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Conferenza Tibet
Sisani Marina - 10 marzo 1995
MESSAGGIO DEL XIV DALAI LAMA PER IL 36· ANNIVERSARIO DELL'INSURREZIONE NAZIONALE TIBETANA

traduzione Piero Verni

Il mondo sta attraversando grandi cambiamenti. Mentre in molte aree di crisi sta nascendo un nuovo spirito di riconciliazione, purtroppo stanno nascendo anche nuovi conflitti. Noi stiamo cercando di trovare una soluzione pacifica al problema tibetano e speriamo che anche in Tibet potranno prodursi cambiamenti positivi. Ma, nel momento in cui commemoriamo il 36· anniversario dell'insurrezione del nostro popolo, devo prendere atto con dolore che molto poco è cambiato nel nostro Paese e la nostra gente continua a soffrire. In effetti il governo cinese ha intensificato la repressione in Tibet. La recente politica cinese dimostra più chiaramente che mai la volontà di risolvere il problema tibetano tramite l'uso della forza, dell'intimidazione e il trasferimento della popolazione.

Le autorità cinesi hanno da poco adottato una serie di nuove misure per intensificare il controllo politico del Tibet. Sotto l'egida di un programma di "investigazione e controllo" dure misure di sicurezza sono state attuate e una nuova campagna repressiva è stata lanciata contro i militanti per i diritti umani e l'indipendenza. Vittime di questa nuova persecuzione politica sono anche tutti quei tibetani che lavorano per la preservazione della cultura tibetana che comprende l'insegnamento della lingua tibetana e l'apertura di scuole private. Gli aderenti e i quadri tibetani del Partito Comunista Cinese sono sottoposti ad una rieducazione politica che ricorda i giorni della Rivoluzione Culturale. Tutti coloro che sono sospettati di avere sentimenti religiosi e patriottici vengono epurati. I monasteri sono stati rastrellati dalla Polizia Popolare Armata e la catena di arresti politici si estende ormai anche alle zone rurali. E' stata proibita la ricostruzione e la riparazione dei monasteri e bloccata l'ammissi

one di nuovi monaci e monache. Gli agenti di viaggio e le guide turistiche tibetane sono stati licenziati per poter controllare il flusso di informazioni e ai bambini tibetani non è più consentito di studiare all'estero ed a quanti lo stanno facendo è stato ordinato di tornare.

Queste nuove misure politiche sono state adottate a Pechino lo scorso Luglio durante una importante conferenza politica in cui sono anche stati annunciati 62 nuovi "progetti economici di sviluppo" per il Tibet. Come in passato questi progetti sono concepiti principalmente per incrementare l'immigrazione di coloni cinesi in Tibet e per annegare i Tibetani in un mare di popolazione cinese. E' inoltre particolarmente allarmante l'intenzione espressa dalla Cina di costruire una rete ferroviaria nel Tibet centrale . Nelle circostanze attuali questo progetto condurrà ad una accelerazione drammatica del trasferimento di popolazione cinese. Per comprendere cosa significherà per la sopravvivenza del popolo tibetano e della sua peculiare eredità culturale , la costruzione di una ferrovia basta guardare alla moltitudine di cinesi che arrivano ogni settimana in treno nelle differenti parti del Turchestan Orientale.

Negli ultimi 15 anni ho cercato di risolvere il problema sino-tibetano in uno spirito di amicizia e cooperazione, fuori da qualsiasi sentimento di inimicizia nei confronti dei cinesi. Ho continuamente e sinceramente tentato di coinvolgere il governo cinese in negoziati sul futuro del Tibet. Sfortunatamente la Cina ha rigettato le mie proposte per una soluzione negoziata del nostro problema. Al contrario Pechino ha posto come precondizione per ogni negoziato che io riconoscessi formalmente il Tibet come "inseparabile parte della Cina". E' meglio lasciare agli storici cinesi e tibetani, affinché la studino obiettivamente, L' effettiva natura delle relazione storiche tra Tibet e Cina. Ma io chiedo anche ad altri studiosi, così come a giuristi internazionali ed alle loro istituzioni, di studiare la storia del Tibet e trarre le loro personali e libere conclusioni.

In passato mi sono deliberatamente astenuto dall'enfatizzare lo status storico e legale del Tibet. Ritengo che sia più importante guardare al futuro che non al passato. In teoria non è impossibile che sei milioni di tibetani possano trarre beneficio dall'unirsi spontaneamente al miliardo di cinesi se potrà essere stabilita una relazione basata sull'uguaglianza, il rispetto e l'interesse reciproco. Se la Cina vuole che il Tibet faccia parte della Cina deve però creare le necessarie condizioni. Ma oggi la realtà è quella di un Tibet occupato e sotto un giogo coloniale. Questo è il problema essenziale che deve essere affrontato e risolto tramite negoziati.

Negli ultimi anni la nostra causa è molto cresciuta per quanto riguarda l'interesse e l'appoggio internazionali. E di questa nuova situazione ne sono prova i dibattiti sulla situazione nel Tibet avvenuti alle Nazioni Unite durante la Terza Riunione dell'Assemblea Generale della Commissione sui Diritti Umani e le relazioni dei Relatori dell'ONU . L'anno scorso mi sono appellato alla comunità internazionale affinché intervenga per facilitare l'inizio di negoziati tra i miei rappresentanti e il governo cinese. Un buon numero di governi asiatici e occidentali ha offerto aiuti ed appoggiato, sia pubblicamente sia tramite i canali diplomatici, la mia richiesta di negoziati . Voglio qui ringraziare questi governi per il loro appoggio. E' importante che la comunità internazionale, e specialmente le nazioni democratiche, continuino ad inviare messaggi alla Cina in cui si afferma chiaramente che il suo comportamento in Tibet è deplorevole e che la questione tibetana può essere risolta solo tramite pacifici negoziati

senza precondizioni da entrambe le parti. Abbiamo urgente bisogno di ottenere reali progressi nella soluzione del problema tibetano. L'attuale mancanza di ogni progresso in questo ambito aumenta il pericolo che conflitti violenti possano scoppiare in Tibet.

