sono registrate, senza nemmeno aver richiesto il versamento di una quota. Ed io spero che questa volta l'occupazione sia forte, permanente ed

ampia, così che la "cosa" radicale di domani possa avere una identità nuova, più capace di confrontarsi con le sfide del nostro tempo. Dovremo dunque misurarci con questo dato, anche se non è ancora il "nuovo" partito dei radicali sul fronte italiano; né abbiamo pronta da proporvi una proposta per lo Statuto che questa assemblea avrebbe dovuto approvare. Abbiamo ritenuto infatti che il Comitato debba prima affrontare, anche sulla base di quanto accaduto nelle ultime settimane, il problema delle condizioni minime di democrazia e di legalità da conquistare per poter assumere delle decisioni non velleitarie, sulla questione delle regole, così come sulle elezioni, le alleanze o non-alleanze.

Partiamo dal contesto in cui siamo costretti a muoverci, rappresentato cosi bene dalle parole di Vespa nel Porta a Porta con Emma Bonino " Casini Mastella, Bertinotti, quanti parlamentari avete? Onorevole Bonino, quanti parlamentari ha? Ecco la ragione della frequenza con cui la invito". Se il gioco democratico si svolge in queste condizioni, in cui la concessionaria unica di servizio pubblico concede informazione politica solo in proporzione alla consistenza delle truppe parlamentari si vanifica lo stesso diritto di tutti i cittadini ad associarsi politicamente. Si esclude infatti dal dibattito proprio chi cerca di costruire nella società un'alternativa all'impoverimento economico ed al degrado civile delle istituzioni del nostro Paese. E questo dell'informazione è soltanto un aspetto delle condizioni di sistematica violazione della Costituzione e delle regole, di costante attentato ai diritti civili e politici dei cittadini attraverso il quale è esercitato il potere nel nostro paese.

Il nostro compito è dunque quello di affermare il principio secondo il quale la democrazia - per essere strumento utile, che porta a decisioni che accrescono gli spazi di libertà e responsabilità individuale - non può essere solo nominale, sulla carta. Per noi la democrazia, nelle istituzioni così come nei partiti, non esiste solo se funziona il meccanismo tecnico per assumere decisioni, ma se vengono anche rispettate le regole del gioco e se esiste la conoscenza reale, effettiva, piena delle alternative in campo. Ed è sempre stata, nella storia radicale, l'assenza di vita del diritto e di democrazia effettiva ad avere prodotto il rifiuto della gestualità democratica, del mero democraticismo, utile solo a produrre la conservazione dei poteri costituiti e consolidati.

Con la scelta di occuparsi di arrestare lo sterminio per fame nel mondo invece che di ottenere la propria parte nell'occupazione delle amministrazioni territoriali, il partito radicale, già alla fine degli anni '70 prendeva atto che il sistema politico non era in grado di occuparsi di qualcosa che, se conosciuta e compresa, non avrebbe potuto non mobilitare le coscienze individuali. Rassegnarsi a considerare che 40.000 morti per fame al giorno fossero un dato ineluttabile sarebbe equivalso a relegare la politica, le istituzioni e la democrazia ad un livello gestionale o marginale. Anche allora la questione della conoscenza era questione centrale: per chi ha fiducia nello strumento democratico, non è pensabile che un popolo - SE consapevole di una simile tragedia in corso e della possibilità di combatterla - non decida effettivamente di farlo. Scegliere questa battaglia, e non la partecipazione ai molteplici centri di potere, non fu sfiducia nelle istituzioni, ma al contrario fu un tentativo di ridare capacit

à e possibilità di governo alle istituzioni stesse. Tant'è vero che i radicali da sempre, dal divorzio alle elezioni online, si sono rivolti innanzitutto ai rappresentati politico-istituzionali di qualunque altro partito, cercando di coinvolgerli negli appelli, nei digiuni, nelle manifestazioni, nelle iniziative parlamentari, e persino nel partito stesso, con la possibilità di doppia tessera, con l'assenza di probiviri e di espulsioni e persino l'auspicio di essere invasi da altri che i radicali.

Come per la battaglia contro lo sterminio per fame, o anche per la scelta di creare un partito transnazionale, la storia del nostro Comitato è quella di una lotta per far vivere la democrazia e il diritto.

Ripercorrere oggi la storia del Comitato, dei consensi anche enormi raccolti, delle reazioni durissime e violente che abbiamo provocato, credo sia indispensabile per affrontare con cognizione di causa i punti delle elezioni e del partito che sono all'ordine del giorno.

