da La Stampa - 20 Aprile 1995
¼IN ARMI PER DIFENDERE BUDDHA
Il Dalai Lama confessa: volevo un esercito.
¼Si', avremmo dovuto arruolare un esercito per difendere il nostro
Tibet . Affermazione clamorosa, specie se arriva dal piu' alto
rappresentante di una religione basata sulla non violenza. Sua Santita' il
Dalai Lama e' nel Monastero di Thekchen Choeling, nel nord dell'India. Al
centro della stanza c'e' una stufa; fuori, grida di corvi e le cime
innevate dell'Himalaya. Il ¼si' alle armi non e' l'unica affermazione
sorprendente raccolta dal giornalista francese Jean-Claude Carriere in
giorni e giorni di colloquio con Tenzin Gyatso, il quattordicesimo Dalai
Lama.
Questi incontri sono ora in un libro, "La Compassione e la Purezza", in
uscita da Rizzoli; 230 pagine di speranza (ne pubblichiamo di seguito
alcuni brani) che affrontano con semplicita' una dottrina fondata su venti
secoli di meditazione e i temi che ne stanno alla base: il rispetto per la
natura e per ogni essere, la reincarnazione, l'esercizio della compassione,
virtu' attualissima che i laici chiamano "solidarieta'" e i cattolici
"carita'". Ma anche la scienza, il big-bang e il potere dei mass-media: il
Buddhismo tibetano, pur continuando tenacemente a credere nell'innata
bonta' dell'uomo e insieme nella vanita' della storia, sta compiendo un
grande sforzo per modernizzarsi e restare al passo con i tempi.
Il Tibet, indipendente da secoli, e' stato invaso dai cinesi nel 1950. Per
nove anni il Dalai Lama, che allora aveva 15 anni, ha cercato di resistere:
ha incontrato Mao Tse-tung, Zhou En-lai, si e' appellato ad altre
superpotenze. Niente da fare. I cinesi hanno massacrato un milione di
tibetani (su sei), hanno espropriato, deportato, sterilizzato le donne.
Oggi il popolo tibetano e' minacciato di estinzione, i quartieri vecchi di
Lhasa vengono rasi al suolo con il pretesto dell'insalubrita'.
L'immigrazione cinese in Tibet e' altissima, gli "invasori" incarcerano i
tibetani fedeli alla propria religione.
Il Dalai Lana, in esilio da 35 anni, ha imparato a fare i conti con la
realta': non sogna piu' l'indipendenza, si accontenterebbe di piu' rispetto
e autonomia per la sua gente. Nessuno dei grandi problemi lo lascia
indifferente, compresa la televisione: i proprietari dei canali tv, dice,
non pensino solo all'audience: ¼esercitano un potere, che lo vogliano o no.
Questo conferisce loro una responsabilita', paragonabile a quella religiosa
o politica. Contribuiscono alla costruzione e al mantenimento di una
comunita' umana. Il benessere di questa comunita' dev'essere la loro prima
preoccupazione . Poi ammette, di fronte alle insistenze del giornalista,
che ¼un po' di violenza nella tv e' utile, se fa indignare e muove alla
compassione .
Un'altra affermazione scandalosa ? ¼Quando parla dei mass-media - dice
Sergio Quinzio - il Dalai Lama vede i pericoli del potere televisivo e
della sua scuola dell'orrore. Ma, da buon orientale, smorza subito
qualsiasi rigido giudizio. L'Oriente, mi pare, ci porta a questa forse
troppo equilibrata saggezza. In ogni caso anche il pacifico buddhismo,
esteso sull'enorme continente asiatico e diviso da molti secoli in un
intrico insondabile di scuole, a volte guerriere e spesso in polemica fra
loro, conosce la violenza . ¼Il buddhismo - conferma la tibetologa
Giacomella Orofino, che con l'orientalista Raniero Gnoli ha recentemente
curato per Adelphi un testo del santo tibetano Naropa - sa bene che la
violenza esiste, che il dolore e' il fondamento dell'esistenza umana e che
bisogna prenderne consapevolezza. Quanto all'esercito, il Dalai Lama parla
come capo politico in esilio . Anche Gnoli e' d'accordo con la realpolitik
del Dalai LAma: ¼Il buddhismo e' flessibile: quando il "darma" e'
gravemente in pericolo, per il bene della comunita' si puo' ricorrere ad
azioni non proprio ortodosse .
