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Conferenza Tibet
Pobbiati Paolo - 6 maggio 1995
In armi per difendere il Buddha

da La Stampa - 20 Aprile 1995

¼IN ARMI PER DIFENDERE BUDDHA

Il Dalai Lama confessa: volevo un esercito.

¼Si', avremmo dovuto arruolare un esercito per difendere il nostro

Tibet . Affermazione clamorosa, specie se arriva dal piu' alto

rappresentante di una religione basata sulla non violenza. Sua Santita' il

Dalai Lama e' nel Monastero di Thekchen Choeling, nel nord dell'India. Al

centro della stanza c'e' una stufa; fuori, grida di corvi e le cime

innevate dell'Himalaya. Il ¼si' alle armi non e' l'unica affermazione

sorprendente raccolta dal giornalista francese Jean-Claude Carriere in

giorni e giorni di colloquio con Tenzin Gyatso, il quattordicesimo Dalai

Lama.

Questi incontri sono ora in un libro, "La Compassione e la Purezza", in

uscita da Rizzoli; 230 pagine di speranza (ne pubblichiamo di seguito

alcuni brani) che affrontano con semplicita' una dottrina fondata su venti

secoli di meditazione e i temi che ne stanno alla base: il rispetto per la

natura e per ogni essere, la reincarnazione, l'esercizio della compassione,

virtu' attualissima che i laici chiamano "solidarieta'" e i cattolici

"carita'". Ma anche la scienza, il big-bang e il potere dei mass-media: il

Buddhismo tibetano, pur continuando tenacemente a credere nell'innata

bonta' dell'uomo e insieme nella vanita' della storia, sta compiendo un

grande sforzo per modernizzarsi e restare al passo con i tempi.

Il Tibet, indipendente da secoli, e' stato invaso dai cinesi nel 1950. Per

nove anni il Dalai Lama, che allora aveva 15 anni, ha cercato di resistere:

ha incontrato Mao Tse-tung, Zhou En-lai, si e' appellato ad altre

superpotenze. Niente da fare. I cinesi hanno massacrato un milione di

tibetani (su sei), hanno espropriato, deportato, sterilizzato le donne.

Oggi il popolo tibetano e' minacciato di estinzione, i quartieri vecchi di

Lhasa vengono rasi al suolo con il pretesto dell'insalubrita'.

L'immigrazione cinese in Tibet e' altissima, gli "invasori" incarcerano i

tibetani fedeli alla propria religione.

Il Dalai Lana, in esilio da 35 anni, ha imparato a fare i conti con la

realta': non sogna piu' l'indipendenza, si accontenterebbe di piu' rispetto

e autonomia per la sua gente. Nessuno dei grandi problemi lo lascia

indifferente, compresa la televisione: i proprietari dei canali tv, dice,

non pensino solo all'audience: ¼esercitano un potere, che lo vogliano o no.

Questo conferisce loro una responsabilita', paragonabile a quella religiosa

o politica. Contribuiscono alla costruzione e al mantenimento di una

comunita' umana. Il benessere di questa comunita' dev'essere la loro prima

preoccupazione . Poi ammette, di fronte alle insistenze del giornalista,

che ¼un po' di violenza nella tv e' utile, se fa indignare e muove alla

compassione .

Un'altra affermazione scandalosa ? ¼Quando parla dei mass-media - dice

Sergio Quinzio - il Dalai Lama vede i pericoli del potere televisivo e

della sua scuola dell'orrore. Ma, da buon orientale, smorza subito

qualsiasi rigido giudizio. L'Oriente, mi pare, ci porta a questa forse

troppo equilibrata saggezza. In ogni caso anche il pacifico buddhismo,

esteso sull'enorme continente asiatico e diviso da molti secoli in un

intrico insondabile di scuole, a volte guerriere e spesso in polemica fra

loro, conosce la violenza . ¼Il buddhismo - conferma la tibetologa

Giacomella Orofino, che con l'orientalista Raniero Gnoli ha recentemente

curato per Adelphi un testo del santo tibetano Naropa - sa bene che la

violenza esiste, che il dolore e' il fondamento dell'esistenza umana e che

bisogna prenderne consapevolezza. Quanto all'esercito, il Dalai Lama parla

come capo politico in esilio . Anche Gnoli e' d'accordo con la realpolitik

del Dalai LAma: ¼Il buddhismo e' flessibile: quando il "darma" e'

gravemente in pericolo, per il bene della comunita' si puo' ricorrere ad

azioni non proprio ortodosse .