IL COMITATO

I responsabili dei soggetti dell'area radicale (Partito radicale, Lista Pannella, Radio radicale, Agorà telematica, Centro d'Ascolto per l'informazione radiotelevisiva, Nessuno Tocchi Caino, Non c'è pace senza giustizia, ERA, CORA) si riunirono insieme ad alcuni militanti il 17-18 gennaio 99 e poi ancora il 24 dello stesso mese per affrontare, su sollecitazione di Pannella, il da farsi su scadenze ineludibili: elezione Presidente della Repubblica, elezioni europee, ultima possibilità di convocare referendum fino al 2002. In quella sede fu formalmente elaborato un progetto di riconversione delle risorse anche patrimoniali per realizzare una stagione di lotta contro il regime italiano, con obiettivi puntuali tra cui: le iniziative sull'elezione del Presidente della Repubblica, la presentazione di liste alle elezioni europee, la raccolta di firme su nuovi referendum e la convocazione del Congresso del Partito Radicale Transnazionale. La mozione conclusiva impegnò i firmatari, tra i quali quasi tutti i respons

abili dei soggetti dell'area, alla realizzazione di tale progetto, costituendosi in Comitato promotore (di cui fui eletto coordinatore) di un'assemblea che sarebbe stata effettivamente convocata soltanto se entro il 20 febbraio fossero giunti almeno 1.000 impegni alla partecipazione, cioè se vi fosse - come pre-condizione per proseguire - una consistente adesione di radicali vecchi e nuovi disposti a dar forza a quegli obiettivi

L'Analisi che stava alla base di quella decisione, ed in particolare della messa in gioco del patrimonio, era quella proposta da Marco gia a partire dalla campagna referendaria del 1993 e che potremmo sintetizzare col termine evocativo del Terzo Stato, cioè di nuovi interessi sociali maggioritari dei ceti produttivi e degli esclusi, oppressi dalle burocrazie dello Stato corporativo, capaci ormai soltanto di rappresentare gli interessi di alcune categorie più strutturate e organizzate nella pubblica amministrazione, nel parastato, nella grande impresa, nelle professioni protette e nel reddito garantito. Quell'analisi non era e non è quella di un blocco sociale alternativo già consapevole della propria forza e già pronto ad aggregarsi per acquistare forza politica e rappresentanza istituzionale. Lo definimmo come un insieme di istinti e di riflessi antistatalisti, di spinte e di domande per una maggiore libertà di lavoro e impresa, per una riduzione dei vincoli solidaristici imposti iniquamente dallo "Stato an

tisociale", e sottolineammo che c'erano due alternative e due sbocchi possibili a questa situazione prerivoluzionaria: la ribellione anti-istituzionale e illiberale o la rivoluzione liberale e dello Stato di diritto, alla quale, da nonviolenti, abbiamo cercato e cerchiamo di dare corpo.

L'assemblea "dei mille" si tenne dal 5 all'8 marzo 99, con la partecipazione di oltre 1.700 persone che accolsero positivamente il programma d'azione proposto, con particolare entusiasmo per la campagna per Emma Bonino Presidente della Repubblica, lanciata già in precedenza dal Comitato Emma for President. In quella sede Vigevano confermò la decisione di messa in vendita del patrimonio (già allora si valutò un ordine di grandezza, rivelatosi poi clamorosamente preciso, di una cinquantina di miliardi da investire nell'iniziativa politica) ed Emma, oltre a rilanciare la scelta referendaria e il tentativo di interlocuzione con i "produttori", sottolineò come il suo impegno in caso di elezione alla Presidenza della Repubblica fosse quello del rispetto rigoroso della legalità costituzionale. Anche Marco Pannella intervenne, una volta chiusi i lavori dell'assemblea, dopo molti mesi di assenza, condividendo le decisioni assunte Da quell'Assemblea in poi questo Comitato, in forza del consenso ottenuto sul progetto c

omune dei responsabili dei soggetti radicali, divenne vero e proprio comitato di coordinamento di tutta l'area radicale, e prese il testimone delle iniziative sui vari fronti: da quello aperto dal Comitato Emma for President a quello dello scontro politico elettorale; dall'iniziativa giudiziaria contro gli attentati ai diritti civili e politici dei cittadini al sostegno alle iniziative transnazionali.

Le tappe successive furono serratissime: il due aprile le imprese radicali furono ufficialmente messe in vendita al miglior offerente, e il 9-10 e 11 aprile, dopo una riunione del Comitato, si tenne la seconda assemblea nazionale a Monastier di Treviso, che ufficializzò sia la presentazione della Lista Emma Bonino alle elezioni europee, sia la campagna di raccolta firme su venti referendum liberali e liberisti, con l'esclusione dei temi più propriamente libertari per favorire - o meglio per togliere alibi - sia al Polo e a Berlusconi sia ai rappresentanti ufficiali della corporazione degli industriali. L'opposizione alla nuova legge sul finanziamento pubblico ai partiti, approvata contro la espressa volontà popolare, e l'appoggio al referendum sul maggioritario si aggiunsero ai fronti già aperti

Se prima la candidatura di fatto di Emma Bonino alla Presidenza della Repubblica poteva essere scambiata - e lo si faceva dolosamente - per una candidatura lontana dalla politica o di immagine, nonostante la chiarezza dell'impegno di Emma per il rispetto della Costituzione e la rivendicazione della propria storia politica, da Monastier la connotazione tutta politica e di partito di Emma - che chiedeva di diventare Presidente "perchè" radicale, e non "nonostante" fosse radicale - fa volare i consensi: UNICAB di Aprile 99: Bonino 58,2, Ciampi 40,7 (scontro diretto 52 a 32) ;

