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Conferenza Tibet
Partito Radicale Olivier - 31 maggio 1995
SATYAGRAHA

(Truth-Insistence)

di Samdhong Losang Tenzin Rimpoche, presidente del Parlamento Tibetano in esilio

10 Marzo 1995

INTRODUZIONE

A partire dalla violenta e oppressiva invasione del Tibet da parte dei comunisti cinesi, i Cinesi hanno governato e continuano a governare il Tibet con immoralità senza precedenti, che contravviene al diritto internazionale, sia alle speranze del popolo tibetano.

Se la presenza e la identità del popolo tibetano, e la continuazione della civiltà propria del Tibet, insieme con le sue tradizioni culturali è utile per i popoli del mondo, e se è importante mantenere tradizioni sociali che promuovono un comportamento morale e ispirato alla verità, non c'è possibilità di ignorare la necessità di ripristinare la libertà del Tibet.

Il Tibet perse la sua libertà per la credulità del popolo tibetano, ed è solo a causa della credulità del popolo tibetano che la Cina ha potuto mantenere la sua illegale occupazione del Tibet.

Quindi, il ripristino della libertà del Tibet può essere determinata soltanto da noi, il popolo tibetano; non possiamo attenderci che la nostra libertà possa essere ripristinata grazie all'aiuto di altri, o attraverso qualche cambiamento spontaneo della situazione. Il Tibet si trova in una situazione seria e urgente, a differenza di altri paesi che possono aspettare per molti anni il successo della loro lotte per la libertà.

Sotto la ineguagliata guida di Sua Santità il Dalai Lama, il popolo tibetano e il governo tibetano in esilio hanno intrapreso numerose iniziative, e abbiamo perciò ottenuto un maggiore sostegno internazionale.

Ciononostante, gli sforzi di Sua Santità condotti per molti anni per giungere a negoziati pacifici tra Tibet e Cina si sono dimostrati un insuccesso, e, di conseguenza, Egli ha in molte occasioni espresso la sua intenzione di proporre un referendum al popolo tibetano riguardante il modo in cui procedere nel futuro; è certo che egli promuoverà formalmente un referendum tra non molto.

Non soltanto noi, il popolo tibetano, abbiamo bisogno di prepararci ad esprimere idee in proposito, ma la situazione in Tibet è divenuta così seria che non possiamo tollerare di tardare nemmeno un solo giorno.

Dunque, io ritengo cruciale che noi cominciamo un movimento il prima possibile, quale che sia il risultato, e dobbiamo farlo senza scuse, senza eccessivamente occuparci di scrutinare e dibattere, senza che la nostra attenzione sia monopolizzata dagli scrutini e dal dibattere se otterremo un risultato favorevole.

Quindi io porrò semplicemente davanti a voi la conclusione di quanto ho pensatoi e sperimentato nell'arco degli ultimi 35 anni: un sintetico piano per un movimento nonviolento, Satyagraha (fermezza nella verità).

Questo è soltanto il mio personale e umile suggerimento, così che io in alcun modo affermo che altri siano 'accordo. In ogni modo, se qualche persona imparziale che veda la necessità di ripristinare l'indipendenza del Tibet e creda nel cammino della verità e della nonviolenza, sentirà che i miei suggerimenti hanno senso e perciò sarà interessato a questi, li accoglierò con molto calore.

Inoltre, io spererei che tali persone prenderanno parte direttamente o indirettamente a questo Movimento di Verità.

La mia determinazione di aiutare altri non ha ancora raggiunto il suo pieno potenziale. Sento che non dobbiamo riporre le nostre speranze nell'aiuto degli altri. Noi stessi dobbiamo combattere per liberare il Tibet per l'utilità degli altri, senza ad altri procurare inavvertitamente alcun danno.

Questo è ciò che penso, come un uomo insignificante, che ha inizialmente calcato la terra del Tibet, ma ha vissuto per gran parte della sua vita nella santa terra indiana. Questo uomo sinceramente agogna una vita spirituale ma gli atti delle sue vite precedenti lo hanno spinto nella politica.

Egli non ambisce né a potere né ha posizioni; non ha nemici da battere, né amici da proteggere. Questo vagabondo non ha bisogno di politica ma agogna la pace mondiale, ha emesso con forza queste parole.

Omaggio alla mente immacolata e suprema intelligenza dell'amore.

Il Tibet è una terra la cui gente è naturalmente gentile, lenta ad arrabbiarsi e per lo più compassionevole, e dove la religione e la cultura morale abbondano. Il bell'ambiente del Tibet è riempito da alti monti, chiari corsi d'acqua fresche brezze e abbondanza di prati, piante foreste.

Dal punto di vista politica il Tibet è stata una nazione pienamente sovrana dal tempo della prime primissime testimonianze scritte, fino al 1951. nonostante possa sembrare dall'esterno che la Cina abbia avuto in quei tempi il controllo, tale apparenza è causata soltanto dalla mancanza di buon senso politico - e dai sofismi dalla parte di noi tibetani; è anche dovuto alla abilità della Cina di trarre vantaggio dalla nostra ingenuità politica nei confronti di un imperialismo non scemato, e perciò ci confonde con inganno e e slealtà. Infatti, sulla base del diritto internazionale, il Tibet non è mai stato sotto il controllo cinese, né il Tibet è mai stato parte della Cina. La questione dell'indipendenza del Tibet mantiene la sua verità dal tempo in cui il reggente tibetano Choghyel Pagpa assunse il controllo politico del Tibet nel 13. secolo fino alla firma sotto costrizione dell'accordo dei 17 punti dopo la violenta invasione del Tibet da parte della Cina comunista nel 1951.

Presto, dopo la formazione del governo comunista in Cina, i Cinesi hanno perpetrato una invasione illegale e violenta del Tibet. I tibetani furono incapaci di resistere agli invasori, e il Tibet è quindi caduto in mani cinesi.

