amnesty international
REPUBBLICA POPOLARE CINESE
Continue violazioni dei diritti umani in Tibet
maggio 1995 AI Index: ASAá17/18/95
RIASSUNTO
Questo rapporto tratta le continue violazioni dei diritti umani
contro membri della minoranza tibetana nella Repubblica Popolare
Cinese negli ultimi due anni (1993-1994). Il rapporto descrive il
contesto di repressione contro il dissenso politico nel quale si
verificano le violazioni dei diritti umani; arresti arbitrari, detenzioni
a lungo termine di prigionieri di coscienza, detenzioni senza processo
di prigionieri politici, processi iniqui, diffusione della tortura e dei
maltrattamenti di detenuti adulti e giovani sono fra le maggiori
preoccupazioni di Amnesty International in Tibet.
In questo rapporto vengono altresř evidenziate le specifiche
apprensioni di Amnesty International relative a giovani prigionieri
politici tibetani.
La traduzione in lingua italiana e' stata curata da Giorgia Passarelli
per conto del Coordinamento Estremo Oriente e Pacifico della
Sezione Italiana.
SOMMARIO
INTRODUZIONE
I LAáREPRESSIONEáDELáDISSENSOáPOLITICO
II LEáPREOCCUPAZIONIáDIáAMNESTYáINTERNATIONALáRISPETTOáALáTIBET
1. Prigionieri di coscienza e prigionieri politici
2. Nuove manifestazioni e arresti arbitrari nel 1993/94
3. Sentenze pesanti e processi iniqui
4. Tortura e maltrattamenti
5. Decessi durante la custodia
III PRIGIONIERIáDIáCOSCIENZAáMINORENNIáEáPRIGIONIERIáPOLITICIá
INáTIBET
1. Preoccupazioni di Amnesty International riguardo ai prigionieri
politici minorenni in Tibet
2. Dalle stazioni di polizia alle prigioni: minorenni detenuti a
causa del loro politico
IV CONCLUSIONIáEáRACCOMANDAZIONI
APPENDICE: REGOLAMENTAZIONE SUI MINORENNI
A. Eta' minima per la responsabilita' criminale
B. Procedure Criminali
C. Pene minime e massime
D. Alternative
E. Eta' minima per la punibilita'
REPUBBLICA POPOLARE CINESE
Continue violazioni dei diritti umani in Tibet
INTRODUZIONE
La repressione del dissenso politico nella regione autonoma del
Tibet (TAR) della Repubblica Popolare Cinese (RPC), gia' endemica
per molti anni, e' ulteriormente cresciuta durante il 1993 ed il 1994.
Sono state adottate nuove forme di repressione, mirate in primo
luogo nei confronti di coloro che promuovono attivamente
l'indipendenza del Tibet. Centinaia di prigionieri politici, la
stragrande maggioranza dei quali prigionieri di coscienza, sono stati
trattenuti in arresto. La maggior parte erano monaci e monache
buddhiste, detenuti solo per il fatto di aver manifestato pacificamente
per l'indipendenza. Alcuni sono stati posti agli arresti senza
un'accusa o senza un processo per lunghi periodi di tempo mentre
altri sono stati condannati a lunghe detenzioni dopo processi iniqui.
Molti di loro sono stati torturati.
Questo rapporto mostra anche che ragazzi sono stati arrestati ed
imprigionati per aver preso parte a manifestazioni pacifiche - alcuni
di essi avevano solo 12 anni. Molte delle garanzie previste dalla legge
cinese e dagli standard internazionali di difesa dei diritti umani per la
protezione dei minori vengono ignorate di continuo. I bambini
tibetani accusati di offese politiche sono stati torturati o maltrattati,
incarcerati con prigionieri adulti e costretti ai lavori forzati. Il
rapporto descrive dettagliatamente i casi di 45 giovani detenuti
politici tibetani
I. REPRESSIONE DEL DISSENSO POLITICO
La repressione del dissenso politico e' aumentata negli ultimi anni
nella Regione Autonoma del Tibet (TAR) ed in alcune aree autonome
tibetane nelle province del Sichuan, Gansu e Qinghai. Le persone
coinvolte in attivita' a sostegno dell'indipendenza tibetana sono
ritenute dei "separatisti" dal Governo cinese [Per descrivere le attivita'
nazionaliste e indipendentiste, i cinesi usano il termine "fenlie",
traducibile con "separatismo", in riferimento ad attivita' volte a
"dividere" la madrepatria, accusa particolarmente grave in Cina,
dove "unita' e stabilita' della madrepatria" sono considerate valori
fondamentali da parte delle autorita' cinesi], e conseguentemente
sono sottoposte ad arresti arbitrari e a detenzione. Almeno 628
prigionieri politici, la maggioranza dei quali per motivi di coscienza,
erano detenuti in Tibet nel dicembre 1994 [sono definiti prigionieri di
coscienza coloro che sono imprigionati, detenuti o la cui liberta' e'
comunque soggetta a restrizioni a causa della pacifica espressione
delle proprie opinioni o a causa dell'appartenenza ad un'etnia, del
proprio sesso, o colore della pelle, a condizione che non abbiano
usato violenza e non abbiano incitato altri a utilizzarla].
A Lhasa, la capitale della TAR, gli arresti arbitrari per ragioni
politiche si sono generalmente verificati nel corso di piccole
manifestazioni comprendenti meno di una dozzina di persone,
principalmente monaci e monache buddhiste che recitavano slogan a
favore dell'indipendenza nel Barkor, il circuito di pellegrinaggio
intorno al tempio di Jokhang.
Fra la fine degli anni '80 e l'inizio dei '90, la maggior parte delle
manifestazioni si sono svolte nella capitale tibetana. Tuttavia, negli
ultimi due anni, le attivita' politiche a sostegno dell'indipendenza
tibetana sono aumentate nelle zone rurali, ed hanno cosi' portato
all'arresto arbitrario di laici, accusati di attaccare manifesti illegali,
inscenare dimostrazioni o organizzare gruppi clandestini.
Il recente intensificarsi delle attivita' in favore dell'indipendenza
sembra essere stato alimentato dalle limitazioni ufficiali imposte alle
attivita' religiose. L'altra recente fonte di insoddisfazione e' il nuovo
aumento dei non-tibetani che si sono insediati in Tibet; si tratta,
principalmente, di Han (il maggior gruppo etnico cinese) e Hui (una
delle minoranze musulmane nella RPC), la cui presenza viene
percepita come una minaccia all'identita' nazionale tibetana da un
certo numero di locali. I "colonizzatori" Han e Hui sono anche visti
come una minaccia economica, dal momento che molti di loro vanno
in Tibet per acquistare negozi e terre.