GPFeA del 7-10 maggio: Bonino 51% Ciampi 21%. Il gradimento per l'eventuale elezione di Emma, tra soddisfatti (55%) e abbastanza soddifatti (25%) , è dell'80%

Nel Palazzo Emma Bonino prese solo 15 voti. Nel Paese, un mese dopo, alle

europee del 12 giugno, ne prese 2.621.859 cioè l'8,5 %, contro i 702.000 di

5anni prima, pari al 2,1%. I sondaggi, in continua crescita nei giorni

precedenti al voto, testimoniavano un clima che avrebbe potuto portare,

con qualche giorno in più a disposizione, la Lista Emma Bonino oltre il

10%.

Nei giorni successivi al voto europeo si riunì per la terza volta il Comitato. Fu l'occasione per un bilancio anche economico: l'investimento fino a quel punto era stato di 24 miliardi e mezzo (1,5 per Emma for President; 6,5 per i referendum, 16 per le europee), ricavati dalla vendita di Radio Radicale 2 (6 miliardi e 450 milioni), da indebitamento (4 miliardi e 500 milioni) e dai rimborsi elettorali (13 miliardi e 800 milioni). Le spese furono sostenute quasi esclusivamente per comprare l'informazione negata. Emma Bonino infatti, nelle graduatorie delle apparizioni televisive dei mesi precedenti era 52 e Pannella 173 . Le proposte e in particolare l'identità di Emma, per la prima volta dissotterrati dalla clandestinità e rivolti direttamente a decine di milioni di persone, dimostravano un consenso popolare vastissimo. Il comitato si impegnò per la ripresa della campagna referendaria e per la conferma di Emma Bonino alla Commissione europea. Pannella entrò a far parte del Comitato assumendone la presidenza

.

Ai rappresentanti politici e sociali venne subito richiesto il massimo di interlocuzione sui due fronti aperti : Commissione europea e campagna referendaria. Oltre 200 parlamentari chiesero a D'Alema e Prodi la conferma di Emma Bonino, ma D'Alema cacciò Bonino da Bruxelles con l'accordo di Berlusconi. Intanto decine di parlamentari e di personalità del mondo dell'impresa, oltre che della cultura e dello spettacolo, aderirono al Comitato d'onore per i referendum. Il 30 giugno lo stesso Berlusconi disse che Forza Italia era pronta a sostenere i referendum, facendo notare come molti dei contenuti fossero stati oggetto di autonome proposte di legge di Forza Italia: il Cavaliere annuncia che se il Parlamento non saprà o non vorrà farsi interprete di quelle domande di riforma, "Forza Italia non farà mancare il proprio sostegno", istituendo una apposita commissione per esaminare i quesiti. Contemporaneamente Fossa rifiutò il sostegno ai referendum, che arriverà, fuori tempo massimo per incidere sulla campagna di m

obilitazione in difesa dei quesiti, soltanto il 13 gennaio.

Il 28-29 luglio in tutta Italia "si vota firmando" con la convocazione dei referendum days. I vertici del Polo, incontrati ufficialmente per due volte, rifiutarono qualsiasi sostegno e la censura dei mezzi d'informazione sui temi oggetto delle iniziative referendarie fu totale, anche dopo gli incontri con il Presidente della Repubblica, i vertici RAI e il Garante. Tanto che alla vigilia dei referendum days secondo un sondaggio Datamedia il 70% degli italiani non conosceva i referendum. Nonostante questo si raccolsero in due giorni la metà delle firme necessarie, grazie a un investimento che ormai aveva raggiunto i 20 mld e all'intervento del Presidente dellla Commissione di Vigilanza Francesco Storace e alla audizione di Bonino e Pannella in Commissione. Dal 31 Luglio al 2 agosto si tenne il quinto congresso italiano del partito radicale che si dà come obiettivi : la raccolta di 100.000 firme ad agosto, l'organizzazione di nuovi referendum days a settembre la battaglia per il rispetto della legalità sull'ap

ertura delle segreterie comunali ad agosto e per l'apertura di spazi di dibattito e informazione, come anche Storace tornerà a chiedere ufficialmente a Celli. In quella assemblea Vigevano lanciò il prestito nazionale con le azioni di Radio Radicale per garanzia. A settembre con una spesa complessiva di 28 miliardi furono depositate in Cassazione piu di 16 milioni di firme che portano a 41.770.000 le firme raccolte dal movimento radicale dal '93 al '99.