Le ragioni primarie di tale situazione sono le seguenti. Nelle menti dei Tibetani, le attitudini rette e prudenti avevano perso il loro valore, e erano decadute la fede nella via pacifica della nonviolenza e nella legge della retribuzione carmica. I membri degli ordini religiosi hanno fallito nel seguire i loro codici morali e sia in pubblico e in privato sono soprattutto occupati da vendite, profitti, e affari economici e finanziari e altre questioni non spirituali. Le vere persone religiose sono state relegate al livelli più bassi della società, e per lo più coloro che si sono comportati in un modo del tutto non spirituale hanno assunto responsabilità sia all'interno che al di fuori del governo. In breve, persone hanno assunto potere attraverso la distruzione delle nostre leggi nazionali orientate spiritualmente e della moralità religiosa, e molti dei nostri leader sono stati coinvolti in pratiche immorali tese semplicemente a soddisfare i loro propri interessi. Il risultato è stato che i cittadini del Tib

et hanno perso il loro credo, il loro amore e l'entusiasmo per il loro paese e il loro governo. Anche se il Tibet era famosa per essere una terra spirituale, i monasteri sono stati in lotte armate e i monaci sono stati costretti a diventare combattenti. Queste condizioni ed eventi causano costernazione e sgomento nella gente che comprende la spiritualità, se si pensa attentamente a queste condizioni, si può capire che la perdita della indipendenza tibetana è largamente dovuta alla situazione stessa del Tibet. piuttosto che essere il semplice prodotto del potere di un esercito straniero.

Quindi, quando venne il tempo della realizzazione del nostro karma collettivo carma negativo, noi Tibetani dovemmo sopportare sofferenze senza precedenti né confronti, di tutti i tipi. Sotto la pressione violenta dei Cinesi, almeno un milione e duecentomila Tibetani hanno perso la loro vita, a causa di torture e atrocità di ogni tipo. Migliaia di istituzioni religiose, inestimabili antichi manufatti e opere d'arte sono stati distrutti, ed è anche stato tentato lo sradicamento della nostra stessa cultura e religione. Le nostre foreste e le nostre risorse minerarie sono state devastate, e l'ambiente del Tibet è caduto in uno stato di squilibrio ecologico deplorevole. Queste esperienze di incessante, estrema sofferenza sono il risultato del nostro stesso karma collettivo; non è qualcosa di cui possiamo incolpare altri.

Anche da un punto di vista puramente politico, il popolo tibetano, e particolarmente le persone al potere, hanno mancato di comprensione e di capacità di elaborazione politica. Quindi,

1) Siamo stati incapaci di cambiare il sistema politico in Tibet parallelamente al mutare dei tempi;

2) Siamo stati incapaci di stabilire relazioni internazionali capaci di rendere chiare alle nazioni del mondo la vera dimensione della nostra indipendenza;

3) abbiamo perso una preziosa opportunità, dal 1913 al 1949, e invece siamo rimasti lontani dalla comunità internazionale;

4) giacché la situazione politica interna non era ben condotta, la propensione del popolo per l'unità e il patriottismo era limitata;

5) i nostri vicini, some l'India, erano disponibili a cooperare con noi, ma siamo stati incapaci di far sì che essi fidassero sulla nostra capacità di autogovernarci.

queste condizioni iniziali hanno contribuito alla facilità con la quale la Cina ha invaso ed occupato il Tibet, ma più in particolare, il popolo Tibetano, lasciato da solo a proteggere il proprio paese, è stato incapace di astenersi dal collaborare con i cinesi, e ha fornito loro alloggio, cibo, trasporti e così via; siamo stati incapaci di astenerci dal prendere denaro e merci cinesi. Invece i tibetani non hanno esitato a svendere il loro paese per amore di denaro e merci e del loro stesso piccolo interesse personale, comprese le piccole vendette. a causa di questa spudorate attività i cinesi hanno potuto facilmente invadere il Tibet, e altri paesi come l'India sono stati incapaci d sostenere direttamente il Tibet. Noi, popolo tibetano abbiamo creato questa situazione da noi stessi. Il fatto che i cinesi siano tutt'ora capaci di tenere in occupazione il Tibet e di far affluire in Tibet molti cinesi, è il risultato sia diretto che indiretto della persistente collaborazione e complicità dei tibetani. Quindi,

liberarci da questa situazione è qualcosa che soltanto noi Tibetani possiamo fare. Non c'è possibilità di venirne fuori semplicemente grazie all'aiuto di altri o grazie a cambiamenti esterni. Quindi tutti i Tibetani devono con unità di cuore e mente, coraggiosamente iniziare un movimento di satyagraha, perché la verità è sempre vittoriosa e la verità è dalla nostra parte.

Si può dimostrare non solo nel caso della comunità tibetana che la sofferenza è il prodotto del non mettere in pratica in modo fedele il pacifico sentiero della nonviolenza.

Tutti i problemi di cui fanno esperienza i Tibetani, da un semplice mal di testa, fino alla perdita della nostra sovrana indipendenza, sono senza dubbio il risultati delle nostre precedenti azioni violente. Dunque, l'unico modo per sbarazzarci di questi problemi è fare esclusivo affidamento su un sentiero di nonviolenza, proprio in opposizione alla nostra violenza precedente. Se qualcuno invece si impegnasse in attività violente per rabbia o per odio, non si farebbe altro che aggiungere ulteriori cause per la sofferenza futura; in effetti l'eliminazione della sofferenza attraverso atti violenti è ovviamente fuori questione. Noi critichiamo i cinesi per i danni che hanno accusato a noi Tibetani, ma se noi stessi scegliessimo di danneggiare altri, come potremmo noi criticare i cinesi?