Molti tibetani esprimono anche una profonda preoccupazione per
il basso livello di istruzione riservato ai loro bambini e per l'accesso
limitato all'istruzione primaria e superiore. Solo il 60 % dei bambini
in eta' scolare frequenta la scuola nella TAR, secondo i rapporti della
stampa cinese. Il tasso di analfabetismo nel TAR era circa il 45 % nel
1991, comparato con una media di circa il 16% nella RPC.
Nuove misure di sicurezza miranti alla soppressione delle attivita'
a sostegno dell'indipendenza ed alla limitazione del raggio d'azione
delle attivita' religiose sono state introdotte in Tibet nel 1994. Il 10
maggio, le autorita' di Lhasa hanno stabilito un aumento delle misure
di sicurezza per il periodo di un mese in coincidenza con una serie di
anniversari tibetani e di feste religiose. In quello stesso mese, i
funzionari della giustizia hanno fatto un resoconto del trattamento
che hanno subito alcuni "controrivoluzionari" nella TAR,
sottolineando il fatto che tali attivita' sono aumentate negli ultimi
anni.
"Abbiamo preso severe misure disciplinari contro le
attivita' di sabotaggio dei separatisti in conformita' con la
legge. I casi riguardanti la propaganda
controrivoluzionaria e l'incitamento di cui si sono
occupate i tribunali della regione sono aumentati negli
ultimi anni ... Un gruppo di separatisti insuperbiti
dall'arroganza controrivoluzionaria hanno svolto attivita'
miranti alla frammentazione della madrepatria ed hanno
diffuso gradualmente le loro attivita' controrivoluzionarie
dalle citta' alle campagne"
In seguito, alcuni funzionari cinesi hanno dichiarato che 765 casi
di "separatismo" ed altri gravi reati, si sono verificati nella TAR nel
1994. Nel suo rapporto, il Tibet Daily, il giornale ufficiale del
Governo della TAR, non ha fatto distinzioni fra le due categorie ne'
ha dato alcun riferimento quantitativo. "Tutti gli accusatori della
regione ... riconoscono appieno che l'assalto legale alle attivita'
distruttive della cricca del Dalai Lama e delle fazioni separatiste e' un
obiettivo primario ed un sacro dovere derivante dalla legge", ha detto
il giornale ufficiale.
Nel settembre 1994, le autorita' della TAR hanno emesso una
nuova regolamentazione sulla sicurezza, definendo in modo
inequivocabile le persone coinvolte in attivita' "separatiste" come i
primi obiettivi delle misure di sorveglianza e di sicurezza. Tutte le
"organizzazioni, i gruppi, le imprese, le istituzioni sociali e le
amministrazioni civili cosi' come i cittadini della giurisdizione
amministrativa" della TAR sono presentati nel documento come parte
di un nuovo, vasto corpo di amministrazione, insieme con gli uffici
di sicurezza. Assumere il controllo dell'amministrazione dei templi e
dei monasteri e' uno dei piu' importanti obiettivi citati esplicitamente
in questo documento. I compiti fondamentali assegnati a questo
apparato di sicurezza sono:
"combattere, in conformita' alla legge, gli elementi
criminali che mirano a smembrare la madrepatria ed a
commettere altri tipi di reato; investigare sui mali sociali
e limitarne la diffusione; punire severamente gli elementi
criminali che mettono seriamente a rischio la pubblica
sicurezza".
Poco prima che questi regolamenti fossero emanati, una nuova
campagna per limitare le attivita' religiose in Tibet e' stata organizzata
nel maggio 1994, quando ai membri del Partito Comunista della TAR
fu assegnato il compito di eliminare dalle proprie case qualsiasi
simbolo religioso, come altari, rosari, teche o immagini del leader
spirituale tibetano, il Dalai Lama. La campagna fu estesa nell'agosto
1994 quando ai funzionari di Governo tibetani e' stato proibito di
possedere fotografie del Dalai Lama ed e' stato imposto a coloro che
avevano mandato i figli in India ad istruirsi nelle scuole organizzate
dalla comunita' tibetana in esilio di richiamarli in patria.
In seguito, alcuni aspetti della campagna sono stati estesi fino a
coprire tutti i tibetani. Le fotografie del Dalai Lama esposte nei
mercati di Lhasa sono state confiscate nel settembre 1994. Queste
immagini erano state tollerate in un primo momento quando le
autorita' cinesi riconoscevano il ruolo di leader religioso del Dalai
Lama.
Nell'ottobre 1994 e' stato pubblicato il rapporto di una missione sui
diritti umani del Ministero degli Esteri svedese, in Tibet nel marzo
1994. Il rapporto citava Drokmi Jampa Lodroe, capo della
Commissione per gli Affari Religiosi della TAR, il quale affermava
che "il numero di monaci e monache (...) era superiore alle richieste.
La liberta' di religione era ora del tutto realizzata".
Nel novembre 1994 il Comitato di Propaganda del Comitato del
Partito Comunista della TAR ha confermato questa affermazione ed
ha emesso un ordine volto a limitare ulteriormente le attivita'
religiose. "Dobbiamo fissare [congelare] il numero dei monaci e delle
monache nei monasteri", imponeva la direttiva, che sottolineava il
fatto che un certo numero di "ovvi problemi" nelle pratiche religiose
doveva essere corretto - per esempio la costruzione non autorizzata
di monasteri, l'"interferenza" religiosa nell'istruzione e nel controllo
delle nascite, l'esistenza di monaci minori di 18 anni e la pratica
religiosa di "qualche membro di partito". "L'influenza del nemico
all'esterno, in particolare della cricca del Dalai Lama, si e' insinuata
piu' che mai nei monasteri della nostra regione", aggiungeva.
Questa direttiva e' stata emessa poco prima che il Relatore Speciale
della Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite
sull'intolleranza religiosa, Abdelfattah Amor, visitasse la Cina ed il
Tibet fra il 19 ed il 30 novembre 1994. Si e' trattato del primo viaggio
nella RPC da parte di un esperto in diritti umani delle Nazioni Unite.
Il mandato del Relatore Speciale e' di esaminare gli incidenti e le
azioni governative in contrasto con la Dichiarazione delle Nazioni
Unite sull'Eliminazione di ogni forma di Intolleranza e
Discriminazione fondata sul Credo o sulla Religione. Il Relatore
Speciale, che e' stato invitato dal Governo cinese, ha visitato quattro
citta'': Pechino, Chengdu, Shanghai e Lhasa. A Lhasa, ha incontrato i
funzionari governativi della TAR, i funzionari governativi degli affari
religiosi, e associazioni religiose ed accademici; ha inoltre visitato
alcuni luoghi di culto. Il suo rapporto e' stato presentato alla
Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, a Ginevra, nel
febbraio 1995. Il Relatore Speciale ha affermato che nel corso di
questa visita, i funzionari cinesi non hanno negato alcune delle
restrizioni imposte ai monaci ed alle monache tibetane, cosi' come era
stato riportato. Egli ha citato quanto risposto da pubblici ufficiali
della Commissione per le Minoranze e gli Affari Religiosi i quali
hanno dichiarato che "in un certo senso", un controllo sul numero
dei monaci e delle monache tibetane era necessario per andare
incontro alle capacita' economiche dei monasteri, e che alcuni
monasteri avevano rifiutato monaci e monache perche' ne avevano
gia' troppi. I funzionari cinesi hanno inoltre confermato che i monaci
e le monache rilasciati dopo aver scontato una pena detentiva per
"reati controrivoluzionari" in Tibet non hanno potuto fare ritorno ai
rispettivi monasteri di appartenenza.