Alla terza prova di forza, di consenso popolare dei radicali, la reazione del regime fu durissima e convergente. Il partito dell'informazione, il partito dei giudici, Berlusconi (che considerava a ragione Emma come l'unica personalità politica che poteva batterlo in popolarità raccogliendo consensi anche a sinistra), la sinistra sindacatocratica e corporativa che si preparava a una campagna fatta di falsità e accuse infamanti sul massacro sociale voluto dai radicali. Nel seminario di Chianciano dell'ottobre 99 decidemmo di procedere alla vendita pratcamente immediata di Radio Radicale per poter disporre immediatamente del denaro necessario per preparare la difesa politica e giuridica dei referendum di fronte allo scontato tentativo di falcidiazione dei quesiti da parte della Corte. Fu venduta Agorà telematica per 15 miliardi e venne contratto un debito personale da parte dei parlamentari europei per 2 miliardi, ma la situazione finanziaria rimaneva pesantissima, con un debito di circa 20 miliardi. Non fu pos

sibile realizzare la vendita in tempi e condizioni utili di Radio Radicale e l'unica difesa dei referendum fu affidata a pareri autorevolissimi ma silenziati di ex-Presidenti della Corte, come Paladin, Conso, Caianiello e Baldassarre, che si espressero pur con toni differenziati per un ritorno alla legalità costituzionale negli anni abbandonata. Dopo qualche settimana invece la Corte cancellerà il diritto degli italiani a votare su 13 quesiti.

In quel periodo drammatico per la sorte di Radio Radicale, Paolo Vigevano si dimise dal Comitato e si succedettero le riunioni del Comitato e della Lista per affrontare anche la questione delle elezioni regionali: per due volte Emma Bonino incontrò Berlusconi proponendo una campagna a sostegno dei referendum già prima di Natale e il lancio di un comune progetto liberista, federalista e di riforma isituzionale maggioritaria "americana", anche nelle regioni, sul modello della vecchia proposta di legge Urbani-Speroni. Berlusconi prese tempo e rinviò le riunioni di organi dirigenti fantasma chiamati a decidere sui referendum. Solo dopo si seppe che il suo accordo di controriforma proporzionalista e partitocratica con Umberto Bossi era stato segretamente siglato già prima delle Europee. Il 6 gennaio il Comitato di coordinamento decise la presentazione autonoma in tutte le regioni, deliberando l'avvio della raccolta delle firme. La successiva Assemblea Nazionale "per una primavera di liberaz

ione" rilancia il valore costituente, e quindi non semplicemente amministrativo, della prova regionale, con la proposta di 15 regioni-stato sul modello bipartico presidenzialista "americano" e referendario "svizzero". Il Comitato, riunitosi ancora il 18 e 19 febbraio affrontò, anche con sensibilità e diversità al nostro interno, la questione del dialogo con Berlusconi. Nei giorni successivi l'impossibilità di un accordo sulla riforma istituzionale e di impegno sui referendum portò alla rottura con Berlusconi, sancita dall'Assemblea nazionale tenutasi dal 3 al 5 marzo 2000. Un ulteriore sforzo organizzativo ed economico consentì la raccolta delle 140.000 firme necessarie per la presentazione dei candidati radicali in tutte le 83 provincie e l'invio di due mailing a milioni di famiglie. La spesa complessiva fu di circa 11,5 miliardi. Fu a quel punto che la cessione di parte del patrimonio (il 25% delle azioni di Radio Radicale acquistate dall'imprenditore Marco Podini per 25 miliardi, manifestatosi grazie ai c

ontatti per l'autofinanziamento, che sono anche contatti politici, che da anni Danilo Quinto promuove e organizza) consentì il riequilibrio economico-finanziario dell'area.

La prova regionale fu affrontata in un contesto di illegalità alla quale opponemmo una risposta politica e giudiziaria davvero senza precedenti. Ai clamorosi brogli riscontrati e documentati in tutta Italia nella fase della raccolta delle firme e presentazione delle liste, rispondemmo presentando denunce presso le 83 Procure della Repubblica e la Procura Generale presso la Cassazione: quelle denunce (a parte le eccezioni negative rappresentate dalle richieste di archiviazione già avanzate da alcune Procure, e quelle positive costituite da serie ed approfondite indagini avviate soprattutto in Campania e in Basilicata) continuano a giacere nei cassetti delle Procure. Al comportamento fuorilegge del sistema radiotelevisivo pubblico e privato reagimmo presentando decine di denunce dinanzi all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Fondamentale, in questo contesto, fu - o meglio avrebbe dovuto essere- il successo conseguito con la decisione del 6 aprile, a 10 giorni dal voto, con la quale, accogliendo pien

amente la nostra linea, l'Authority definì "Porta a porta" una trasmissione di "comunicazione politica", assoggettandola all'obbligo di assicurare parità di condizioni a tutte le liste e a tutte le coalizioni in competizione. Ma la Rai eluse quest'obbligo - e le altre disposizioni di legge - riducendo (con il successivo avallo dell'Authority, per questo da noi denunciata anche in sede penale) la decisione del 6 aprile a carta straccia, e determinando la sparizione dei radicali dai confronti decisivi dell'ultima fase di campagna elettorale, riservandoli illegalmente al Polo e all'Ulivo. Questa vicenda fu determinante per le sorti delle regionali. Occorre infatti ricordare che tutti i maggiori istituti di rilevazione, ancora a pochissimi giorni dal 16 aprile, attribuivano alla Lista Bonino risultati non lontani da quelli ottenuti alle elezioni europee.

