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Conferenza Segreteria CORA
Palma Carmelo - 23 settembre 1997
BOZZA

Perché la depenalizzazione di alcune condotte sanzionate penalmente dal DPR 309/90 deve considerarsi attuazione del risultato del referendum tenutosi nel 1993.

Il referendum del 1993 intervenne su due punti qualificanti della legge sulla droga:

1) la disciplina del trattamento con farmaci sostitutivi

2) la penalizzazione del consumo personale di droghe proibite.

1) Sul primo punto intervenne abrogando l'art.2, comma 1, lettera e) n.4 della legge (Il Ministro della sanità stabilisce con proprio decreto .... "i limiti e le modalità di impiego dei farmaci sostitutivi"); né derivò l'abolizione del DM 445/90, che fissava modalità restrittive di impiego del metadone, e ne affidava la prescrizione ai soli medici prestanti servizio nei Sert.

2) Sul secondo punto il referendum intervenne:

a) abrogando una parte del primo comma dell'art.75 della legge ("in dose non superiore a quella media giornaliera....") che disponeva che chiunque detenesse, acquistasse o importasse droga per uso personale in quantità superiore alla dose media giornaliera fosse automaticamente sottoposto alle sanzioni penali previste dall'art.73.

La critica che molti mossero a questo punto della legge era invero del tutto sbagliata. Infatti con il meccanismo della dose media giornaliera non si stabiliva- come si pensava secondo l'interpretazione corrente- che una "immodica detenzione" fosse automaticamente da considerarsi prova di una finalità di "spaccio"; si faceva qualcosa di diverso, anche se ancora più grave: si stabiliva burocraticamente la punibilità per l'immodica detenzione tout-court, a prescindere dalle finalità e dal comportamento del detentore. Il meccanismo della dose media giornaliera non era insomma il meccanismo perverso che trasformava, dinanzi alla legge, i consumatori in spacciatori: era il meccanismo che imponeva di condannare penalmente i consumatori.

b) abrogando l'art.76 della legge sulla droga, che stabiliva che la punibilità dei consumatori recidivi e già sottoposti a provvedimenti amministrativi ai sensi dell'art.75.

In questo modo si spezzò l'anello di congiunzione fra "il circuito amministrativo" ed il circuito penale per i consumatori di droga.

La normativa di risulta (tuttora in vigore) stabilisce che:

a) non sono possibili procedimenti ex art.73 fondati unicamente sulla quantità di sostanza detenuta; anche le recenti sentenze della Corte di Cassazione accolgono e "ratificano" questa interpretazione; dal 1993 ad oggi, sia pure in modo confuso e contraddittorio, la dose media giornaliera era sopravvissuta, ed era stata quasi reintrodotta per via giurisprudenziale, sia pure in modo del tutto improprio: come prova o come indizio grave di una finalità di spaccio.

b) il consumo non è mai sanzionato penalmente. La stessa Corte Costituzionale, nel rigettare un incidente costituzionale sollevato da un Gip di Roma (nel caso "Pannella a Porta Portese") sulla norma della legge sulla droga che equipara la cessione gratuita allo "spaccio", ha contestualmente chiarito che l'esito del referendum è da interpretarsi nel senso della depenalizzazione degli atti che rientrano "nella sfera del consumo" ( "ne risulta tracciata una cintura protettiva del consumo, volta ad evitare il rischio che l'assunzione di sostanze stupefacenti possa indirettamente risultare di fatto assoggettata a sanzione penale" sent.296/96). Analogamente, su di una questione di legittimità costituzionale sollevata da un Gip di Savona in ordine alla "automatica" penalizzazione della "coltivazione per uso personale" di cannabis, la Consulta ha ammesso a motivazione della sentenza di rigetto la possibilità di una "esegesi adeguatrice del dato normativo impugnato" (sent.443/94). Nella sostanza ha ammesso la possibi

lità, già consentita dall'attuale normativa, di valutare, in sede di merito, se "proprio alla luce e nel quadro del riferito ius superveniens" (leggasi: esito del referendum) "l'operata depenalizzazione di <> sia già interpretativamente estensibile alle condotte di chi <> (le sostanze in oggetto per il fine indicato)". In pratica, ha chiarito che la coltivazione ad uso personale non è da considerarsi di per sé oggetto della sfera di applicazione dell'art.73.