Il 26 novembre, il Relatore ha incontrato Yulo Dawa Tsering, ex-
abate e dissidente di rilievo, rilasciato sulla parola solo poche
settimane prima, ufficialmente per buona condotta nel corso della
prigionia e per aver ammesso di essere reo. Nel corso del colloquio
con il Relatore Speciale, Yulo Dawa Tsering ha negato di aver
riconosciuto le sue "colpe" e ha dichiarato di essere stato incarcerato
dal 1987 per aver detto a dei turisti italiani che sosteneva
l'indipendenza del Tibet. Ha poi sottolineato che da quando e' stato
rilasciato, non gli e' stato permesso di entrare a far parte di alcun
monastero, al pari di tutti gli altri monaci e di tutte le altre monache
precedentemente detenuti per ragioni politiche.
Secondo fonti non ufficiali, alla gente comune e' stato impedito di
entrare in contatto con il Relatore Speciale, dato che imponenti forze
di sicurezza cinesi sono state dispiegate a Lhasa nel corso della visita.
I tibetani che cercavano di trasmettergli informazioni hanno detto che
era impossibile raggiungere gli esperti delle Nazioni Unite a causa
della sorveglianza della polizia, e testimoni occidentali hanno
affermato di aver visto alcuni monaci costretti a lasciare la zona
intorno al tempio di Jokhang, a Lhasa, durante la visita di due giorni
del Relatore Speciale.
Nel suo rapporto, il Relatore Speciale ha raccomandato che fosse
sospeso il divieto relativo all'accesso ai luoghi di culto per ex-
prigionieri accusati di reati "controrivoluzionari"; si e' appellato alla
legge perche' fosse garantito il diritto di praticare il proprio culto da
parte di tutti, compresi giovani e membri del Partito Comunista e di
altre organizzazioni ed ha altresi' invitato al rilascio dei monaci, delle
monache e dei laici appartenenti ad organizzazioni religiose non
ufficiali, incluse quelle tibetane.
Ha anche detto che le autorita' cinesi gli avevano comunicato che
non vi erano regolamentazioni dell'insegnamento religioso per i
giovani al di sotto dei 18 anni, ma che la legge stabiliva che per
diventare monaci o monache bisognasse avere 18 anni. Al Relatore
Speciale e' stato dichiarato in incontri non ufficiali che i minori di 18
anni non erano ammessi a frequentare l'insegnamento religioso nelle
istituzioni pubbliche. Egli, allora, ha caldeggiato l'adozione di
specifiche misure per garantire i diritti religiosi dei minori di 18 anni
e per adeguare la legislazione cinese in materia alle raccomandazioni
dell'Articolo 14 della Convenzione sui diritti del Fanciullo, ratificata
dalla Cina il 2 marzo 1992 [la questione dei novizi sembra rimanere
tuttavia controversa, da quando altri dirigenti della Commissione per
le Minoranze e per gli Affari Religiosi hanno riferito a mr. Amor che
ragazzi al di sotto dei 18 anni possono diventare novizi a condizione
che lo facciano volontariamente e con il consenso dei genitori].
II. L'INTERESSE DI AMNESTY INTERNATIONAL PER IL TIBET
I provvedimenti adottati per garantire la sicurezza contro il
dissenso politico hanno portato a continue violazioni dei diritti umani
nel corso degli ultimi due anni. Nel 1993 e nel 1994, arresti arbitrari,
detenzione di prigionieri di coscienza, detenzioni senza processo,
tortura e maltrattamenti hanno continuato a diffondersi.
1. Prigionieri di coscienza e prigionieri politici
Secondo alcune fonti, almeno 628 prigionieri politici, la maggior
parte dei quali figurano come prigionieri di coscienza, erano detenuti
in Tibet negli ultimi mesi del 1994; il numero include 182 donne e 45
minori di 18 anni al momento dell'arresto. Alla fine del 1993 si
sapeva solo della detenzione di 400 persone.
L'aumento riportato sembra essere il risultato dei nuovi arresti -
almeno 110 persone sono state arrestate nel 1994 - e della maggiore
disponibilita' di informazioni su prigionieri prima sconosciuti. Nel
novembre 1994, una lista non ufficiale fatta uscire clandestinamente
dal Tibet elencava 250 prigionieri politici condannati e detenuti nella
prigione di Drapchi a Lhasa: di almeno 95 di questi, arrestati fra il
1989 ed il 1993, si ignorava l'esistenza al di fuori del Tibet. In genere,
la disponibilita' di informazioni ufficiali sui prigionieri politici in Tibet
e' piuttosto scarsa. Comunque, nel giugno 1994 il Governo cinese ha
risposto alla richiesta di informazioni su 108 prigionieri politici
tibetani, avanzata dal Governo degli Stati Uniti nell'ottobre 1993. La
risposta cinese consisteva in una lista di 107 nominativi, riconosceva
che 56 di questi erano detenuti, compresi 11 che erano stati rilasciati,
e negava qualsiasi conoscenza degli altri 51. Secondo il Governo
cinese, di quelli ancora detenuti, due erano stati condannati e 43
erano sotto inchiesta.
In aggiunta a cio', secondo i rapporti della stampa, un funzionario
del ministero della Giustizia cinese a Pechino, ha rivelato nel gennaio
1995 che 200 degli 800 tibetani ufficialmente detenuti nella TAR erano
stati riconosciuti colpevoli di "reati controrivoluzionari". Questa cifra
risulta molto al di sotto del numero totale di prigionieri politici e di
coscienza nella TAR riportato da fonti non ufficiali. Ne' include quelli
in detenzione amministrativa.
Nel dicembre 1994, il Gruppo di Lavoro sulla Detenzione
Arbitraria della Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite
ha pubblicato il suo rapporto annuale in cui conclude che il Governo
cinese ha violato gli standard di difesa dei diritti umani detenendo
arbitrariamente 51 prigionieri politici, 32 dei quali in Tibet, i cui casi
erano stati esaminati dal Gruppo di Lavoro. Le preoccupazioni del
Gruppo di Lavoro circa la detenzione arbitraria erano state
comunicate un anno addietro al Governo cinese che non aveva
reagito. Nove dei tibetani citati nel rapporto avevano scontato la
propria pena ed erano stati rilasciati, altri due erano stati liberati su
cauzione, ma 21 si trovavano ancora in carcere nel dicembre 1994.