Quindi, il sua santità il Dalai Lama ha consigliato, se tutti i Tibetani fossero capaci di affidarsi con sincerità e di mettere in pratica la via nonviolenta della pace, potremmo recuperare la nostra libertà senza difficoltà. Quindi l'intero popolo tibetano, sia in Tibet sia in esilio, deve unirsi in totale unanimità e intraprendere immediatamente un movimento di verità per ristabilire la libertà del Tibet, attraverso la via nonviolenta della pace.

Tale movimento va intrapreso avendo in mente un piano ben organizzato, e quindi nelle prossime pagine discetterò brevemente sui tipi di azione compresi in questo movimento, e sottolineerò un piano ben organizzato per tale movimento.

I. LA NECESSITA' DI STABILIRE LA LIBERTA' DEL TIBET.

L'idea che la libertà del Tibet debba essere ristabilita non è sostenuta da ragioni politiche, né è basata su qualche teoria collegata a qualche concetto di stato-nazione. La nostra lotta non è fondamentalmente una lotta etnica o politica, ma piuttosto tutte le genti nate nella terra spirituale del Tibet hanno una responsabilità universale nei confronti di tutti gli esseri, e adempiere a tale responsabilità è un dovere che incombe su tutti noi per il semplice fatto che siamo nati. Se non siamo all'altezza di questo dovere innato, non siamo degni di esser tibetani, e siamo incapaci di agire in modo che renda giustizia alla nostra eredità. Non soltanto non c'è niente di più barbaro e vile dell'essere incapaci di essere all'altezza del proprio dovere di nascita, ma perfino da un punto di vista mondiale merita nemmeno l'umanità di cui si gode.

Quale è la responsabilità di cui parlo? E' la preservazione e la diffusione di quel patrimonio interiore unico e di quelle tradizioni culturali che sono state preservate e consolidate per migliaia di anni dai Tibetani delle precedenti generazioni, che le hanno considerati più preziose della loro stessa vita. Oggigiorno tali tradizioni sono strettamente collegate al benessere di tutti i popoli. Se i tibetani non si impegnano a preservare tali tradizioni culturali e queste spariranno come risultato della occupazione cinese, sarà una grave perdita non solo per i Tibetani, ma per tutto il mondo. Il popolo tibetano non è in grado di proteggere in modo completo queste tradizioni culturali, se non riesce a ottenere la libertà e se in Tibet non viene restaurato il naturale equilibrio ecologico senza sfruttamento. Quindi il nostro scopo finale non è la sola libertà politica per il Tibet; piuttosto, il nostro scopo finale la preservazione e diffusione delle sublimi tradizioni culturali e del patrimonio interiore unico

per il bene di tutto il mondo.

Comunque, senza mezzi appropriati e condizioni favorevoli non è possibile per noi fare fronte a tali responsabilità. Quindi prima dobbiamo affrontare il compito spirituale di liberare senza indugio il Tibet.

Anche se si pensa in termini strettamente politici, il Tibet differisce dalla Cina per etnia, lingua, filosofia e letteratura. Invero, ogni aspetto significativo della cultura tibetano è differente dalla Cina. Storicamente, il Tibet ha goduto di piena indipendenza fino all'invasione cinese; tuttora nessun tibetano ambisce a rimanere sotto il potere cinese. Per tutte queste ragioni, abbiamo il diritto di essere una nazione indipendente. Inoltre, in un'ottica internazionale, la presenza di uno stato cuscinetto fra i due più popoloso paesi asiatici, aiuterebbe la pace nella regione. Dal punto di vista geografico, il Tibet è il più alto paese del mondo, e la fonte di molti dei maggiori fiumi dell'Asia; quindi l'ambiente del Tibet è di primaria importanza per il mondo intero. Ma quel che è più importante è che il Tibet è strettamente legato alla sicurezza e alla stabilità delle nazioni vicine, come l'India, il Nepal, il Buthan e il Myanmar. E in verità l'indipendenza tibetana sarebbe di estremo beneficio anche pe

r la Cina. In breve, se la comunità internazionale sentì di non poter consentire l'occupazione del Kuwait da parte dell'Iraq, non c'è ragione alcuna perché alla Cina debba essere consentito di occupare il Tibet. Finché il Tibet non sarà liberato dalla occupazione cinese, questa macchia sullo sviluppo della moderna civilizzazione non verrà rimossa, e la selvaggia legge della jungla persisterà senza dubbio nel 21. secolo.

Dunque, il ripristino della libertà del Tibet è importante non solo per i tibetani; è anche di grande importanza per la comunità internazionale, per gli evidenti vantaggi che offre. Ma diversamente dalle lotte di altri paesi per la libertà, la libertà del Tibet non è qualcosa che possiamo aspettare per molte generazioni; piuttosto, dobbiamo agire con grande urgenza. E dunque a questo punto elencherò alcune ragioni per cui dobbiamo riconoscere che il nostro tempo estremamente prezioso sta scappando via con ogni giorno che passa.

1. Se non siamo capaci di ripristinare rapidamente la nostra libertà, il Tibet diverrà presto cinese, e il popolo tibetano diverrà una minoranza nel suo stesso paese. La pratica spirituale del liberare il Tibet è intrapresa per amore delle filosofie, delle pratiche contenute nelle conoscenze, nella cultura, nel patrimonio interiore tibetano. Ma se noi non agiamo presto, queste cose potranno essere irrecuperabilmente perse. Se pure il Tibet dovesse ottenere la sua libertà dopo quel momento, quel che otterremo sarà una libertà esclusivamente politica.

2. Se non avremo la guida di S.S. il 14. Dalai Lama per qualche tempo dopo il ripristino della nostra libertà è certo che saremo incapaci di costruire un nuovo Tibet nel rispetto dei nostri obiettivi, ed è anche possibile che non saremo capaci di mantenere la nostra libertà.

