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Cucco Enzo - 3 luglio 1996
aids e volontariato
La clamorosa protesta della Lila contro l'Anlaids rende pubblica una situazione ben nota a chi vive all'interno delle associazioni di volontariato sull'Aids: rivalita', qualche volta odio, affannosa ricerca di rapporti preferenziali con sponsor privati ed enti pubblici al fine di assicurarsi la fetta maggiore di finanziamento possibile. L'altra faccia di una medaglia che i piu' conoscono solo per il lato meritorio, eroico a volte, dell'attivita' dei volontari e che forse potrebbe stupire chi credeva impossibile che tra due associazioni di volontariato potesse esserci tanto conflitto.

La scelta della Lila di rendere manifesto il conflitto puo' essere accolta come una salutare provocazione affinche' vengano affrontate pubblicamente alcune questioni legate alle politiche sociali e sanitarie sull'Aids, nel nostro Paese. Non parlo delle questioni oggetto della protesta della Lila, che potrebbero essere riassunte in tre domande: chi parla per le persone sieropositive? come vengono usati i soldi pubblici e privati per la ricerca e l'assistenza? perche' in Italia si deve attendere cosi' tanto per poter accedere gratuitamente alle nuove terapie gia' diffuse nel resto del mondo? Per queste ci vorrebbe un giornalismo piu' curioso, o meglio ancora un Governo piu' preoccupato di come spende i propri soldi e piu' rispettoso del diritto di tutti a conoscer le cifre reali. E magari riusciremo anche a sapere perche' la gran parte dei 2100 miliardi stanziati nel '90 per i nuovi posti letto continuano a non essere spesi - le pessime situazioni ospedaliere di Torino, Milano e Roma in materia di Aids ne sono

la conseguenza piu' esemplare. L'occasione che non bisogna farsi sfuggire, pero', e' un'altra e riguarda tutte le associazioni di volontariato che operano nel settore dell'Aids, Lila inclusa, e tutti i privati cittadini che legittimamente si pongono domande sulla destinazione dei fondi pubblici e delle donazioni private: si tratta di fare chiarezza sulle regole del gioco e sulle responsabilita' formali o sostanziali sulla destinazione dei fondi e sul loro utilizzo.

Cominciamo col dire che l'azione della Lila ha un paio di conseguenze certe. La prima e' la distorsione della realtà del volontariato sull'Aids oggi operante in Italia: non esistono solo Lila e Anlaids, ma c'è almeno un'altra grande organizzazione nazionale (FORUM AIDS ITALIA) che raccoglie i gruppi che in Italia per primi hanno cominciato a lavorare in questo settore, e decine di gruppi locali o regionali, oltre a tutte le organizzazioni che si occupano di tossicodipendenza, diventate gioco forza, "esperte" del settore. Una realtà composita a cui sono destinati fondi statali, regionali, comunali, della UE e di una miriade di enti e privati cittadini che se pur insufficienti rispetto agli obiettivi sanitari e sociali da raggiungere, sono una quantita' di denaro su cui mai in Italia nessuno ha potuto contare per combattere altre patologie. I conti precisi non si possono fare, anche per la cronica frammentarieta' dei dati ufficiali in questo settore, ma siamo certamente sull'ordine delle decine di miliardi l'

anno. La realtà, quindi, non si esaurisce con la Lila e l'Anlaids (e la loro querelle), e tutti subiranno il ritorno di pessima immagine che, complessivamente, la vicenda della contestazione non puo' non aver provocato. Con il conseguente "raffreddamento" degli sponsor privati che in questo settore hanno donato veramente molto fino ad oggi.

La seconda conseguenza potrebbe essere piu' grave: gia' si cominciavano a sentire le lamentele di chi, facendosi qualche macabro conto di morti e ammalati, scopriva che in numeri assoluti l'Aids produce meno morti e danni di tante altre patologie, incidenti stradali e morti sul lavoro compresi, che certo non ricevono, né in proporzione né in numeri assoluti, fondi paragonabili a quelli destinati per la lotta all'Aids. Dopo le ombre sull'utilizzo dei fondi per la ricerca, questa miope affermazione potrebbe essere preludio non soltanto di un piu' oculato e auspicabile controllo dei fondi erogati, ma di una loro diminuzione. Che potrebbe avere conseguenze devastanti sul piano della prevenzione della malattia, che ha bisogno ancora per molti anni di investimenti ingenti.

Ma le tre questioni principali che l'azione della Lila non richiama, e che al contrario sono alla base del corretto rapporto tra volontariato, enti pubblici e donatori privati, sono le seguenti.

Perche' fino ad oggi nel Comitato di esperti che valuta i progetti delle associazioni di volontariato da ammettere a finanziamento statale hanno fatto parte esponenti delle stesse associazioni che presentavano progetti? Inutile fare nomi e cognomi, ma l'imbarazzo e' grande, e non risparmia nessuno dei contendenti.

Perche' continuare questa strano connubio tra operatori pubblici e associazioni di volontariato, per cui vi sono associazioni che hanno (piu' spesso a livello locale) responsabili che sono allo stesso tempo anche dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale, in ruoli e con responsabilita' che sono quelle del personale che lotta, nello Stato, l'Aids? Chi lavora, mettiamo caso, in un SERT o in un reparto di malattie infettive dovrebbe avere l'accortezza di non essere operatore volontario, o magari responsabile di un progetto di intervento finanziato dallo Stato. O peggio ancora eminenti esponenti del Ministero o dell'Istituto Superiore di Sanita' risultano essere collaboratori e consulenti scientifici, spesso realizzatori dei progetti che lo Stato finanzia al volontariato, creando l'assurda situazione che studi o attivita' importanti, che lo Stato non riesce a produrre, si realizzano in Italia grazie a progetti per i quali lavorano operatori pubblici dello steso settore. Per realizzare obiettivi che - non dimen

tichiamolo mai - dovrebbero essere dell'assistenza pubblica o privata, e che il volontariato con altre modalità supplisce.

Infine, quanto del volontariato italiano - per l'Aids come per altro - e' veramente tale o e' semplicemente lavoro sottopagato, anche se socialmente utile? E quanto responsabili sono le stesse ONG italiane a creare quel mostro logico che risponde al nome di "terzo settore", invenzione di un sistema economico che non riesce a decidersi sui limiti del proprio intervento in materia assistenziale? Con la conseguenza che il volontariato stesso, nascendo da premesse affatto diverse, diventa la terza gamba di un sistema sballato?

Di tutto questo devono, alla luce del sole, discutere le associazioni di volontariato. Ma su tutto questo regna il desolante silenzio delle pubbliche autorità: anni di oscurantismo nella sanità italiana hanno prodotto solo maggiore diffusione dell'epidemia - e preoccupa che dopo 15 anni dell'arrivo dell'Aids uno dei rami del Parlamento approvi oggi un DL che prevede "anche" la distribuzione controllata di siringhe ... ); e quando lo stesso è finito, forse in preda a sensi di colpa, si è rinunciato a governare il settore, a porre regole chiare, a costituire organismi tecnici che fossero tecnici e consultivi che fossero consultivi, preferendo coltivare ora questo ora quel rapporto privilegiato, sperando che l'assenza di strategia nel rapporto con il volontariato fosse colmata (anche questa volta) dalla proverbiale creatività italica. Tutto questo è finito, da anni, ed è giunto il momento dell'assunzione di responsabilità da parte di ciascuno.

ENZO CUCCO

segretario nazionale del

Coordinamento Radicale Antiproibizionista

 
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