Il piu' anziano prigioniero politico tibetano conosciuto, Lobsang
Tsondru, e' uno dei prigionieri di coscienza di cui il Gruppo di
Lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria, chiede il
rilascio. Monaco e teologo del monastero di Drepung, e' detenuto nel
carcere di Drapchi a Lhasa. Varie fonti indicano che aveva un'eta'
compresa fra i 77 e gli 83 anni al momento dell'arresto nel marzo-
aprile 1990. E' stato ufficialmente condannato a sei anni di reclusione
per "coinvolgimento in attivita' separatiste illegali". Secondo i
rapporti, e' stato picchiato duramente dalle guardie carcerarie ed ha
perso conoscenza in un incidente che ha coinvolto diversi prigionieri
nell'aprile 1991. In seguito all'incidente, e' stato tenuto in cella
d'isolamento per almeno cinque mesi. Sempre secondo i rapporti,
pare che nel 1993 abbia sofferto di un attacco di cuore. Nel luglio
1994, il suo caso e' stato sottoposto dal Relatore Speciale delle
Nazioni Unite sulla Tortura all'attenzione del Governo Cinese che ha
replicato che Lobsang Tsondru godeva di perfetta salute.
* La piu' lunga condanna imposta ad un prigioniero di
coscienza di cui si abbia notizia e' stata inflitta in Tibet ad un uomo
ultrasessantenne. Nel 2011, alla data del suo rilascio, avra' passato
ininterrottamente 28 anni in carcere. Ex-insegnante di scuola
elementare, e' detenuto nella prigione di Drapchi a Lhasa. E' stato
condannato a tre e a dieci anni di carcere successivamente nel 1963 e
nel 1970 per aver fatto dichiarazioni a sostegno dell'indipendenza.
Rilasciato nel 1980, aveva 57 anni quando e' stato arrestato
nuovamente e condannato a 15 anni di carcere nel 1983 con l'accusa
di " incitamento e propaganda controrivoluzionaria". Nel 1988 e' stato
ulteriormente condannato a cinque anni per aver gridato slogan in
favore dell'indipendenza mentre si trovava in carcere. In seguito ad
una visita alla prigione di Drapchi da parte dell'ambasciatore svizzero
il 6 dicembre 1991, risulta che il prigioniero e' stato picchiato per aver
gridato degli slogan durante la visita dell'Ambasciatore ed e' stato
condannato ad almeno sei mesi di isolamento. Alla sua precedente
condanna sono stati aggiunti altri otto anni.
Alcuni prigionieri di coscienza tibetani sono stati rilasciati nel
1994. Fra questi, Gendun Rinchen e Lobsang Yonten, due attivisti
per i diritti umani arrestati nel maggio 1993 a Lhasa con l'accusa di
"furto di segreti di Stato" e di coinvolgimento in "attivita'
separatiste". Entrambi sono stati rilasciati inaspettatamente nel
gennaio 1994 prima di essere processati [secondo il governo tibetano
in esilio, Lobsang Yobten sarebbe morto il 30 ottobre 1994, pochi
mesi dopo il suo rilascio]. Yulo Dawa Tsering, un monaco di 62 anni,
il prigioniero di coscienza tibetano piu' noto, e' stato rilasciato sulla
parola nel novembre 1994, insieme con altri tre prigionieri politici
tibetani, Thupten Namdrol, Tsewang Palden e Chungdag, anch'essi
detenuti nel carcere di Drapchi, a Lhasa. Amnesty International ha
accolto positivamente i rilasci anche perche', a quanto risulta, e' la
prima volta dal 1988 che fonti ufficiali cinesi annunciano
pubblicamente la liberazione di prigionieri di coscienza tibetani.
2. Nuove manifestazioni ed arresti arbitrari nel 1993-1994
Nel corso del 1993, ci sono stati in Tibet piu' arresti di quanti non
ce ne fossero stati negli anni successivi al 1987, anno in cui il
movimento per l'indipendenza tibetano si e' risvegliato dopo decenni
di apparente inattivita'. Circa 44 manifestazioni in favore
dell'indipendenza, comprese le otto avvenute fuori Lhasa, hanno
avuto luogo in Tibet, secondo i rapporti, nel corso del 1993; in
seguito a queste, almeno 180 persone sono state arrestate per il solo
fatto di avere sostenuto pacificamente l'indipendenza del Tibet.
A Lhasa, almeno 60 tibetani, principalmente monaci e monache,
sono stati arrestati arbitrariamente durante varie ondate di
manifestazioni che si sono svolte soprattutto nei mesi di marzo,
maggio, giugno e dicembre. In maggio, a Lhasa, una grande protesta
concepita originariamente per contestare un forte aumento dei prezzi
e degli affitti, si e' trasformata in una violenta dimostrazione a favore
dell'indipendenza alla quale hanno fatto seguito molti arresti.
Fuori Lhasa, circa 50 persone in maggio e in giugno sono state
arrestate nei villaggi dove si erano tenute manifestazioni a sostegno
dell'indipendenza. Verso la fine di giugno, altri 35 tra laici e monaci
sono stati arrestati arbitrariamente nel villaggio di Kymshi, nel sud
della TAR.
Nelle aree esterne alla TAR abitate da tibetani, 60 di questi sono
stati arrestati arbitrariamente in luglio nelle province di Qinghai,
Sichuan e Gansu, poco prima o durante la visita a Qinghai di Jiang
Zemin, Segretario Generale del Partito Comunista Cinese.
Nel 1994, 19 manifestazioni, tre delle quali fuori Lhasa, si sono
svolte in Tibet, secondo quanto e' stato riferito. Da fonti non ufficiali,
almeno 110 persone sono state arrestate per motivi politici durante
l'anno; fra queste, 30 di cui non si conoscono i nomi. Si crede che la
maggioranza siano prigionieri di coscienza, arrestati solo per il fatto
di avere sostenuto pacificamente la causa dell'indipendenza tibetana.
Non e' chiaro se il calo delle dimostrazioni e degli arresti riportato nel
1994 sia da addebitare all'azione deterrente dall'inasprirsi dei
provvedimenti oppure dalla scarsa disponibilita' di informazioni.
Sebbene sia sceso il numero di dimostrazioni a Lhasa, sembrano
in aumento le proteste e le manifestazioni di monaci e monache in
favore dell'indipendenza nelle zone rurali. Verso la fine del febbraio
1994, per esempio, si e' svolta una manifestazione nel villaggio di
Kyimshi, nella valle di Chideshol, 45 chilometri a sud di Lhasa che si
e' conclusa con l'arresto arbitrario di otto monache. Ai primi di
marzo, almeno sette monache del convento di Bumthang, nella
contea di Lhokha Gongkar, sono state arrestate, secondo quanto
riferito nei rapporti, dopo non meglio identificate agitazioni politiche.