Il 10 aprile, Massimo D'Alema, centrando una sua intervista sulla questione del maggioritario, annunciò che era "giunto il momento di riprendere il dialogo con i radicali". Il giorno successivo, il premier formulò l'auspicio che gli elettori radicali "disgiungessero" il proprio voto, convergendo sui candidati presidenti del centrosinistra. Immediata la risposta radicale: intervenendo a una tribuna elettorale della Rai, l'11 aprile, Emma Bonino disse testualmente: "Quella di D'Alema è una svolta importante e significativa perché interviene sulla madre di tutti i cambiamenti: il sistema maggioritario senza i 44 partitini. Ma non ha nulla a che fare con le elezioni di domenica prossima. Non produrrà effetti sul voto del 16 aprile, ribadisco che noi abbiamo 15 candidati presidenti in 15 Regioni e candidati in tutte le province e chiediamo di essere sostenuti per rendere più forte la nostra proposta politica". Ciononostante, il giorno successivo, il TG1 annunciò che la Bonino "aveva detto sì alla proposta di voto

disgiunto avanzata da D'Alema", mentre Berlusconi ha potuto occupare l'ultima settimana di televisione spiegando - senza che ad Emma Bonino e a Marco Pannella fosse consentita alcuna possibilità di contraddittorio con i leader degli altri due schieramenti - che i radicali erano dunque alleati con i comunisti. Questa la sequenza, la cronaca degli eventi che capovolsero i sondaggi e ci portarono al 2,2%, con 558.803 voti per i candidati presidente, coè esattamente gli stessi voti (1.700 in più) delle regionali 95.

Di questo discutemmo nella difficile assemblea straordinaria convocata dal 20 al 22 aprile, e nella successiva riunione del Comitato del 27 e del 28 aprile, alla quale io stesso e il Presidente del Comitato, Pannella, ci presentammo dimissionari. Il Comitato respinse le mie dimissioni; prese atto di quelle di Pannella, irrevocabili e motivate da profondo dissenso politico rispetto al Comitato. Si aprì la campagna che avrebbe portato al voto del 21 maggio sui 7 quesiti referendari. Furono necessari quattro giorni e quattro notti di presidio di Emma Bonino per ottenere che il Governo varasse un decreto per l'aggiornamento delle liste elettorali. Non furono invece sufficienti altre decine di denunce per strappare condizioni di informazione adeguate a contrastare la menzogna berlusconiana dei "referendum comunisti", o quella cofferatiana della "libertà di licenziare" e il messaggio dilagante dello "state a casa per mandarli a casa". Tre elettori su dieci si recarono alle urne, dicendo di "sì" sei volte su sette

al nostro progetto referendario, ma il quorum invalidò, come già nel 96, l'indicazione uscita dalle urne.

Dopo alcune settimane difficili, si tenne a fine giugno un seminario dell'area radicale a Soriano, segnato in particolare, da riflessioni e proposte sul "partito in rete", sul rilancio anche per via telematica dell'iniziativa politica radicale. Nella riunione del Comitato del 27-30 luglio scorsi ci demmo due obiettivi di fondo, quello della presenza di folti gruppi radicali nel prossimo Parlamento, e quello di un allargamento del Comitato, puntando sui 25 sorteggiati e sui 25 eligendi online. Eravamo entrati ormai nel vivo anche della vicenda ONU, che portò il Comitato a mobilitarsi contro l'espulsione del PR richiesta dai russi con l'accusa di sostegno al terrorismo internazionale, finanziamento dal narcotraffico e pedofilia. Sempre a luglio fu costituita una Direzione, inizialmente composta da Capezzone, D'Elia, Della Vedova, Quinto, Stanzani, e successivamente estesa a Bernardini, Bonino, Pannella e Turco. Dopo i due mesi di preparazione politica e tecnica dell'allargamento del Comitato, che si riunì anco

ra a settembre, e la riapertura del fronte anticlericale con la manifestazione del XX settembre, l'assemblea di Chianciano di metà ottobre e la contestuale riunione del Comitato definirono le scadenze del sorteggio e del voto online e rilanciarono l'iniziativa radicale su più fronti.

RECENTI INIZIATIVE E INFORMAZIONE

E' su queste ultime settimane che vi chiedo una valutazione attenta di quanto è accaduto, delle condizioni di lotta per la sopravvivenza alle quali non solo il soggetto radicale, ma anche chi entra per un momento in "territorio radicale" è sottoposto.