3. Se non ricreiamo la libertà del Tibet nel volgere di pochi anni, e se la Cina comunista continuerà a svilupparsi economicamente e a rafforzarsi politicamente, entro dieci anni la Cina potrà divenire un paese dalla forza non sfidabile. Anche se la Cina diventasse democratica e pacifica, il ripristino della libertà cinese potrebbe diventare anche più difficile. Per le ragioni sopra elencate la pratica spirituale del ripristino della libertà in Tibet deve ottenere qualche risultato chiaro non più tardi del 1997-1998, e con questo risultato quale nostro obiettivo immediato, dobbiamo intraprendere un movimento di satyagraha.

II. LE CARATTERISTICHE DEL TIBET LIBERO

In armonia con la visione di S.S. il Dalai Lama, dopo il ripristino della libertà, il Tibet sarà una zona smilitarizzata di pace, libera da armi nucleari, chimiche e biologiche; sarà un centro di protezione ambientale, e seguirà i principi i principi economici buddisti, che evitano ogni eccesso. Il Tibet libero sarà fonte perenne della cultura unica del patrimonio interiore, un paese che cercherà di alleviare le molte sofferenze inflitte alle persone dalla società moderna. Sarà una nazione originale, spirituale e autenticamente democratica, pieno delle caratteristiche proprie del vecchio Tibet, che discende da una visione del mondo basata sull'amore e abbellita dagli aspetti positivi della modernità che non contraddicano quei principi di amore spirituale. Il Tibet libero formerà un sistema politico modello, e aiuterà a mantenere la pace e la buona volontà nel mondo, specialmente in Asia. E' per questo tipo di Tibet futuro che dobbiamo ora impegnarci.

III. I METODI

Nella nostra pratica spirituale di ripristino della libertà del Tibet, il nostro metodo è unicamente la via nonviolenta della pace. Dunque, tutti i Tibetani, sia in patria che in esilio, devono sforzarsi di raggiungere fiducia nella via nonviolenta della pace; devono allo stesso modo sforzarsi di porre in pratica questa via. La via nonviolenta della pace è una tecnica per persone particolarmente coraggiose. Naturalmente il timido e il codardo troveranno difficile immaginarlo, ma anche coloro che non hanno fiducia nei dettati del patrimonio interiore e dei meccanismi delle cause e degli effetti carmici, non capiranno facilmente i principi di questa tecnica. Molte persone semplici penseranno che se noi praticheremo valorosamente la via nonviolenta della pace, lo faremo soltanto perché la enormità della popolazione e della forza militare cinese non lascia a noi tibetani altra scelta, per essere noi pochi di numero e deboli dal punto di vista militare. Secondo queste persone, se noi avessimo la capacità di ingag

giare una guerra contro la Cina, sarebbe perfettamente accettabile ripristinare la nostra libertà attraverso iniziative militari.

Sono in molti a pensarla in questo modo, ma è un grave errore. Invero, è indice del fatto che non hanno fiducia nella via nonviolenta della pace. Se si ha fiducia nel principio di causalità carmica - per mezzo della quale la virtù si risolve in felicità e la non virtù si risolve in sofferenza - e se si guarda alla situazione da un punto di vista meramente politico, la comprensione filosofica è qui che non si può conseguire mete scevre da errori se non si fa affidamento su metodi scevri da errori. E' con questa comprensione filosofica che si deve praticare la via nonviolenta della pace, per cui è solo attraverso questa comprensione che si può con autenticità astenersi da ogni violenza. Se invece si praticasse la violenza con l'intento ingannare gli altri, sarebbe assai meglio non partecipare affatto.

Se pure la violenza potesse assicurare al Tibet l'indipendenza da domani, dobbiamo con fermezza far voto di mai ricorrervi. Finché non saremo in grado di impegnarci in questa promessa, la nostra via nonviolenta della pace non sarà né compiuta né forte.

IV. PORRE IN PRATICA I METODI

Non può esserci alcun autentico movimento nonviolento di pace, che non sia basato sulla verità. In un certo senso verità e nonviolenza sono sinonimi. Ci si potrebbe chiedere come noi dovremmo usare la via nonviolenta della pace per svolgere la pratica spirituale per liberare il Tibet. La risposta è che dobbiamo renderci conto che la verità è dalla nostra parte. E con questa consapevolezza dobbiamo impegnarci in una campagna di Satyagraha. Tenendo ciò in mente, io qui brevemente elencherò alcune delle verità che noi possiamo esporre e rivendicare.

1. E' vero che il Tibet è una terra spirituale in cui le persone si guadagnano da vivere con mezzi spirituali e morali.

2. e' vero che il Tibet ha goduto di piena indipendenza per gran parte del tempo intercorso tra le prime formazioni associate fino al 1951.

3. E' vero che la invasione militare dei comunisti cinesi del 1949 e la conseguente colonizzazione forzata del Tibet viola il Diritto internazionale.

4. E' vero che secondo il diritto internazionale, l'accordo in 17 punti che i Tibetani sono stati costretti a sottoscrivere sotto intensa pressione, non è valido; non solo non è valido, ma gli stessi Cinesi hanno mancato di rispettare anche uno solo di quei punti, e proprio ciò facendo hanno nei fatti annullato l'accordo. Quindi è vero che l'accordo in 17 punti non deve essere considerato in alcun modo una prova valida della pretesa che il Tibet sia parte della Cina.

5. E' vero che durante i più di quaranta anni trascorsi dalla invasione cinese i tibetani sono stati privati dei loro diritti umani; le tradizioni religiose e culturali del Tibet sono state devastate; l'economia tibetana è stata sfruttata; i Tibetani hanno subito oppressione, tortura e brutalità incommensurabili; i Tibetani sono diventati proporzionalmente meno numerosi, a causa del trasferimento di Cinesi in Tibet; un deliberato tentativo è stato compiuto per distruggere la nostra cultura e la nostra profonda identità; e l'ambiente naturale del Tibet è stato gravemente danneggiato. E' vero che il risultato di queste e di altre atrocità è stato che il popolo tibetano è stato colpito dalle sofferenze senza nemmeno la minima possibilità di felicità, ed è vero che questo modo di reggere il Tibet non si è mai coniugato con le aspirazioni del popolo tibetano.