Fra gennaio e marzo, una ventina di persone sono state arrestate
arbitrariamente per aver attaccato manifesti a favore
dell'indipendenza in diverse contee della prefettura di Chamdo, dove
le attivita' per l'indipendenza sono tenute sotto monitoraggio dal
1989.
A Lhasa, nel 1994, almeno 60 persone sono state arbitrariamente
arrestate nel corso di dimostrazioni pacifiche o di altre attivita' a
sostegno dell'indipendenza. Verso la fine di febbraio, secondo fonti
non ufficiali, il preside della maggiore scuola indipendente e' stato
arrestato con l'accusa di "attivita' controrivoluzionarie" e la scuola e'
stata chiusa. Il 21 marzo, tre monache del convento di Garu, nella
periferia nord di Lhasa, sono state arrestate per aver recitato slogan
indipendentisti nel Barkor. Il 27 marzo, due monaci sono stati
arrestati immediatamente dopo aver spiegato una bandiera tibetana.
In due diverse manifestazioni, nel mese di maggio, almeno 11
monaci dei monasteri di Phurchok e Nyethang Tashigang sono stati
arrestati.
Un totale di 12 fra monache e monaci della contea di Penpo
Lhundrup sarebbero stati arrestati arbitrariamente a Lhasa fra luglio
ed agosto in relazione ad almeno quattro dimostrazioni in favore
dell'indipendenza. Cinque monache del convento di Shar Bumpa,
nella contea di Penpo Lhundrup, 45 chilometri a nord-est di Lhasa,
sono state arrestate il 14 giugno dopo una breve manifestazione nel
Barkor. Il 19 giugno, il convento e l'adiacente Monastero di Ganden
Choekhor sono stati circondati dalle truppe e successivamente messi
sotto stretta sorveglianza da parte delle forze di polizia, per almeno
un mese. Quattro monaci del Monastero di Ganden Choekhor, che si
erano recati a Lhasa il giorno successivo per protestare contro
l'azione militare, sono stati immediatamente arrestati. Altre due
dimostrazioni, il 14 ed il 20 agosto, hanno portato all'arresto di altri
tre monaci del Monastero di Ganden Choekhor, per aver esposto
una bandiera tibetana sul Barkor.
Altri arresti sono stati eseguiti nel corso di manifestazioni
organizzate dai commercianti nel 1994 a Lhasa ed in altre citta'
tibetane. Il 27 marzo, un numero ancora imprecisato di persone sono
state tratte in arresto durante una dimostrazione pacifica di circa 200
negozianti tibetani che protestavano contro aumenti delle tasse.
Secondo alcuni testimoni, 17 negozianti sono stati presi a calci e
colpiti con il calcio dei fucili da parte della Polizia Armata Popolare
[Le truppe paramilitari della PAP sono la piu' importante tra le forze
armate in Tibet e sono responsabili assieme all'Ufficio di Pubblica
Sicurezza e alla Polizia della detenzione e degli interrogatori dei
prigionieri] che li ha successivamente condotti al Centro di
Detenzione di Gutsa a Lhasa, dove, secondo i rapporti, non sono
stati accettati dai funzionari del carcere perche' perdevano sangue.
Nel mese di dicembre, 14 monaci del Monastero di Sang-Ngag Kha,
25 chilometri ad est di Lhasa, sono stati arbitrariamente arrestati nel
corso di tre manifestazioni di protesta contro "l'interferenza politica"
nei propri monasteri. Le proteste hanno avuto luogo il 2 e il 7
dicembre 1994, poco dopo la visita in Tibet della fine di novembre
del 1994 del Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulle interferenze
religiose. Una delle tre proteste si e' svolta a Lhasa il 2 dicembre 1994
ed ha coinvolto otto monaci; le altre due, che hanno visto la
partecipazione di un totale di sei monaci, si sono svolte nelle citta' di
Lhasa e di Taktse, dove pare che i monaci abbiano anche attaccato
dei manifesti di protesta. Si crede che le manifestazioni siano state la
reazione agli interventi delle autorita' nel Monastero di Sang-Ngag
Kha. Il Segretario del Partito Comunista della contea di Taktse ha
annunciato una severa riduzione del numero dei monaci nel
monastero ed ha minacciato di chiuderlo se qualcuno dei membri si
fosse espresso a favore del movimento che sostiene l'indipendenza.
Questi interventi sembrano essere parte di una campagna di
limitazione delle attivita' religiose.
3. Pesanti condanne e processi iniqui
Mentre alcuni dei detenuti negli ultimi due anni erano incarcerati
senza accuse precise o venivano condannati in base a provvedimenti
amministrativi, altri sono stati condannati a pene detentive in seguito
a processi che probabilmente non in linea con gli standard
internazionali relativi ai processi equi. Le pene comminate agli
arrestati nel corso del 1993 vanno dai due agli otto anni di carcere. Le
poche condanne di cui si e' a conoscenza nel 1994 vanno da un
minimo di 12 ad un massimo di 15 anni. La lista di coloro che sono
stati condannati in seguito a processo negli ultimi due anni
includeva:
* quattordici monache condannate a vari anni di
reclusione nel carcere di Drapchi a Lhasa. Le monache sarebbero
state arrestate fra il 1989 ed il 1992 per aver preso parte alle
dimostrazioni tibetane a favore dell'indipendenza. Pare che le
monache non abbiano fatto uso di ne' in alcun modo appoggiato la
violenza ed Amnesty International ritiene che si tratti di prigionieri di
coscienza. Le loro condanne sono state aggravate l'8 ottobre 1993
fino a nove anni per il fatto di aver composto e cantato in carcere
delle canzoni a sostegno dell'indipendenza. Ad una di loro,
Phuntsog Nyidron, la pena e' stata aggravata di altri 17 anni di
carcere, finora la piu' lunga condanna mai inflitta ad una prigioniera
politica in Tibet. Le canzoni erano state registrate su un registratore
introdotto clandestinamente nella prigione e il nastro e' stato fatto poi
circolare segretamente in Tibet. Sulla cassetta ognuna delle 14
monache dichiara la propria identita' e dedica una canzone o una
poesia alle sue amiche e sostenitrici. Nella maggior parte delle
canzoni le monache confermano il loro impegno per la causa
dell'indipendenza tibetana. Si ritiene che le autorita' cinesi
considerino la pubblica distribuzione di queste canzoni come
"diffusione di propaganda controrivoluzionaria" [17/08/95].