Di tutte le iniziative di questi mesi, la vicenda del Partito radicale all'ONU, e quello che ne è seguito, mi pare la più macroscopica e la più incredibilmente censurata. E' la vicenda di un'organizzazione politica che è stata capace di tanta libertà e incisività da attirarsi le più gravi e infamanti accuse da un membro del Consiglio di sicurezza, la Russia, con l'appoggio di un'altra superpotenza mondiale, la Cina e di una dozzina di altri paesi; capace di meritare l'attenzione di decine di ore di dibattito in 2 fasi in sede di Comitato ristretto, e poi di Comitato Economico e Sociale, cioè di 54 Stati, spesso rappresentati ai massimi livelli diplomatici; uscendo addiritttura con un voto, procedura rarissima all'ONU, con il sostegno pieno delle più importanti democrazie del mondo. Una vicenda che è continuata in modo tragico con l'assassinio di Antonio Russo e, parallelamente con l'azione del Ministro Dini che rendeva materialmente impossibile la nomina di Emma Bonino a Commissaria ONU per gli aiuti umanita

ri. I mezzi dinformazione sono riusciti, oltre a nascondere fatti di questa proporzione, a censurare la mobilitazione e la lotta politica che c'era dietro. Quella di Bonino e di Pannella, certo, con Marco che chiama direttamente ed esplicitamente in causa le responsabilità omissive del Ministro Dini sull'offensiva dei Russi all'ONU e sull'omicidio di Antonio, volte ad impedire la nomina di Emma all'ONU. Ma censurati sono stati anche le decine di dissidenti e premi Nobel, le centinaia di parlamentari, il Parlamento italiano che votava all'unanimità (tranni rifondatori del comunismo e leghisti) contro l'espulsione del PR e persino il Presidente del Consiglio quando alla morte di Antonio espresse la speranza che la qualità del suo impegno come militante del Partito radicale servisse a illuminare coloro che si accingevano a decidere in quelle ore sulla sospensione del PR dalll'ONU.

A me questa pare la vicenda esemplare delle condizioni nelle quali siamo costretti a fare politica. Ne possiamo ricordare altre di queste settimane, sulla Cecenia, contro le mutilazioni genitali, sul Tribunale penale internazionale, contro il nuovo fondamentalismo cattolico su pillola del giorno dopo, RU 486 e contraccettivi, sull'esperienza delle narcosalas spagnole, sui processi per droga, sulla riforma delle pensioni e sul Tibet. E ogni volta, insieme a noi sono cancellati profughi e testimoni ceceni, personalità internazionali, vittime delle peggiori violenze, Capi di stato e ministri africani, scienziati, economisti, parlamentari personalità. Come sulla vicenda delle elezioni online, che ci ha portato fino a qui attraverso quattro mesi di incontri, tentativi, esperimenti, approssimazioni successive; e per la quale parlano le cifre: più di 15mila registrati; più di 10mila elettori; quasi 10mila testi politici nei forum di radicali.it; 10 liste e 171 candidati a fronte di condizioni di presentazione onero

se; 10 Presidenti di Regione, 8 Ministri, decine di parlamentari coinvolti da elettori, o da candidati, o addirittura da eletti. Tutto questo accumularsi impressionante di fatti non sembra nemmeno lasciare tracce, quando del PR e di Antonio Russo si sono accorti Le Monde e l'Observer, quando l'iniziativa sulle mutilazioni genitali ha monopolizzato l'attenzione della BBC (sia la radio che la televisione, in francese e in inglese, con 6 interviste) e di innumerevoli altre testate, quando persino l'uscita di Marco sull'abolizione dello Stato del Vaticano e passata sulle agenzie stampa e emittenti europee, e quando delle elezioni online si è accorto il Financial Times, e non per far credere che era in testa il Polo o Francesca Mambro, ma per parlare di una nuova strada aperta alla politica.

ALLEANZE

In queste condizioni quali sono le scelte che possiamo compiere sulla questione delle alleanze? Siamo in grado di decidere se tentare una alleanza a destra, a sinistra o presentarci autonomamente? E cosa bisognerebbe fare per tentare un alleanza? Questa è stata anche una parte del dibattito delle elezioni online, dove si soppesavano gli elementi che ci spingono verso, o che ci differenziano da, gli uni e gli altri.

Personalmente credo che in questo momento una scelta di alleanza non ci è consentita proprio per consolidata responsabilità dei poli politici nella loro versione attuale, oltre che di quelli giornalistici e giudiziari. Entrambi i poli (e non parlo naturalmente di questa o quella componente, di questa o quella individualità, ma parlo dei vertici, del leader Berlusconi e dei leader Rutelli-Veltroni-D'Alema) sono infatti strategicamente e strutturalmente uniti nell'avversare, per ragioni e da prospettive anche molto diverse, l'alternativa liberale che rappresentiamo. Sono entrambi di fatto uniti nell'avere bisogno che i radicali, e le proposte duramente liberiste e libertarie, presidenzialiste e federaliste "americane", non ci siano, siano eliminate. Berlusconi per il momento ha scelto di non voler porre in discussione l'alleanza con le forze conservatrici e filo-clericali in tema di diritti civili. E proprio perchè il suo elettorato in particolare, ma anche quello della Lega, si sovrappone in parte a quel bloc