Per il Tibet il Dalai LAma e' pronto a farsi da parte, se i concittadini lo
decideranno nel referendum che lui stesso ha proposto per decidere il
destino del paese: ¼I cinesi ripetono che ho un solo desiderio: restaurare
il vecchi regno, riottenere servi, privilegi e le mille stanze del Potala.
E poi, fino al XVI secolo il Tibet ha vissuto benissimo senza Dalai Lama.
Il prossimo governo del Tibet dev'essere eletto democraticamente .
Probabilmente sara' l'ultimo Dalai Lama, rinuncera' al potere. Un
insegnamento in piu' per l'Occidente.
Carlo Grande
¼IL BENE A VOLTE E' NOIOSO
le insospettabili ricette del "maestro della pace"
¼Il mio predecessore, Thupten Gyatso, il tredicesimo Dalai Lama, quando
mosi', nel 1933, annuncio' chiaramente nel suo testamento che un terribile
pericolo sarebbe venuto un giorno dal comunismo. Comprendendo gia' che non
avremmo potuto in alcun modo resistere fisicamente ai nostri grandi vicini,
la Cina e l'India, e che bisognava usare una accorta diplomazia, si rivolse
ai nostri vicini piu' piccoli, Nepal e Bhutan .
¼Per fare loro quale proposta ?
¼Una sorta di difesa comune: arruolare un esercito, addestrarlo al meglio .
Sorride aggiungendo: ¼Cosa che, fra noi, non e' una pratica rigorosa di non
violenza .
¼Come reagirono Nepal e Bhutan ?
¼Non reagirono. Ignorarono semplicemente questa proposta. Ora vedo tutta la
portata del presentimento del mio predecessore. Ad esempio, voleva portare
a Lhasa giovani della regione del Kham, all'Est, regione dura, poco
popolata, vicina alla Cina, e conferire loro il rango di veri tibetani, con
un addestramento militare completo. Politicamente significava vedere molto
lontano. Gia' avanzava l'idea per cui la difesa di una terra debba essere
garantita da coloro che occupano questa terra .
¼Bisognava dunque dare loro armi ?
¼E' quello che diceva. quest'uomo avvertiva con grande sensibilita' il
movimento del mondo intorno a lui. Voleva seguire il cambiamento, non
voleva lasciare il proprio paese indietro, o da parte .
¼Se questa sua intenzione si fosse concretizzata, vent'anni piu' tardi il
Tibet avrebbe potuto resistere ?
¼Ne sono convinto. Ma non fu ascoltato. I dignitari non seguivano i suoi
ordini. ecco quelle che chiamiamo le condizioni del "karma collettivo", si
potrebbe anche dire le circostanze ...
(...)
Sorride allora per dirmi: ¼Si', ma e' noto che i buoni sentimenti non
suscitano che noia e conducono pian piano al sonno. Talvolta, puo' essere
buona cosa mostrare un crimine .
¼In che senso ?
¼Poiche' abbiamo in noi una compassione naturale, e questa compassione deve
manifestarsi, puo' essere bene destarla. Una violenza fatta su una persona
innocente, ad esempio, puo' farci indignare, puo' scandalizzarci, e nel
contempo aiutarci a scoprire la nostra compassione
¼Tutto dipende dalla risposta del pubblico ...
Sono un po' stupito di vederlo prendere le difese, da un punto di vista
strettamente buddista, di una certa forma di violenza pubblica. Poco prima
denunciava al contrario la violenza e la morte manifesta degli animali,
come se fosse importante non far vedere. Ora, almeno per quanto riguarda la
violenza esercitata su esseri umani, sembra mitigare il proprio
atteggiamento.
Aggiunge: ¼La televisione, grazie alla sua stessa violenza, puo' mantenerci
in stato di all'erta
¼Coloro che studiano l'influenza della televisione hanno la tendenza a dire
il contrario: che essa non fa che aggravare la nostra indifferenza .
¼In che modo ?
¼Perche' tutto vi e' presentato allo stesso livello di interesse. Ora, mi
sembra, il nostro spirito, per essere colpito da un avvenimento per
ricordarsene a lungo, deve distinguerlo dagli altri
¼Se la violenza porta alla compassione mi risponde ¼e' una buona cosa. Se
l'accumulo di violenza porta all'indifferenza, e' in effetti molto
pericoloso .
Jean-Claude Carriere
Paolo Pobbiati - Softspin 1995