Vorrei tentare di fare alcune riflessioni sulla situazione attuale in Tibet alla luce di alcuni episodi che sono accaduti in questi ultimi mesi e che offrono delle interessanti e nuove chiavi di lettura per la crisi tibetana.
Tentero', attraverso un ordine cronologico degli avvenimenti, in primo luogo di dare una giustificazione alle mie analisi e contemporaneamente di dimostrare come gli avvenimenti stiano facendo precipitare la crisi tibetana verso una definitiva normalizzazione.
1) La politica commerciale USA
La politica commerciale americana negli ultimi due anni e' radicalmente cambiata nei confronti della Cina innanzitutto per un dovuto confronto con un futuro protagonismo mondiale della economia cinese, ma anche per avere importanti alleati sul fronte della ancora irrisolta "crisi nord-coreana".
Dall'altra parte gli americani gia' da anni hanno ammorbidito la loro politica commerciale non subordinandola piu' al rispetto dei diritti umani e, mi sembra di capire, provocando una sfumata crisi (se non gioco delle parti) all'interno del movimento dei tibetani in esilio.
Anche gli ultimi episodi, ben descritti dal Sole 24 ore, fanno vedere che lo spazio di dialogo tra Cina e USA e' non solo possibile, ma, diciamo, garantito a determinate condizioni.
2) La politica della Cina del dopo-Deng
La Cina puo' essere scossa nei prossimi mesi da grossi momenti di istabilita' politica. La morte di Deng (se non gia' avvenuta) aprira' la guerra alla successione che vede in corsa il vecchio apparato di partito, sensibile alle riforme del "comunismo liberale" contro una destra autoritaria che potrebbe invece imporre dei freni allo sviluppo delle riforme.
L'attualo apparato ha estremo bisogno di aiuti esterni: economici, religiosi, politici.
3) La posizione della Chiesa di Papa Wojtila
Se poi aggiungiamo in questo difficile e complicato puzzle una nuova politica della Chiesa di Giovanni Paolo II che arriva a definire il buddhismo "sistema ateo" dando il via ad un aspro dibattito addirittura all'interno della teologia cattolica ed aprendosi ad un possibile investimento missionario nella grande Cina, il gioco delle parti sembra chiuso.
Ricordiamo che a Manila durante il grande meeting organizzato per la visita di Papa Wojtila nel gennaio di quest'anno erano presenti, per la prima volta, rappresentanti della Chiesa Patriottica, la chiesa ufficiale della Repubblica Popolare cinese.
4) I tibetani in esilio
All'interno del movimento dei tibetani si stanno delineando sempre piu' marcatamente due tendenze apparantemente differenti, ma che potrebbero essere due momenti di una nuova strategia a medio termine. Da una parte il Dalai Lama, massima espressione religiosa vivente del buddhismo tibetano, propone un Tibet legato, comunque, alla Cina ma con ampie autonomie - una specie di Hong Kong - e dichiara, quasi criticamente, che la politica dal 1959 - anno dell'occupazione militare cinese in Tibet - in poi era improntata da "anticomunismo e fortemente anticinese". Dall'altra parte si pone invece il presidente del parlamento tibetano in esilio Rimpoche con la sua politica intransigente, dura, frontale per un Tibet libero ed indipendente, in nome dei morti, delle deportazioni, delle torture.
5) Gli aiuti ai tibetani
Non escludo che comunque parte dei finanziamenti della amministrazione americana, della CIA, ai tibetani siano stati sensibilmente ridotti.
6) In Tibet
Gli osservatori internazionali denunciano negli ultimi mesi un deteriorarsi della situazione. Le forze di polizia e l'esercito cinese stanno aumentando le misure di repressione.
- Conclusioni
Si potrebbe concludere che in questo momento gli interessi americani siano piu' attenti a risolvere la crisi Nord-coreana con la Cina potenziale alleato e che la Cina abbia bisogno dell'aiuto americano sia per garantirsi una transizione dolce che per avere un mercato commerciale fuori dai confini.
La Cina, forse, ha anche necessita' di garantirsi una nuove sponda religiosa, piu' sensibile ai rapporti con lo stato, come da sempre e' la Chiesa Apostolica romana.
Va da se' che la Cina potrebbe in questa fase "chiudere i conti" con la questione Tibet.
Il Dalai Lama, credo, voglia mantenere uno spiraglio di dialogo con la proposta del "un paese, due sistemi".