co sociale antistatalista e antiburocratico al quale ci rivolgiamo, Berlusconi ha un interesse oggettivo alla nostra non-partecipazione, perché sa che noi saremmo in grado di incalzarlo, sia sui temi » referendari che sulle altre scelte di libertà individuale, sul fatto che si sta preparando a prendere l'eredità di questo regime invece che a esserne alternativa. La sinistra invece non pare nemmeno nelle condizioni di avere una linea, e quindi una interlocuzione con noi, non solo sulle libertà economiche (dove le scaramucce Rutelli-Cofferati non mettono in discussione i nodi di fondo che, ricordiamolo, riguardano innanzitutto i non-garantiti, i disoccupati e gli immigrati, oltre ai "produttori"), ma nemmeno su diritti civili e libertà individuali. Il trattamento che è stato riservato a Veronesi, non solo da Amato, ma anche dal silenzio imbarazzato di Rutelli e, è il prodotto e il simbolo di 5 anni di Governo: proibizionista, sulle droghe, sull'immigrazione, su tutto. E a sinistra sanno che in fin dei conti

Berlusconi garantisce anche loro, sulla controriforma elettorale, sulla controriforma della giustizia e persino sulla difesa di corporazioni e ordini. Rutelli magari proverà anche a cercarci, una volta chiuso il programma di coalizione, sperando di avere a che fare con un interlocutore che non ha un'altra scelta.

Noi invece dobbiamo avere altre possibilità di scelta. Una innanzitutto: dobbiamo costruire, da manovali, da tavolinari, la possibilità di presentarci da soli al proporzionale e nei collegi. Dobbiamo raccogliere le firme. Questo dobbiamo farlo in ogni caso. Sentiremo cosa viene fuori, anche da questo Comitato, come proposte e disponibilità per il dialogo con un polo o con l'altro. Vediamo quali sono gli strumenti da attivare e le energie da mobilitare che possano provocare comportamenti diversi da quelli attuali del duopolio politico, per rendere forti, politicamente significative, le contraddizioni all'interno dei poli. Ma se non ci sono le liste, nemmeno questi tentativi potranno avere una concreta possibilità di successo, che non si limiti a gratificare chi li compie. Dobbiamo essere pronti ad andare da soli.

LE REGOLE

La nuova composizione del Comitato è un passo avanti importante, una prima apertura di questo soggetto politico. Contemporaneamente abbiamo compiuto un salto di qualità anche formale: il Comitato non è più "associazione di fatto", unicamente sorretta dalla comune volontà che unisce i responsabili dell'area radicale, ma si è ufficialmente costituita con atto notarile come associazione, e in quanto tale è un soggetto politico compiuto libero di decidere come associare altri. Per sottolineare il superamento della fase "di coordinamento", sarebbe opportuno modificare lo stesso nome dell'associazione, che potrebbe divenire "Comitato radicale per la rivoluzione liberale e gli Stati uniti d'Europa".

Dobbiamo ora porci il problema di come aprirci ulteriormente, senza arrestare la crescita e la nuova capacità di aggregazione provocata in particolare dalle elezioni online. Al tempo stesso dobbiamo guardarci dal rischio del democraticismo, di mettere in piedi forme e regole che determinino progetti velleitari e che attribuiscano responsabilità prive di una effettiva rappresentanza. Dobbiamo ricordarci che l'elemento della conoscenza, è elemento fondamentale per il pieno funzionamento della democrazia non solo all'esterno, per le istituzioni, ma anche all'interno, per il partito (a meno di pensare che i radicali possano vivere in un mondo a parte, fuori dalla portata del bombardamento della censura, magari grazie all'ossigeno dell'informazione di Radio Radicale).

Cosa accadrebbe ad esempio se noi oggi, invece di continuare a tirare il filo sottile del Comitato, del suo allargamento, della continuità delle iniziative di questi anni, convocassimo un congresso aperto, sul modello statutario del partito radicale? Cosa ci sarebbe di democratico, cioè di rappresentativo della realtà sociale e politica che fa riferimento alle battaglie radicali, in un congresso convocato solo per vie interne e semi-clandestine (sappiamo che i media impediscono fisicamente una convocazione davvero pubblica), con poche centinaia di congressisti ? Si riuscirebbe a prendere decisioni adeguate a fronteggiare condizioni di non-democrazia e di incertezza del diritto, o non emergerebbero piuttosto le dinamiche da piccolo gruppo, fatte di amicizie personali e pur legittime convenienze? Tenendo presente questi rischi, noi siamo stati partito delle regole proprio nella ricerca rigorosa di regole che non restassero formali, nel tentativo e nella fatica di farle vivere, nel rischio, sempre testardamen

te e consapevolmente corso di dare voce anche al peggio di ciò che viene fuori quando si da voce a tutti: è la storia di Radio Radicale, dei congressi per radio a centinaia di migliaia di persone, ed è anche la storia recente del Comitato o recentissima dei forum di radicali.it.