6. E' vero che la grande maggioranza dei Tibetani disapprova l'occupazione cinese, e brama con fervore il ripristino della indipendenza del Tibet.

7. E' vero che il Tibet non è parte della Cina, e tranne che per la occupazione illegale del Tibet da parte della Cina, né il capo dello stato tibetano, né lo stesso popolo tibetano hanno mai legittimamente espresso il loro di essere annessi alla Cina. E' quindi vero che un movimento per liberare il Tibet dal potere illegale non costituisce una minaccia alla integrità territoriale della Cina.

8. E' vero che noi tibetani siamo un popolo distinto, con la nostra etnicità, lingua, modi di vestire e tradizioni culturali. E' quindi vero che il popolo tibetano ha il diritto all'autodeterminazione, e questo diritto è stato con chiarezza affermato nelle Risoluzioni delle Nazioni Unite del 1961 e 1965; dal verdetto del Tribunale Permanente dei Popoli: Sessione sul Tibet (Strasburgo-Francia, 1992); dalle Sedute della Sessione sulle questioni connesse alla Autodeterminazione e indipendenza per il Tibet della Conferenza dei Giuristi Internazionali (Londra, 1993); La Dichiarazione di Azione dei Parlamentari d'Europa (Palazzo di Westminster, 1993); e la Dichiarazione di New Delhi della Convenzione dei Parlamentari del mondo sul Tibet (New Delhi, 1994). In questi contesti non soltanto è stato affermato il nostro diritto alla autodeterminazione, ma molti studiosi hanno prodotto numerose chiare ed esplicite dichiarazioni in materia. Sulla base degli esiti delle loro ricerche, è vero che noi, il popolo tibetano, ri

spondiamo a tutti i requisiti di un popolo distinto così come fissati dal Diritto internazionale, e abbiamo chiaramente il diritto alla autodeterminazione.

9. E' vero che il popolo tibetano è responsabile di fronte al mondo di proteggere, mantenere e divulgare le nostre tradizioni uniche di comportamento morale e di patrimoni interiori.

10. E' vero che questa responsabilità non può essere pienamente assolta se la libertà non è ripristinata per il popolo tibetano.

11. E' quindi vero che il ripristino della nostra libertà è dovere innato di ciascun Tibetano.

Le verità sopra menzionate non sono ipotetiche, né costituiscono una qualche forma di propaganda politica. Piuttosto, sono verità che possono essere confermate o dai propri sensi, o da una evidenza inequivocabile. Dunque, in quando verità non possono essere cancellate o ridotte a non-verità da argomenti irrazionali e forze illegittime. Questa è la natura della verità. I cinesi continuano ad occupare il Tibet senza tenere in considerazione e offendendo queste verità, e e il fatto che essi possano far questo deriva dal nostro mancare di fede nella veridicità delle summenzionate verità, o dalla nostra assenza del coraggio necessario per perseverare nel portarle al loro culmine. Tutti i Tibetani, sia in patria che in esilio, devono immediatamente riconoscere queste verità, e riponendo in esse fiducia, dobbiamo senza esitazione e con risolutezza intraprendere un movimento di Satyagraha, per portare queste verità al loro culmine.

V. PIANO PER IL MOVIMENTO SATYAGRAHA

Dacché S.S. il Dalai Lama andò in esilio in India, molto è stato fatto nel tentativo di ripristinare la libertà del Tibet. Informazione è stata accuratamente diffusa nel mondo; più volte la situazione del Tibet è stata rappresentata in ambito ONU; il progetto di Costituzione del futuro Tibet è stato formulato e divulgato; il governo tibetano in esilio è stato del tutto democratizzato, e molte altre attività sono state intraprese. Inoltre nel 1979 il leader cinese Deng Xiao Ping affermò che, con l'eccezione della piena indipendenza, tutte le altre questioni potevano essere risolte per mezzo di pacifici negoziati. Di conseguenza molti atti, quali il ripetuto invio di delegazioni verso il Tibet e la Cina erano stati fatti nel tentativo di determinare una pacifica soluzione negoziale tra Tibet e Cina. Nel continuare questi sforzi Sua Santità propose il suo Piano di Pace in Cinque Punti nel 1987, e nel 1988 presentò la Proposta di Strasburgo davanti al Parlamento Europeo. Nonostante egli abbia compiuto tutti i po

ssibili sforzi per determinare una soluzione pacifica, i Cinesi non hanno agito in alcun modo che fosse coerente con le loro precedenti affermazioni relative alla loro volontà di cercare tale accordo. Contatti diretti e dibattiti con la Cina sono stati a questo punto sospesi, ed è stato formulato un appello teso a persuadere i Cinesi attraverso la pressione internazionale. Nel suo messaggio del 10 marzo 1994, Sua Santità il Dalai Lama ha dichiarato pubblicamente che se l'appello alla pressione internazionale non porta ad un risultato soddisfacente in un accettabile torno di tempo, egli avrebbe chiesto al popolo tibetano la loro opinione sulla migliore via da percorrere per il futuro. Considerando tuttavia che i Cinesi tendono a continuare, sembra piuttosto improbabile che la pressione internazionale possa a questo punto effettivamente portare i Cinesi ad un tavolo negoziale. Per quanto riguarda il futuro, se il popolo tibetano, specialmente i Tibetani che vivono in Tibet, non tentano di ripristinare la liber

tà del Tibet intraprendendo un serio movimento che indichi chiaramente le loro aspirazioni, sembra improbabile che la pressione e il sostegno internazionale avrà molto effetto da solo. Quindi noi, il popolo tibetano, dobbiamo ora prepararci a sottoporre un piano di azione ben congegnato quando Sua Santità il Dalai Lama deciderà essere venuto il momento di chiederci la nostra opinione. questo piano per il movimento Satyagraha è quindi sottoposto alla considerazione del popolo.