Ora, se è evidente che il risultato referendario separa chiaramente l'area del consumo e l'area dello "spaccio", è altrettanto vero che indirettamente modifica la ratio legis anche in ordine alla strategia di contrasto della diffusione delle droghe proibite. Nella sentenza citata (296/96) la Consulta lo ammette chiaramente: "Per effetto dell'esito referendario...è stata modificata la strategia di (confermato) contrasto della diffusione della droga..."; ma la modifica non è solo nel senso inteso dell'isolamento della posizione dell'assuntore, ma anche in quello del sostanziale isolamento (dal circuito penale) delle condotte immediatamente riferibili al consumo, o comunque esterne rispetto all'area del "commercio" (inteso indistintamente) delle droghe. La riprova è data dalla stessa Consulta che solo dopo l'esito del referendum ammette (dopo averla in precedenza esclusa...da cercarsi sentenza su caso-Saraceni) una assimilazione alla detenzione anche della coltivazione ad uso personale, che nel quadro normati

vo pre-referendario era considerata da sottoporsi sempre a disciplina penale, perché comunque atta ad un accrescimento della quantità di droga in circolazione.

Delle tre condotte che, in ragione del risultato referendario dovrebbero essere depenalizzate- la coltivazione per uso personale, il consumo di gruppo, e la cessione gratuita-, per le prime due si sono già aperti- in conseguenza del voto referendario- ampi e contraddittori spiragli giurisprudenziali. In un caso (già descritto) da parte della Consulta, nell'altro da parte della Cassazione, che considera (cercare sentenza) non punibile il consumo di gruppo quando questo sia stato occasionato da un acquisto comune, e dunque non configuri un profilo di cessione (gratuita o no) fra gli assuntori, ma unicamente quello della co-detenzione. Queste innovazioni giuripsrudenziali, se da un lato confermano la sostanziale modifica che il referendum ha apportata alla ratio della legge sulla droga, dall'altro si rivelano, per loro natura, fonte di confusione e quindi dovrebbero imporre una riforma legislativa che ne recepisca le indicazioni, e ne risolva le contraddizioni. Lo stesso discorso dovrebbe farsi in ordine alla c

essione gratuita. Se dal referendum deriva questo "doppio" isolamento dal circuito penale (del consumo e delle condotte propedeutiche, e comunque esterne alla sfera del commercio), non è dunque più coerente tenere ferma la "tutela penale" rispetto ad alcune condotte, la cui offensività consiste unicamente nel potenziale (e del tutto astratto) accrescimento della diffusione delle droghe proibite che da esse deriverebbe.

Dal punto di vista politico, il risultato referendario- se lo si vuole considerare sotto il profilo della "volontà del legislatore"- emerge come tentativo di abrogazione complessiva, sia pure nei limiti imposti dallo strumento, di ogni penalizzazione non sia relativa a condotte di "spaccio": che non comporti cioè forme di illecito arricchimento del detentore. Se aveva una qualche coerenza- nel quadro pre-referendario- la penalizzazione di qualunque condotta relativa alle droghe proibite, anche delle più interne, propedeutiche, o immediatamente legate alla sfera del consumo (perché anche il consumo, fuori da alcune ristrettissime ipotesi, era penalizzato), l'esito del referendum ha chiaramente indicato un assetto alternativo della legge, e ne ha capovolto l'impostazione, limitando l'applicazione delle pene previste dall'art.73 ad alcuni comportamenti di natura del tutto diversa da quelli che la mancata adeguazione della legge alla ratio dell'abrogazione popolare continua ad attrarre verso il circuito penale.

Su queste basi si può dunque affermare che la depenalizzazione della cessione gratuita, del consumo di gruppo, e della coltivazione per uso personale di droghe proibite, costituisce- oltre che un obiettivo politico auspicabile- una conseguenza diretta, un completamento ed una attuazione del risultato referendario del 1993.

 
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