Internet è stato infatti determinante proprio per riconquistare uno spazio di dibattito e di democrazia interna che coinvolgesse un numero di persone consistente, in modo assolutamente sotterraneo, con l'aiuto della radio, dei messaggi email e delle pagine pubblicitarie. Si è trattato di un investimento strutturale, non di una scelta superficiale ed episodica. Con Internet, in particolare con i dibattiti dei forum abbiamo consentito a tutti di invadere i siti radicali in modo interattivo e senza filtri, nella consapevolezza che il massimo dello spazio sarebbe stato preso innanzitutto dagli anti-radicali e che la maggior parte di coloro che si imbattevano in quei dialoghi sarebbero fuggiti via, come molte decine di migliaia hanno fatto, mentre poche centinaia di persone sono rimaste. Ora è necessario compiere altri tentativi ed esperimenti sulla strada del partito in rete individuata a Soriano in giugno. Utilizzare internet per supportare organizzativamente la raccolta firme, per comunicare direttamente con a

lcune decine di migliaia di persone, per promuovere iniziative su temi specifici (come già abbiamo iniziato a fare con le 6 petizioni su antiproibizionismi e liberalizzazioni) anche nonviolente dirette a colpire i siti delle centrali di disinformazione, per aggregarsi a livello tematico o territoriale. Dobbiamo tra l'altro essere in grado di diventare partito "della" Rete, che cioè si attrezza per difendere con intransigenza Internet da chi già ci sta mettendo sopra le mani per imporre ordini professionali, censure, tassazioni.

Senza sovraccaricare la Rete di funzionalità premature o di attese eccessive, è chiaro che il carattere autogestito ed interattivo dello strumento potrebbe in prospettiva consentire l'effettiva applicazione dello statuto pluridecennale del partito radicale, come partito libertario aperto e federatore di diversità. Un partito "di servizio", nel senso di un'organizzazione politica che anche grazie alla Rete è al servizio di domande e di esigenze di libertà "non rappresentate", organizzando o provocando l'interazione dei cittadini con le istituzioni.

Dal punto di vista delle regole, per ora dovremo iniziare a prevedere forme di sostegno al Comitato, da parte di singoli e di associazioni, che rappresentino una fase preliminare all'apertura di vere e proprie iscrizioni o rapporti di federazione. Rispetto ai singoli il sostegno potrebbe essere libero e destinato al finanziamento delle iniziative. Per le associazioni potremmo prevedere forme di "registrazione", anche telematiche (attraverso link e richiami sul sito), delle organizzazioni che sostengono il comitato e che contestualmente precisano il proprio funzionamento (ad esempio » depositando i dati che riguardano lo Statuto, la composizione, gli scopi associativi e l'apporto che intendono fornire al Comitato). La ricerca di queste organizzazioni potrebbe divenire da subito un terreno di interlocuzione politica con realtà finora non conosciute.

Perchè il percorso sullo Statuto e quello parallelo sul coinvolgimento di risorse esterne al Comitato non si interrompano, è necessario darci delle forme precise per fare altri passi avanti su questo punto. Dopo il dibattito di una delle commissioni di questo Comitato che tratterà la questione (e naturalmente il dibattito in plenaria) dobbiamo proseguire con una commissione che lavori anche dopo il Comitato per avanzare proposte - e per raccogliere e ordinare le proposte che verranno da singoli o da gruppi organizzati - sulla forma partito, e sugli strumenti (anche tecnici, di utilizzo della Rete) per la vita della nostra organizzazione. Il Comitato dovrebbe essere poi in grado di convocare in tempi brevi, 5 o 6 settimane, una » Conferenza per la riforma delle regole e dello Statuto , alla quale far partecipare anche le organizzazioni sostenitrici e i soggetti interessati.

Sempre in tema di regole, credo sia bene che tutto il Comitato, non solo la Direzione, si ponga subito la questione delle regole di presenza minima alle nostre riunioni. I nostri compiti ci potranno infatti travolgere se ciascuno non comprende che far parte di questo Comitato comporta responsabilità precise, straordinarie e prioritarie, non per imposizione morale, ma guardando semplicemente all'incalzare degli eventi. Occorre darci delle regole per garantire al Comitato che le presenze siano anche quantitativamente all'altezza della situazione.

Dobbiamo quindi innanzitutto lavorare per potere esistere davvero, per riconquistare la conoscenza delle nostre proposte tra la gente e per potere garantire la nostra presenza effettiva alle prossime elezioni. Il primo ostacolo immenso da superare è senza dubbio quello di raccogliere le firme per la presentazione di liste autonome nel proporzionale e nei collegi, lottando sul fronte delle iniziative giudiziarie e nonviolente per il rispetto di diritti umani fondamentali quali sono i diritti civili e politici, e facendo crescere, rafforzando ulteriormente questo soggetto politico che si è consolidato nei mesi.

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