In breve, il piano è il seguente: se le autorità cinesi non compiranno progressi soddisfacenti per il popolo tibetano verso una soluzione pacifica della questione tibetana attraverso una politica verosimile e accettabile per la fine del 1995, dal 10 marzo 1996 tutti i Tibetani sia in patria che in esilio, con unità di cuori e menti, inizieranno un movimento nonviolento totale di Satyagraha. E' ciò che dobbiamo decidere di fare.

VI. REQUISITI NECESSARI DEL MILITANTE DEL SATYAGRAHA

1. Con fede e fiducia ferme nella verità e nella via nonviolenta della pace deve mantenersi una condotta etica adeguata (come è specificato altrove), che in parte consiste nel mai dire falsità e nel mai danneggiare altri. Tale condotta deve essere seguita per non meno di tre mesi prima di aderire al movimento.

2. Non deve nutrirsi rabbia, odio, o l'intento di danneggiare le controparti della nostra resistenza, i funzionari di governo e i lavoratori della Cina comunista, e tutti coloro che sono dalla loro parte.

3. Impegnati nella militanza del Satyagraha deve aversi il coraggio di non rispondere mai alla violenza con la violenza, e di non usare nemmeno la violenza per proteggersi, a prescindere da quanto si sia colpiti, imprigionati, tormentati, torturati.

4. Nell'intraprendere il movimento Satyagraha per ripristinare l'indipendenza del Tibet non lo si deve considerare un movimento politico, né una attività mondana, nemmeno una campagna tesa a ferire i Cinesi. Invece, deve riconoscersi e credersi che vi si è impegnati nella pratica spirituale di ripristino dell'indipendenza del Tibet per amore di tutti gli esseri senzienti.

5. Nel partecipare al movimento non deve in alcun modo attendersi di conseguire fama, gloria, vantaggi politici o economici, o riconoscimento delle notevoli qualità di alcuno, o simili.

6. Non deve in nessun caso rammentare ad altri i contributi resi da qualcuno, né attendersi di ricevere credito per chi abbia abbandonato tali nozioni. In particolare, dopo il ripristino della libertà non devono aversi attese di alcun tipo per alcuna posizione politica, status sociale, sostegni finanziari, o per ogni altro beneficio per se stessi o i propri amici. E anche nel caso in cui una tale offerta sia proposta nel Tibet libero, deve con fermezza promettersi di declinarle, nonostante si sia in stato di necessità.

7. Per tutto quanto riguardi il vestirsi, l'abitare e così via, deve condursi una vita modesta; non si deve essere partecipi di modi di vivere non etici, e devono aversi poco desiderio di benessere.

8. non si deve mai partecipare ad alcuna attività di alcun genere, sia pubblica che privata, che sia disonesta o truffaldina.

9. Deve verificarsi che i membri della propria famiglia, quali figli o genitori anziani non siano in condizioni di dipendenza da noi per sostenersi; nel caso lo siano, deve ottenersi il loro permesso.

10. Non devono aversi debiti rilevanti, nessun conto da saldare, nessun obbligo cui assolvere, né altre responsabilità analoghe cui far fronte.

11. Non si deve mai rompere il proprio voto di verità e nonviolenza, anche a costo della propria vita.

12. Non deve trasgredirsi a quelle regole che di volta in volta siano legittimamente proposte dai leader del movimento Satyagraha.

VII. DECISIONI NECESSARIE DEL MILITANTE DEL SATYAGRAHA

Devono con fermezza prendersi le seguenti decisioni:

1. Dal momento in cui ci si integri nel movimento Satyagraha, non deve mai abbandonarlo, finché gli obiettivi annunciati dal movimento non siano stati conseguiti, o finché ogni singolo militante sia morto, senza eccezioni.

2. Non conta quanta miseria o privazione si affronti nel corpo e nella mente, deve perseverarsi e mai abbandonare la militanza per quanto si viva.

3. Senza tener conto di quanto si sia lusingati o insultati, se la propria motivazione è solida nessuno potrà mai essere dissuaso, a prescindere da quanti commenti altri esprima.

VIII. PUNTI DA COMPRENDERE

Un militante del Satyagraha deve comprendere chiaramente i seguenti punti.

1. E' necessario comprendere dall'inizio non solo che è abbastanza probabile che si potrebbe morire presto una volta intrapresa l'azione, ma è possibile che tutti i membri del movimento perdano la vita, o che gli obiettivi del movimento non saranno raggiunti. Ma in ogni caso tutti i membri del movimento dovranno morire nell'arco di 70 anni. Quindi giacché si deve morire, piuttosto che morire qualche anno più tardi senza aver ottemperato al proprio dovere innato, è evidentemente preferibile morire qualche anno in anticipo nell'ottemperare al proprio dovere innato. E anche se qualcuno non voglia morire proprio ora, come si può essere certi che si vivrà per un ulteriore periodo di tempo?

2. I nostri obiettivi potrebbero non essere conseguiti anche se tutti i partecipi del movimento perderanno la vita, ma tutti i Tibetani ora viventi dovranno un giorno morire, anche se non diamo vita ad un movimento di verità. E quel che è più importante, se il movimento non consegue successo, o falliamo nell'impegnare un movimento, la nostra cultura e la nostra identità etnica scompariranno in ogni caso. Considerato che tutto sarebbe perso in un modo o nell'altro, piuttosto che non far nulla aspettando che tutto sia distrutto da solo, è evidentemente preferibile - non importa come si ragioni - che perdere tutto nel tentativo di adempiere al nostro dover innato.

