Vorrei fare alcune considerazioni riguardo a quanto scritto ieri su Conferenza Tibet da M. Lensi. Più che di due linee all'interno del mondo politico dei profughi tibetani, una espressa dal Dalai Lama e l'altra dal Presidente del parlamento tibetano in esilio Prof. Samdog Rimpoche (a proposito, il termine Rimpoche vuol dire in tibetano "Prezioso" ed è l'appellativo onorifico con cui si indacano tutti i lama reincarnati; per il galateo tibetano sarebbe quindi molto maleducato non aggiungere Rimpoche al nome di un lama reincarnato, quindi non è consigliabile chiamare il Presidente del parlamento tibetano in esilio Prof. Samdog, ma è molto più corretto rifersi a lui come Samdog Rimpoche). Ma tornando al discorso politico, come dicevo a mio avviso non si tratta di due linee. Il Dalai Lama presentò al Parlamento Europeo, a Strasburgo nel Giugno 1988, una proposta che, nel tentativo di smuovere la sordità cinese al dialogo, rinunciava a una indipendenza formale in cambio di una effettiva e forte autonomia del Tibe
t nel suo complesso e non solo delle regioni di U-Tsang (meno della metà dell'intero territorio tibetano) che compongono la Regione Autonoma del Tibet (TAR). Purtroppo anche una proposta così moderata venne scartata da pechino e definita come una richiesta di semindipendenza mascherata. A questo punto il Dalai Lama ha, da una parte indetto un referendum pubblico tra i tibetani che vivono in esilio e clandestino nel Tibet occupato per dare la possibilità di esprimersi al suo popolo sulla futura politica da tenere dopo che le autorità cinesi non avevano preso in considerazione nemmeno la proposta di Strasburgo. Dall'altra il Dalai Lama, che oltre ad essere leader del Tibet e premio Nobel per la pace è anche un sant'uomo dotato di una pazienza infinita, continua a far presente ai cinesi che una posizione moderata potrebbe essere sempre la migliore delle soluzioni. Questo è il punto di vista del Dalai Lama che, non va mai dimenticato, per il ruolo che svolge e il prestigio che riveste nella società tibetana (sia
in quella dell'esilio sia in quella in Tibet) non può essere ridotto all'espressione di una linea politica contrapposta ad un'altra ma va invece considerato come quello di un'autorità super partes. In altri termini la visione del Dalai Lama vuole tenere aperte tutte le porte, anche quelle che oggi sembrano più impossibili da aprire, e quindi continua a ricordare ai cinesi che esiste sempre una possibilità di incontro anche se ha ben presente, e più volte lo ha ricordato, che Pechino è assolutamente sorda da questo orecchio, tanto è vero che lo scorso Settembre il Dalai Lama ha pubblicamente "fallita", almeno per il momento, la sua politica di colloquio con i cinesi.
Altra è invece la situazione della società tibetana dell'esilio dove, democraticamente si confrontano e si esprimono diverse ipotesi di lotta politica di cui forse la più popolare e proprio quella espressa da Samdog Rimpoche e dalle otto organizzazioni non governative che hanno indetto la Marcia della Pace da New Delhi a Lhasa. Questa posizione, secondo me molto lucidamente, ritiene che con l'attuale dirigenza cinese non ci siano spazi per un dialogo reale e è perfettamente consapevole di quanto il Dalai Lama sta affermando da tempo e cioè che questi sono gli ultimi anni per impedire la totale distruzione della civiltà tibetana minacciata dall'assenza di ogni libertà democratica, dalla repressione feroce e, soprattutto, dalla politica di trasferimento di popolaziane cinese in Tibet che già oggi vede gli han maggioritari in Tibet, dove i tibetani sono ormai minoranza negletta. Secondo Samdog Rimpoche e molti altri leader tibetani sono quindi oggi necessarie azioni drammatiche, sempre però nel rispetto della n
onviolenza, tese a ricordare al mondo e all'opinione pubblica internazionale le terribili condizioni del Tibet affinchè qualcosa si muova e la Cina venga costretta ad aprire un tavolo di trattative con il Dalai Lama e il suo governo in esilio.
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