* undici monache del Convento di Garu. I loro termini
di carcerazione vanno da due a sette anni per la loro presunta
partecipazione ad una manifestazione che, secondo fonti non ufficiali
tibetane, non ha mai avuto luogo. Le monache sono state arrestate il
14 giugno 1993, giorno in cui nessuna manifestazione ne' a Lhasa ne'
nei dintorni, e' stata segnalata e fonti della citta' ritengono che le
monache siano state arrestate prima ancora che riuscissero ad iniziare
una protesta. Fra le monache arrestate quel giorno c'era Gyaltsen
Pelsang, una novizia di 13 anni (vedi oltre) e Gyaltsen Kelsang,
morta nel febbraio 1995, poco dopo essere stata rilasciata sulla parola
per sottoporsi a cure mediche (vedi oltre). Non sono state rese
pubbliche, da parte delle autorita' cinesi, la data e le circostanze
relative al processo; si e' venuti a conoscenza delle condanne tramite
fonti non ufficiali verso i primi di febbraio 1994. Le monache sono
detenute nel carcere di Drapchi [ASA 17/11/95].
* cinque tibetani della contea di Pakshoe, prefettura di
Chamdo, Tibet orientale. Sono stati condannati alla fine di luglio del
1994 con pene che vanno dai 12 ai 15 anni di carcere con l'accusa di
"sabotaggio controrivoluzionario" e "incitamento e propaganda
controrivoluzionaria". Tali pesanti condanne per reati politici sono
state ignorate fino al 1992. Pare che i condannati avessero rotto una
targa di un palazzo governativo e affisso degli slogan a sostegno
della causa dell'indipendenza, nel marzo 1994. La condanna e' stata
annunciata da una corte in un processo-spettacolo (un raduno di
condanne di massa) al quale hanno preso parte parecchie migliaia di
abitanti locali e che e' stato trasmesso alla televisione tibetana. Jigme
Dorje, Lobsang Dargye e Pema Tsering sono stati condannati a 15
anni di carcere ognuno, seguiti dalla privazione dei diritti politici per
altri cinque anni. Lobsang Palden e Jampa Tashi sono invece stati
condannati a 12 anni di carcere ognuno con successiva privazione,
per quattro anni, dei diritti politici. Il luogo dove i cinque
sconteranno la pena e' ignoto.
Amnesty International teme seriamente che le procedure
processuali in Tibet, cosi' come ovunque nella Repubblica Popolare
Cinese, non rispettino gli standard internazionali per i processi equi.
Gravi limitazioni sono poste al diritto di difesa e la confessione -
spesso estorta con la tortura - e' usata come prova. Gli imputati non
hanno diritto a chiamare in causa dei testimoni e non hanno tempo
sufficiente ne' dispongono di facilitazioni per prepararsi una difesa. In
casi politici simili a quelli appena citati, la possibilita' che gli imputati
possano contare su un'udienza equa e' addirittura piu' remota di
quanto non sia quella relativa ai casi criminali ordinari, dato che
l'epilogo altro non e' che la ratifica di una decisione gia' presa.
I dettagli sui processi sono generalmente di difficile accesso.
Comunque, nel 1993 Bagdro, un monaco del Monastero di Ganden,
ha fatto un resoconto circostanziato di come lui ed altri cinque
tibetani sono stati processati nel 1989 per aver preso parte a
dimostrazioni per l'indipendenza. Bagdro e' stato condannato a tre
anni di carcere, un altro degli imputati alla pena di morte, in data da
definire, e agli altri sono stati dati fino a 12 anni di carcere per il
presunto omicidio di un poliziotto cinese durante una manifestazione
a favore dell'indipendenza nel 1988. Rilasciato nell'aprile 1991,
Bagdro e' riuscito a fuggire dal paese ed a testimoniare di fronte ad
una commissione parlamentare del Regno Unito nel 1993. Secondo la
sua deposizione, l'unica prova contro i difensori era la confessione
estorta con la tortura. L'estorsione della confessione per mezzo della
tortura contravviene in pieno con la Convenzione contro la Tortura
ed altri Trattamenti o Punizioni Crudeli, Inumani o Degradanti, della
quale l'articolo 15 dichiara: "Ogni Stato membro assicura che non si
servira' nel corso dei processi di confessioni che siano state ottenute
per il tramite della tortura".
Nella sua testimonianza, Bagdro ha descritto come, per un mese,
e' stato torturato mentre era inquisito ed ha in tal modo fornito la
prima testimonianza diretta di un processo politico in Tibet,
attualmente:
"Dopo un mese non potevo piu' reggere una situazione
del genere, per cui ho confessato di aver colpito un
poliziotto con una sbarra di metallo. Hanno messo a
rapporto questa confessione... Poi sei di noi sono stati
accusati di essere stati i leader della manifestazione e di
essere responsabili della morte del poliziotto... Ognuno
di noi ha ricevuto un foglio con i crimini dei quali
eravamo accusati... Non ho piu' il mio, ma c'era scritto:
1. che ero uno dei leader del movimento separatista.
2. che ero uno dei leader della manifestazione
3. che avevo ucciso un poliziotto.
Il foglio con le accuse mi e' stato consegnato tre giorni
prima del processo... Hanno chiesto a tutti noi se
volevamo qualcuno che ci rappresentasse. Poteva essere
chiunque, ci hanno detto, - genitori, amici o chiunque
altro - per quanto ne sapevano della legge cinese.
Abbiamo rifiutato l'offerta... Sapevamo che se avessimo
nominato qualcuno, ad esempio, se avessi fatto il nome
di mio padre, sarebbero andati da lui, l'avrebbero messo
alle strette, dicendogli cosa dire ... Nessuno ci ha piu'
rivolto la parola, in seguito, nemmeno per spiegarci le
procedure processuali. La possibilita' di disporre di
avvocati non e' stata neanche menzionata, si e' parlato
solo di rappresentanti. Un giorno prima che andassimo
in tribunale siamo stati informati con un pezzetto di
carta che ci sarebbe stato il processo... [Durante
l'udienza] e' stata menzionata la mia confessione ed io ho
detto subito che era stata estorta tramite tortura. In ogni
caso mi e' stato impedito di aggiungere alcunche' in
proposito. Siamo ugualmente riusciti tutti a dire che le
confessioni ci erano state estorte... Prima che fossimo
condotti dal tribunale al carcere, subito prima che
uscissimo, ci era stato detto di non dire di essere stati
picchiati... Siamo stati condotti fuori da un'entrata
laterale. Li' siamo stati nuovamente e duramente
malmenati [dai soldati]... Io sono stato accusato di aver
ucciso un poliziotto, di aver tirato pietre alla polizia e di
aver preso parte alla dimostrazione... Quando siamo
tornati alla prigione ci hanno detto che avremmo avuto
dieci giorni per scrivere le nostre lamentele. Quattro di
noi l'hanno fatto, io no. Sapevo che sarebbe stato
inutile... Il rigetto delle rimostranze o dell'appello, ci e'
stato notificato venti giorni dopo, per iscritto. Ognuno di
noi ha ricevuto una lettera ... anche quelli di noi che non
avevano fatto ricorso. La lettera diceva che ormai la
decisione era stata presa."