IX. FORME DEL SATYAGRAHA

Il movimento comprende due forme di satyagraha: individuale e collettiva. Dal giorno in cui una persona decide di far parte del movimento ha assolto ai requisiti elencati al punto 6, egli o ella può impegnarsi in ogni possibile forma di satyagraha adeguato al tempo e al luogo, indipendentemente dal piano collettivo, e tale persona può essere impegnata nel satyagraha, sia all'interno che all'esterno del Tibet. Molte forme di satyagraha sono facili da realizzare, e quindi ciascuno dovrebbe costantemente impegnarsi in esse; il satyagraha individuale dovrebbe essere in modo particolare enfatizzato se i tempi non sono maturi per il satyagraha collettivo.

Il satyagraha collettivo deve essere realizzato da un gruppo di almeno cinque persone, e deve essere accompagnato da un piano. Il piano deve essere adatto al tempo e al luogo, e ad esso deve pure aderirsi da parte dei chi si impegni nel satyagraha collettivo.

X. LE FASI DEL MOVIMENTO

1. Il satyagraha individuale può essere praticato in ogni luogo e in ogni tempo, quindi non abbisogna di essere regolato sulla base di una specifica sequenza o da fasi di azione.

2. Il satyagraha collettivo inizierà in una data preventivamente fissata. Da quella data quei Tibetani in esilio che vorranno partecipare al movimento e che assolveranno a tutti i requisiti, abbandoneranno tutte le loro proprietà e beni per la durata del movimento, e torneranno in Tibet per impegnarsi nel satyagraha.

3. Da quella stessa data quei Tibetani residenti in Tibet che si siano associati al movimento inizieranno collettivamente la militanza nel satyagraha nelle loro rispettive aree.

4. Una volta accertato quanti militanti del satyagraha siano disponibili, dovranno essere assegnati a unità di dimensioni proporzionate. Dopo che le prime unità militanti del movimento satyagraha saranno state decimate per morte, ferimenti e arresti, una seconda unità dovrà emergere dopo uno o due giorni. Il movimento deve essere supportato in questo modo.

XI. TIPI DI SATYAGRAHA

Le specifiche forme del satyagraha nonviolento totale dovranno essere determinate nel contesto di tempo e luogo dell'azione militante che si intende attuare; devono tenersi anche in considerazione le richieste attuali del movimento. Quindi non è possibile descrivere pienamente tutte le forme possibili di iniziativa militante a questo punto. In senso generale, comunque, l'impegno militante del satyagraha consiste in disobbedienza civile, non-collaborazione, resistenza passiva. Qui sotto sono elencati alcuni esempi di tali iniziative militanti.

1. I militanti non terranno in alcun conto tutti gli ordini e le direttive inaccettabili del governo centrale cinese e dei governi regionali e provinciali controllati dai Cinesi nell'area tibetana.

2. I militanti non coopereranno né parteciperanno ad alcun lavoro governativo o pubblico che sia parte di un progetto iniziato e/o controllato dal governo centrale o da governi locali della Cina comunista.

3. Tutti gli attivisti che lavorino negli uffici, nelle scuole, nelle fabbriche o in altri posti di lavoro che siano sotto il controllo di qualsiasi dipartimento o ufficio del governo cinese centrale, regionale o locale, si dimetteranno da ognuno di questi posti di lavoro.

4. I militanti non acquisteranno, venderanno, deterranno o useranno alcuna cosa che sia stata prodotta dal Governo cinese o da Cinesi.

5. I militanti non entreranno né saranno clienti di alcun ristorante, negozio o albergo che sia amministrato dal governo cinese o da Cinesi.

6. Tutti i militanti che siano studenti o insegnanti in qualsivoglia istituto di istruzione rifiuteranno di studiare o insegnare la lingua cinese o ogni forma di materia cinese.

7. I militanti non assumeranno Cinesi in nessuna impresa, sia essa un cantiere o un semplice sartoria o parrucchiere.

8. I militanti non saranno partner di alcun cinese in alcuna impresa, sia essa di commercio al dettaglio, servizi, agricola o industriale.

9. In breve, i militanti non si associeranno in alcun modo o coopereranno ad alcuna attività in alcun modo connessa direttamente, indirettamente o in misura marginale - alla occupazione cinese del Tibet, con il trasferimento di popolazione cinese in Tibet, o con la distruzione dell'ambiente tibetano. In assemblee quotidiane nelle strade di ogni città è villaggio, i militanti resisteranno pacificamente senza utilizzare alcuna forma di violenza, in ogni caso; i militanti non si difenderanno nemmeno con le aste delle loro bandiere e dei loro striscioni, lasceranno da parte ogni arma vera e propria. I militanti grideranno slogan di resistenza e renderanno incessantemente note le loro richieste attuali, sia con la voce che per iscritto.

10. Si può essere impegnati in ogni altra forma di militanza che sia conforme ai principi del satyagraha e ai suoi metodi, quali la non-collaborazione e la resistenza passiva. Impegnati in qualsivoglia di tali attività, si deve esserlo sulla base del piano e in modo che sia adeguato al luogo e al tempo. Nonostante si dovrà certamente sopportare stoicamente tali durezze come digiuni forzati non si dovrà sacrificare deliberatamente la vita con il digiuno o l'autoimmolarsi o altro del genere.

XII. LE RICHIESTE DEL NOSTRO MOVIMENTO SATYAGRAHA

Le richiesta che devono essere inizialmente avanzate dal movimento satyagraha non devono essere impossibili da soddisfare, e nemmeno devono essere particolarmente difficili da soddisfare. Invece, è di importanza cruciale iniziare il movimento con richieste che noi abbiamo ragionevolmente determinato come accettabili. Più sotto, quindi, sono elencate alcune richieste che possono essere avanzate all'esordio del movimento.