Per il Tibet il Dalai LAma e' pronto a farsi da parte, se i concittadini lo

decideranno nel referendum che lui stesso ha proposto per decidere il

destino del paese: ¼I cinesi ripetono che ho un solo desiderio: restaurare

il vecchi regno, riottenere servi, privilegi e le mille stanze del Potala.

E poi, fino al XVI secolo il Tibet ha vissuto benissimo senza Dalai Lama.

Il prossimo governo del Tibet dev'essere eletto democraticamente .

Probabilmente sara' l'ultimo Dalai Lama, rinuncera' al potere. Un

insegnamento in piu' per l'Occidente.

Carlo Grande

¼IL BENE A VOLTE E' NOIOSO

le insospettabili ricette del "maestro della pace"

¼Il mio predecessore, Thupten Gyatso, il tredicesimo Dalai Lama, quando

mosi', nel 1933, annuncio' chiaramente nel suo testamento che un terribile

pericolo sarebbe venuto un giorno dal comunismo. Comprendendo gia' che non

avremmo potuto in alcun modo resistere fisicamente ai nostri grandi vicini,

la Cina e l'India, e che bisognava usare una accorta diplomazia, si rivolse

ai nostri vicini piu' piccoli, Nepal e Bhutan .

¼Per fare loro quale proposta ?

¼Una sorta di difesa comune: arruolare un esercito, addestrarlo al meglio .

Sorride aggiungendo: ¼Cosa che, fra noi, non e' una pratica rigorosa di non

violenza .

¼Come reagirono Nepal e Bhutan ?

¼Non reagirono. Ignorarono semplicemente questa proposta. Ora vedo tutta la

portata del presentimento del mio predecessore. Ad esempio, voleva portare

a Lhasa giovani della regione del Kham, all'Est, regione dura, poco

popolata, vicina alla Cina, e conferire loro il rango di veri tibetani, con

un addestramento militare completo. Politicamente significava vedere molto

lontano. Gia' avanzava l'idea per cui la difesa di una terra debba essere

garantita da coloro che occupano questa terra .

¼Bisognava dunque dare loro armi ?

¼E' quello che diceva. quest'uomo avvertiva con grande sensibilita' il

movimento del mondo intorno a lui. Voleva seguire il cambiamento, non

voleva lasciare il proprio paese indietro, o da parte .

¼Se questa sua intenzione si fosse concretizzata, vent'anni piu' tardi il

Tibet avrebbe potuto resistere ?

¼Ne sono convinto. Ma non fu ascoltato. I dignitari non seguivano i suoi

ordini. ecco quelle che chiamiamo le condizioni del "karma collettivo", si

potrebbe anche dire le circostanze ...

(...)

Sorride allora per dirmi: ¼Si', ma e' noto che i buoni sentimenti non

suscitano che noia e conducono pian piano al sonno. Talvolta, puo' essere

buona cosa mostrare un crimine .

¼In che senso ?

¼Poiche' abbiamo in noi una compassione naturale, e questa compassione deve

manifestarsi, puo' essere bene destarla. Una violenza fatta su una persona

innocente, ad esempio, puo' farci indignare, puo' scandalizzarci, e nel

contempo aiutarci a scoprire la nostra compassione

¼Tutto dipende dalla risposta del pubblico ...

Sono un po' stupito di vederlo prendere le difese, da un punto di vista

strettamente buddista, di una certa forma di violenza pubblica. Poco prima

denunciava al contrario la violenza e la morte manifesta degli animali,

come se fosse importante non far vedere. Ora, almeno per quanto riguarda la

violenza esercitata su esseri umani, sembra mitigare il proprio

atteggiamento.

Aggiunge: ¼La televisione, grazie alla sua stessa violenza, puo' mantenerci

in stato di all'erta

¼Coloro che studiano l'influenza della televisione hanno la tendenza a dire

il contrario: che essa non fa che aggravare la nostra indifferenza .

¼In che modo ?

¼Perche' tutto vi e' presentato allo stesso livello di interesse. Ora, mi

sembra, il nostro spirito, per essere colpito da un avvenimento per

ricordarsene a lungo, deve distinguerlo dagli altri

¼Se la violenza porta alla compassione mi risponde ¼e' una buona cosa. Se

l'accumulo di violenza porta all'indifferenza, e' in effetti molto

pericoloso .

Jean-Claude Carriere

Paolo Pobbiati - Softspin 1995

 
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