4. Tortura e maltrattamenti
La Repubblica Popolare Cinese ha ratificato la Convenzione contro
la Tortura ed altri Trattamenti o Punizioni Crudeli, Inumani o
Degradanti. La legislazione penale della RPC stabilisce anche che "e'
severamente proibito estorcere confessioni tramite tortura" (Articolo
136). La legge di procedura penale ribadisce il divieto di "estorsione
di confessioni tramite tortura" o "altri mezzi illegali". I Regolamenti
sui Centri di Detenzione entrati in vigore nel marzo 1990,
stabiliscono che "le botte e gli insulti, le punizioni corporali" e "i
maltrattamenti" a danno degli accusati sono "severamente proibiti"
[La Legge sulle Prigioni nella RPC del dicembre 1994 ribadisce tale
divieto, e la Legge sui Risarcimenti approvata nall'inizio del 1995
stabilisce che le vittime di tali abusi hanno diritto ad un indennizzo].
Eppure, la tortura ed il maltrattamento dei prigionieri in Tibet ha
continuato ad essere denunciato da ex-prigionieri e dalle fonti non
ufficiali di Lhasa. La tortura durante l'interrogatorio, l'utilizzo di
bastoni elettrici, la privazione di cibo o liquidi, l'esposizione al freddo
all'uso di manette o di catene per lunghi periodi, nonche' il rifiuto di
cure mediche sono la routine. Amnesty International ritiene che i tipi
di tortura indicati nei rapporti dai detenuti tibetani persistano e che i
funzionari responsabili non siano denunciati alla giustizia. Fra coloro
che sono stati torturati o malmenati nel corso della detenzione, ci
sono:
* un prigioniero tibetano che, fuggito, ha poi fornito una
testimonianza della sua detenzione. Nel 1969, era stato accusato di
"reati controrivoluzionari" e per questo imprigionato per 13 anni.
Nell'aprile del 1992 e' stato nuovamente arrestato a Dartsedo, una
citta' nel distretto autonomo tibetano di Ganze, nella provincia di
Sichuan, mentre attaccava manifesti favorevoli all'indipendenza
durante la notte con altri tre tibetani, anch'essi arrestati. Mentre lo
arrestavano, e' riuscito ad accoltellare a morte un poliziotto. In
carcere, e' stato tenuto per cinque mesi in manette ed in catene che
pesavano 30 chili. Cio' rientra nella definizione di maltrattamento,
proibito dalla regola 33 dello Standard Minimo del Trattamento dei
Prigionieri. Dopo cinque mesi e' stato condannato alla pena di morte,
sospesa per due anni, pena spesso comminata in Cina che puo'
essere commutata in ergastolo. Durante il processo, e' stato costretto
ad attaccarsi al collo una lavagna, con il suo nome, una pratica
umiliante tradizionalmente usata in Cina per biasimare il prigioniero
davanti a tutti.
* Due tibetani che, arrestati nel maggio del '93 dopo aver
preso parte ad alcune manifestazioni per l'indipendenza nei villaggi
nei dintorni di Lhasa sono stati trattenuti per indagini per alcune
settimane in una prigione locale. Secondo fonti non ufficiali, per un
giorno ed una notte dopo l'arresto sono stati privati del cibo;
malmenati, presi a calci e sottoposti ad elettroshock, sono stati infine
chiusi in una cella con venti centimetri d'acqua sul pavimento per
tutta la notte. Non si sono potuti ne' sedere ne' sdraiare visto che
mancavano le sedie e i letti e non volevano stendersi nell'acqua. Il
giorno dopo sono stati trasferiti in un'altra cella dove sono stati
interrogati.
* Secondo varie testimonianze non ufficiali, Damchoe
Pemo, una donna tibetana arrestata a Lhasa il 20 maggio 1993 ha
abortito una settimana dopo che la polizia l'aveva costretta a stare in
piedi per almeno dodici ore e l'ha colpita con dei bastoni elettrici. Si
tratta di una commerciante di Lhasa di circa 25 anni, al quarto o
quinto mese di gravidanza, al momento della detenzione. Secondo
una delle fonti, l'incidente si e' verificato in seguito al rifiuto della
donna di rivelare i nomi di alcuni attivisti clandestini nel corso di un
interrogatorio. Apparentemente e' stata arrestata col sospetto di
essere uno dei membri di un'organizzazione per l'indipendenza. Il
suo rilascio e' stato annunciato ufficialmente il 29 ottobre ad alcuni
ambasciatori europei durante un incontro a Pechino.
* Tre tibetani in viaggio per l'India sono stati arrestati a
Tingi e detenuti per 11 giorni verso i primi del 1994. Una volta
fuggiti in India, hanno rilasciato delle testimonianze secondo le quali
erano stati percossi con bastoni elettrici direttamente sul viso, sulle
spalle e sul torace nel corso degli interrogatori. Sono stati anche presi
a calci nello stomaco. Uno di loro ha detto di essere stato messo in
isolamento in una cella le cui pareti e materassi erano macchiati di
sangue. Un altro prigioniero gli ha spiegato che le macchie erano
dovute alle torture inflitte il giorno prima ad un prigioniero. Piu' tardi
i tre prigionieri sono stati costretti a stare a piedi nudi nella neve per
un'ora nel cortile della prigione. Durante il capodanno cinese e
tibetano, le guardie hanno tirato dei fuochi d'artificio nella loro cella
ed i prigionieri si sono dovuti coprire la testa con delle coperte per
evitare di rimanere feriti.
5. Decessi durante la custodia
* Il 4 giugno 1994 Phuntsog Yangki, una monaca tibetana
di 20 anni, nonche' prigioniera di coscienza condannata a scontare la
sua pena nella prigione di Drapchi, e' deceduta in un ospedale
penitenziario di Lhasa. Stava scontando cinque anni di carcere per
aver partecipato ad una breve manifestazione per l'indipendenza nel
febbraio 1992. Secondo fonti non ufficiali, e' stata picchiata dalle
guardie carcerarie dopo aver cantato, insieme ad altre monache, inni
nazionalistici l'11 febbraio 1994. Pare che abbia perso conoscenza in
seguito alla somministrazione di farmaci da parte dello staff medico
che ha preso questa decisione " perche' parlava irrefrenabilmente". Il
4 giugno 1994 e' stata trasferita all'ospedale penitenziario di Lhasa
dove e' morta, pochi giorni dopo aver subito una puntura lombare.