1. Il trasferimento di popolazione cinese in Tibet deve immediatamente cessare.

2. I diritti umani non devono oltre essere violati in Tibet.

3. I prigionieri politici tibetani devono essere immediatamente rilasciati.

4. L'ambiente tibetano deve essere protetto, e in particolare devono immediatamente cessare la conduzione di test nucleari, la costruzione di impianti nucleari, e il deposito di scorie nucleari.

5. Il sistema politico deve essere immediatamente democratizzato.

Se ci sarà inizialmente qualche accettabile risultato del movimento satyagraha, grazie all'essere stati accettati una o più delle suddette richieste, nella seconda fase dovremo richiedere che ai Tibetani sia data la possibilità di esercitare il loro diritto alla autodeterminazione. Quel che avrà da farsi dopo quel punto seguirà naturalmente ai risultati delle operazioni precedenti.

XIII. OSTACOLI INEVITABILI PER IL MOVIMENTO SATYAGRAHA

Il movimento satyagraha ha di fronte molti impedimenti e ostacoli possibili, ma molti di essi costituiscono ragioni di scarsa preoccupazione. comunque, i due ostacoli più seri potranno dimostrarsi problematici. Questi sono:

1. I militanti del satyagraha affronteranno tortura e tormento incommensurabili, e i loro torturatori useranno ogni mezzo per stimolare la nostra rabbia. Nel far questo tenteranno di incitare i militanti a impiegare violenza e falsità, ed è possibile che qualcuno interromperà il suo giuramento di nonviolenza. Un'altra possibilità è che i nostri oppositori recluteranno e infiltreranno i loro agenti nel movimento satyagraha; questi agenti tenteranno quindi di incitare gli altri alla violenza.

2. Con dichiarazioni vaghe e false, e con il pretesto di cercare modi di trovare una composizione, si perderà del tempo in discussioni senza senso, che avranno lo scopo di fermare il movimento di verità. Avremo bisogno di affrontare queste due eventualità con grande capacità e vigilanza.

XIV. DIFFUSIONE DI INFORMAZIONE SUL MOVIMENTO DI SATYAGRAHA

Il movimento di verità non cerca pubblicità, né costituisce un modo per raccogliere sostegno internazionale. Sarà necessario presentare dichiarazioni che specifichino le nostre richieste alle autorità governative delle regioni competenti, così come ai funzionari del governo centrale cinese. Ma, tranne che per queste dichiarazioni, non si dovrà da soli pubblicizzare il movimento ai media. Ciononostante, il movimento non ha bisogno di essere tenuto segreto, così, quando richiesto, si dovrà prontamente e chiaramente spiegare la situazione ai rappresentanti dei media, e a ogni altra persona interessata.

XV. SOSTEGNO FINANZIARIO AL MOVIMENTO

E' necessario approntare un meccanismo per la raccolta di fondi che siano stati accumulati correttamente dagli stessi militanti nell'interesse del movimento. Tali fondi non dovranno essere stati acquisiti per mezzo di alcun mezzo di sostentamento non etico. Il movimento potrà anche accettare donazioni che non siano macchiate da mezzi di sussistenza non etici, e che siano dati senza alcuna aspettativa di restituzione, compresa quella di fama o miglioramento di status.

XVI. SOSTENITORI DEL MOVIMENTO DI SATYAGRAHA.

Qualcuno vorrà sostenere il movimento senza partecipare come militante. Costoro assolveranno a doveri come la raccolta di fondi, il mantenimento delle relazioni pubbliche, la raccolta e la diffusione di informazioni, e la preparazione di pubblicazioni. Tali doveri potranno essere assolti o per l'intero periodo del movimento, o per un tempo specifico. I sostenitori potranno impegnarsi in tali doveri se loro assolveranno ai requisiti indicati dai numeri 1, 2, 4, 5, 6, 7, 11, 12 di cui al punto VI.

XVII. UNA RISPOSTA SULLO SCETTICISMO SUL SATYAGRAHA

Sono molti coloro che sottolineano che il nostro movimento satyagraha è del tutto diverso dal satyagraha gandhiano, il quale fu condotto quando l'India era sotto il dominio britannico; né il nostro movimento è simile a movimenti organizzati in paesi democratici. Invece, la Cina è un paese con una popolazione immensa e una forza militare enorme che ha un governo immorale, non etico e senza vergogna senza stato di diritto, né rispetto di alcun genere per gli esseri umani o per le preoccupazioni della comunità internazionale. Questi scettici vanno dicendo che esistendo queste condizioni, non solo non c'è alcun modo di iniziare un movimento di satyagraha, se pure si iniziasse in qualche modo, parteciparvi sarebbe come suicidarsi.

Nonostante molti la pensino in questo modo, rimane il fatto che se la via della verità e della nonviolenza è veramente potente, deve essere capace di vincere ogni ostacolo vi sia da affrontare. E se questo si confrontasse con una brutalità sfrenata la via della verità e della nonviolenza diverrà necessariamente anche più possente. Quando la verità si confronta con la falsità e la nonviolenza con la violenza, la più forte sarà quella che è più valida; Il fatto che l'oppositore abbia forza più rude, ciò non significa che questo abbia perciò una forza più grande. Quando diciamo che Buddha Sakyamuni battè miliardi di forze demoniache con una sola meditazione sull'amore, non stiamo raccontando una storia banale; invece, sento che stiamo parlando di un simbolo del potere della verità e della nonviolenza sostenuto dalla razionalità. Infine, anche se partecipare a tale movimento dovrà essere equivalente a un suicidio, ho già sottolineato che dovremo morire, in un modo o nell'altro. Così, invece di morire dopo aver c

ondotto una vita senza senso e vuota, è molto più sensato e più coerente con le richieste della storia morire essendo impegnati nella pratica spirituale di verità e nonviolenza per amore della nostra nazione e delle sue tradizioni spirituali.

 
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