Molti tibetani hanno espresso critiche senza precedenti riguardo alla mia idea di trovare un compromesso sulla totale indipendenza . Inoltre l'assenza di risposte positive da parte del governo cinese alle mie concilianti proposte ha accresciuto il senso di impazienza e frustrazione del mio popolo. Quindi ho proposto l'anno scorso che l'intera questione sia sottoposta a referendum. In ogni caso però, fino a quando io guiderò la nostra lotta per la libertà, non ci saranno deviazioni dal sentiero della nonviolenza.

Questo referendum dovrà cercare di chiarificare il corso politico della nostra lotta. Una reale ed onesta discussione delle differenti possibilità che abbiano davanti a noi dovrà aver luogo tra il popolo tibetano. Ritengo però impossibile, nelle attuali condizioni, che un referendum del genere potrà essere effettuato all'interno del Tibet. Non di meno saremo in grado di trovare delle vie per raccogliere i punti di vista rappresentativi dalle differenti aree del Tibet e di svolgere accuratamente la consultazione tra la nostra comunità in esilio.

Mentre ci prepariamo a questo referendum, voglio chiarire che rimango disponibile nei confronti di ogni apertura cinese per i negoziati. Continuo ad essere legato allo spirito del mio approccio della "via di mezzo" e spero che i continui sforzi internazionali volti a persuadere il governo cinese ad aprire negoziati con noi possano in futuro portare risultati concreti. Il nostro gruppo di negoziatori rimane pronto ad aprire colloqui in ogni momento per un mutuo beneficio. Presto o tardi, una leadership cinese, flessibile e di ampie vedute, comprenderà l'importanza di risolvere il problema del Tibet attraverso negoziati condotti in uno spirito di riconciliazione e dialogo. Questa rimane l'unica via per assicurare quella stabilità che l'attuale gruppo dirigente cinese asserisce essere la sua prima preoccupazione. Comunque, una effettiva stabilità si deve basare sulla fiducia reciproca, il consenso e il beneficio di tutte le parti in causa e non sull'uso della forza.

La posizione geografica del Tibet, situato nel cuore dell'Asia, gli conferisce una enorme importanza strategica. Per secoli il Tibet è stato una nazione cuscinetto che ha assicurato la pace all'intera regione. Le implicazioni della presenza cinese in Tibet vanno molto al di là dei confini tibetani. Negli ultimi 40 anni il Tibet ha subito una militarizzazione senza precedenti che, insieme con il massiccio trasferimento di popolazione cinese, ha cambiato il carattere pacifico dell'altopiano tibetano. Se questa allarmante tendenza continua, non sarà solo minacciata la sopravvivenza del popolo e della cultura tibetane, ma si avranno serie ripercussioni per l'intera regione.

Le tradizioni spirituali e culturali del Tibet hanno contribuito allo sviluppo della pace in Asia. Il Buddismo non ha solo mutato il Tibet in una nazione amante della pace dopo un periodo di grande potenza militare, ma si è anche diffuso dalle regioni himalaiane alla Mongolia e ad altri luoghi dell'Asia centrale, infondendo in milioni di persone una attitudine spirituale pacifica e tollerante. Il Buddismo non è estraneo alla stessa Cina ed io credo fermamente che questa religione potrà in futuro essere di grande aiuto nel dare valori spirituali e una mentalità pacifica ed armoniosa a milioni di cinesi.

Con l'occupazione del Tibet, il Buddismo tibetano è stato portato via dalla sua culla e dalla sua terra, privando il popolo tibetano non solo del diritto alla libertà religiosa ma anche mettendo in pericolo la stessa sopravvivenza di questa ricca tradizione spirituale e culturale in Tibet e nell'Asia centrale. Tutto questo è mostrato con particolare evidenza dalla politica cinese che ha voluto dividere il Tibet in tante differenti unità amministrative, la maggior parte delle quali sono state incorporate nelle adiacenti province cinesi. Storicamente, il contributo dei tibetani di queste aree all'eredità culturale e spirituale del Tibet è stato immenso. Ma essendo oggi solo delle piccole minoranze all'interno di province cinesi sarà molto difficile per questi tibetani poter preservare a lungo la loro cultura buddista e la loro peculiare identità. Le aree tibetane che si trovano fuori della cosiddetta Regione Autonoma del Tibet comprendono una grande parte della regione tibetana e vi abitano circa quattro dei s

ei milioni di tibetani. La soluzione al problema del Tibet non può essere trovata senza che queste parti del Tibet siano incorporate in un'unica entità tibetana. Questo è fondamentale per la sopravvivenza della cultura del Tibet.

Infine, voglio rendere omaggio al coraggio delle donne e degli uomini del Tibet che sono morti per la causa della nostra libertà. Prego anche per quei nostri compatrioti che in questo momento stanno soffrendo torture fisiche e psicologiche nelle prigioni cinesi. Non passa giorno che io non preghi per una rapida fine delle sofferenze del nostro popolo. Credo che oggi la domanda non sia se il Tibet sarà libero ma piuttosto quando.

Con tutte le mie preghiere,

Il Dalai Lama

 
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