Sarebbe stato celebrato il tipico funerale tibetano, conosciuto come
"sepoltura a cielo". Non si sa se alla sua famiglia e' stato possibile
assistere al funerale e, prima della cerimonia, non e' stata fatta
un'autopsia per chiarire le cause della morte [nella tradizione
funeraria tibetana, i corpi sono smembrati in piccoli pezzi e lasciati su
una particolare montagna per essere divorati dagli avvoltoi. Questo
particolare rito si chiama "topden"]. Nel luglio 1994, il suo caso e'
stato sottoposto dal Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla
tortura al Governo cinese, il quale ha replicato che l'amministrazione
della prigione aveva scoperto che la prigioniera era affetta da
tubercoloma, l'aveva pertanto trasferita all'ospedale per sottoporla a
cure mediche e che, in seguito al decesso, l'amministrazione
penitenziaria aveva fatto in modo che i suoi resti fossero trattati
secondo il costume tibetano.
Amnesty International continua a chiedere al Governo cinese di
chiarire le circostanze della morte di Phuntsog Yangkyi, cosi' come e'
richiesto dagli standard internazionali e dalla legislazione cinese.
Secondo i pareri medici di cui dispone Amnesty International,
sempre che fosse disponibile un minimo di assistenza medica, un
tubercoloma non avrebbe dovuto portare alla morte. Stanti le
difficolta' a diagnosticare un tubercoloma e' sorprendente che la
diagnosi fosse stata fatta dall'amministrazione del carcere prima che
Phuntsog Yangkyi fosse portata all'ospedale. Amnesty International
sta cercando di ottenere dalle autorita' cinesi un rapporto sui sintomi
che hanno spinto l'amministrazione carceraria a mandare la
prigioniera in ospedale la prima volta che il tubercoloma e' stato
diagnosticato e quale trattamento le e' stato somministrato prima e
durante la sua permanenza in ospedale. Inoltre, e' una pratica
comunemente adottata, tanto secondo gli standard internazionali
quanto secondo quelli cinesi [anche prima della Legge sulle Prigioni
del 1994, molti altri regolamenti stabilivano l'obbligatorieta' di
un'inchiesta da parte del tribunale del Popolo in caso di morte in
detenzione. La nuova legge prevede anche una valutazione medica
da parte delle autorita' della prigione, con possibilita' di un'ulteriore
perizia su richiesta della Procura], che in caso di morte avvenuta in
custodia si dovrebbe aprire un'inchiesta, che includa anche
un'autopsia, per stabilire le cause e le circostanze del decesso. Se
una tale inchiesta si verifica, i risultati devono essere pubblicati.
* Un'altra tibetana di 24 anni sarebbe morta il 20 febbraio
1995 poco dopo aver lasciato la custodia in base al giudizio dei
medici. Legalmente era ancora sotto il controllo delle autorita'
carcerarie. La vera causa del decesso di Gyaltsen Kelsang non e' nota;
pare, tuttavia, che durante la detenzione abbia subito dei
maltrattamenti e che sia stata tenuta in condizioni deprecabili.
Sembra inoltre che le fossero stati diagnosticati dei gravi disturbi ai
reni. Gyaltsen Kelsang, arrestata insieme ad altre undici monache del
Convento di Garu, a nord di Lhasa, il 14 giugno 1993 , era stata
accusata di aver preso parte ad una manifestazione per
l'indipendenza (vedi oltre). Gyaltsen Kelsang era stata poi
condannata a due anni di carcere ed era una prigioniera di coscienza.
All'epoca dell'arresto, nel giugno 1993, ed anche in seguito al suo
arrivo alla prigione di Drapchi a Lhasa, pare che Gyaltsen Kelsan
fosse stata picchiata. Una fonte non ufficiale tibetana afferma che "e'
stata picchiata selvaggiamente li' [nel carcere di Drapchi], si e' molto
indebolita eppure e' stata condannata ai lavori forzati". Secondo la
medesima fonte inoltre, un anno dopo il suo arresto "la sua salute
era peggiorata tanto da costringerla a letto, ma le guardie
penitenziarie non si curavano di lei".
Verso la fine di novembre 1994 pare che sia stata trasferita ad un
ospedale penitenziario di Lhasa dove le sono stati diagnosticati dei
gravi disturbi ai reni. Dopo essere stata accettata dall'ospedale pare
che abbia perso l'uso degli arti inferiori ed abbia cominciato ad avere
problemi di comunicazione. Un tibetano che le ha fatto visita allora
nel novembre 1994 ha dichiarato: "dalla vita in giu' era molto
dimagrita e non sentiva piu' le gambe... non poteva mangiare ed il
suo viso sembrava inscheletrito. Aveva molta paura di morire e
poteva a malapena parlare. Pronunciava le parole molto lentamente e
respirava affannosamente. Disse che sarebbe presto morta."
Un mese dopo il trasferimento all'ospedale penitenziario, la salute
di Gyaltsen Kelsang non sembrava migliorare, pertanto fu mandata a
casa dei genitori su parere medico [I prigionieri rilasciati per motivi
di salute sono tenuti a ripresentarsi al loro luogo di detenzione non
appena sono in grado di farlo]. I suoi genitori erano tenuti, una volta
alla settimana, a fare rapporto alle autorita' in merito alla salute della
figlia e riuscirono a farla ricoverare all'Ospedale Medico tibetano. E'
rimasta in ospedale per nove settimane ma, sette giorni dopo essere
stata dimessa, e' morta a casa dei genitori nei sobborghi di Lhasa. I
suoi resti sembra siano stati trattati secondo il rito funebre tibetano.
La sua pena si sarebbe dovuta concludere nel giugno 1995.
Amnesty International sta richiedendo alle autorita' cinesi di
fornire informazioni sulla data in cui e' stata diagnosticata per la
prima volta la malattia di Gyaltsen Kelsang, quale fosse la diagnosi,
quale trattamento le fosse stato raccomandato e quale abbia ricevuto.
Chiede altresi' che le autorita' cinesi rendano noto se sia stata fatta
un'autopsia per determinare la cause della morte di Gyaltsen
Kelsang e, in caso affermativo, desidera che i risultati siano resi
pubblici.
Amnesty International e' molto preoccupata del fatto che negli
ultimi anni, tre giovani tibetane siano morte poco dopo essere state
rilasciate dalla prigione e del fatto che i rapporti del Governo cinese
sulle cause e sulle circostanze dei decessi siano inadeguati e non
accennino ai maltrattamenti inflitti. Gyaltsen Kelsang e' la decima
prigioniera politica dal 1987 morta poco dopo essere stata trasferita
dal carcere all'ospedale, ed i tre ultimi decessi hanno riguardato
giovani donne. Nell'ottobre 1992, Kunsang Choekyi, un'altra giovane
monaca del convento di Shungsep e' morta dopo essere stata
rilasciata da Trisam dove era stata sottoposta a rieducazione tramite
lavori forzati. Amnesty International chiede alle autorita' cinesi di
fornire un resoconto dettagliato delle circostanze dei decessi delle
donne ed in particolare di spiegare la relazione sussistente - sempre
che sussista - fra accuse di maltrattamenti e successivi decessi.