da Il Sole-24 ore, 9 maggio '95, pag. 13di Michele Calcaterra
Fortemente indebitata l'industria pubblica.
PECHINO - In Cina esistono circa 100mila aziende statali che occupano (milione più, milione meno) oltre 100 milioni di persone (1/3 del totale) che diventano circa 340 milioni (vale a dire un cinese ogni 4), se si considerano le persone, i nuclei familiari dipendenti, direttamente o indirettamente dall'apparato pubblico. Secondo i dati più recenti dell'Ufficio centrale di statistica il 45% del totale del settore è in perdita e contribuisce per il 40 % al totale della produzione industriale del Paese, rispetto all' 80,7 % del 1978.
Inoltre sistema produttivo pubblico e sistema bancario sono legati a doppio filo da operazioni di finanziamento triangolari (nella sostanza crediti senza reale garanzia da parte delle aziende e quindi da ritenersi inesigibili) per complessivi 80 miliardi di dollari.
Una situazione che è diventata insostenibile e che, come ci ha dichiarato qualche giorno fa a Pechino Zhu Guonxing, professore di economia all'Uibe (una delle principali università della capitale) ha bisogno di una radicale riforma.
»Il Governo, nel prossimo futuro - ha spiegato il docente - dovrà occuparsi esclusivamente dei problemi macroeconomici, lasciando la politica e la gestione delle aziende ai manager . Nella sostanza, quindi una suddivisione precisa dei compiti in cui lo Stato stabilisce le linee guida del Paese e le imprese operano autonomamente, in un regime di aperta competizione sul mercato.
E' più o meno quanto annunciato ieri dall'agenzia "Nuove Cina", secondo la quale Pechino avrebbe intenzione di lanciare un ampio programma di ristrutturazione e riorganizzazione del comparto pubblico, spingendo sulle privatizzazioni e, soprattutto, sull'efficenza delle imprese. Si tratta nè più, nè meno della conferma di quanto reso noto nel dicembre scorso dal Governo centrale in termini di rinnovamento e di obiettivi per il '95. Riforma del settore produttivo statale, che non può essere disgiunto da quello bancario; rivitalizzazione del settore agricolo; contenimento dell'inflazione al di sotto del 15% e crescita economica contenuta tra il 9 e il 10 per cento.
Si tratta, nel suo complesso, di un esercizio che presenta importanti problematiche di fondo, non ultimo quello legato al mantenimento della pax sociale in una delicata fase di transizione economica e soprattutto politica dato il precario stato di salute del vecchio leader Deng.
Il tasso ufficiale di disoccupazione in Cina è mantenuto artificialmente attorno al 2,5-3%, ma c'è chi dice che sia attorno a un più veritiero 15-17% tenuto conto dell'assistenzialismo sul quale si basa l'organizzazione del lavoro. Rompere questo modello, che ha fatto da collante per lo sviluppo industriale della Cina, per passare da un'economia pianificata a una di mercato, significherebbe andare probabilmente incontro a pesanti ripercussioni di carattere sociale. L'obiettivo dell'efficienza e quindi della produttività è strettamente legato al rinnovamento tecnologico delle imprese pubbliche e alla contestuale, forte riduzione, dei livelli di occupazione.
»Per non rompere gli equilibri esistenti - dice Zhu Guoxing - è quindi necessario procedere per gradualità. Senza strappi, per non destabilizzare l'ordine sociale. Si tenga conto che al problema dell'occupazione industriale si aggiunge, stringente, quello del settore agricolo. Un settore che rappresenta la spina dorsale del Paese, ma che negli ultimi anni è stato messo in secondo piano rispetto a quello manifatturiero. Tanto che le campagne si stanno spopolando a favore di una urbanizzazione che garantisce livelli di reddito ben più elevati di quelli agricoli.
Comunque sia, tornare indietro è impossibile. Da qui la decisione di procedere a radicali riforma, sia nel settore industriale, sia in quello bancario-finanziario, sia in quello agricolo con l'impegno da parte del Governo di aumentare gli stanziamenti annui per nuovi investimenti del 25% rispetto all'anno prima. Nel novembre dello scorso anno il vice primo ministro Zhu Ronji (incaricato dell'economia) aveva tuonato dichiarando che bisognava interrompere l'emorragia di fondi statali verso le imprese pubbliche. Solo un mese prima gli statunitensi, nella persona di Alan Greenspan, avevano offerto il loro aiuto.
Da allora sono passati sei mesi e qualcosa di concreto sembra ora si stia muovendo. Naturalmente, con tutte le cautele del caso per non turbare gli equilibri. Un processo lungo, tenuto conto anche del fatto che il Paese sta dotandosi di nuovi sistemi legislativi e fiscali. In questa logica il Paese dovrà attentamente procedere a una ridistribuzione della ricchezza, e a una rivalutazione complessiva delle Province più povere, tramite investimenti provenienti dall'Estero.
»Forse - come dice Zhu Guoxing - un primo passo verso una nuova Cina federalista in cui al potere del Governo centrale si contrapporrà quello delle varie Province. Un nuovo tipo di organizzazione che lo stesso Mao, a suo tempo, aveva ampiamente discusso .
PECHINO PREPARA NUOVE PRIVATIZZAZIONI
da Il Sole-24 ore, 9 maggio '95, pag. 13, di Michele Calcaterra