di Renato Ferrero
Corriere della Sera, 5 agosto 1995, pag. 6
Pechino. Nella Cina impazzita per i soldi, gli affari, le speculazioni, tutto può essere venduto, tutto può essere comprato. Incluso il potere, disponibile anche in affitto. Tessere del PCC, così come cariche di segretario politico d'enti pubblici, venivano noleggiate nella provincia del Guandgong, prima che i responsabili finissero davanti agli organi di disciplina. Nello Shanxi invece le tessere erano offerte all'asta. Più cauti, i funzionari dello Hunan si limitavano a proporre lettere di raccomandazione, con un prezzo variabile a seconda del rango di chi v'apponeva la firma.
Il possesso d'una tessera aiuta ad estorcere favori, materie prime scarse, prestiti a tassi agevolati, ed anche a tenere lontani poliziotti ed ispettori fiscali. Non stupisce quindi che, proprio mentre crolla la fede nel comunismo, si gonfi il numero di quanti premono con ogni mezzo per entrare nel partito. »Deng Xiaoping ha riconosciuto che i cinesi non possono arricchirsi tutti insieme, e che inevitabilmente alcuni s'arricchiscono prima degli altri. Ecco, il PCC è il club di quelli che fan soldi per primi , ci ha detto ridendo un giovane affarista.
I funzionari vendono licenze commerciali e licenze d'importazione, speculano, truffano, fanno aggiotaggio, violano le leggi, spremono contributi alle industrie pubbliche ed agli imprenditori privati, tartassano i contadini con balzelli illeciti e li imbrogliano consegnando loro falsi fertilizzanti, sementi sterili, medicine fasulle. A Pechino buona parte dei telefoni cellulari in circolazione è stata venduta da impiegati pubblici: con un sovrapprezzo, ma le comunicazioni sono gratuite perché vengono addebitate ai ministeri. Nelle banche, in cambio d'una percentuale, si concedono prestiti ad individui di sicuro insolventi, mentre università e licei offrono diplomi ad analfabeti.
»Inammissibili sono le attività criminali di quanti dovrebbero reprimere il crimine, i poliziotti - ha dichiarato il premier Li Peng -. Il disordine che regna nelle cosiddette forze dell'ordine è scandaloso . Gli agenti corrotti collaborano con la malavita, gestiscono bordelli e bische, fanno contrabbando, commerciano droga. Ma »il pericolo più serio è la corruzione fra i militari, l'estremo baluardo del PCC , ha sostenuto il ministro della difesa Chi Haotin.
Ripetutamente il quartier generale ha disposto la sostituzione delle targhe di tutti i veicoli delle forze armate per sopprimere quelle vendute ai gangsters, e controlli negli arsenali per sospendere l'emorragia di ordigni che finiscono in mano ai delinquenti. Scandalo hanno prodotto in Asia le operazioni di contrabbando svolte dalla Marina, e gli attacchi corsari commessi da unità della Guardia costiera.
Tutti questi sono problemi vecchi come la Cina, dove la corruzione è sempre stata una piaga. Deng Xiaoping credeva che riformando l'economia, rimpiazzando la pianificazione con il mercato, si sarebbe tolto ai funzionari ogni mezzo per interferire. Invece la corruzione è esplosa perché le mezzemaniche hanno volto i cambiamenti a loro vantaggio. »Da una parte c'è la minuscola frazione del sistema produttivo statale su cui il governo di Pechino esercita un controllo, e dall'altra la piccola frazione del sistema libero in mano ad imprenditori davvero indipendenti. In mezzo regnano i burocrati - afferma un esperto -. Costoro dettano legge alle industrie pubbliche e private, gestiscono emanazioni commerciali di organi amministrativi e perfino imprese proprie .
Solo nel '92, dopo che Deng aveva autorizzato gli enti statali ad intraprendere attività economiche parallele, sono nate 226 mila imprese, istituite perlopiù da uffici pubblici e ministeri. Questi forniscono alle loro società notizie riservate, materie prime a prezzi ridotti, privilegi d'ogni genere che distorcono la concorrenza. Diffusi sono i fenomeni di racket. Un paio d'esempi: le dogane possiedono agenzie specializzate nello sdoganamento delle merci, cui gli importatori sono costretti a rivolgersi, e le compagnie assicuratrici obbligano a far riparare le auto nelle loro officine, a prezzi esorbitanti.
Secondo stime cinesi quasi metà degli oltre 100 milioni di burocrati è in affari, e questa quota sale al 78-80 per cento in certe regioni. L'illegalità è quindi la regola: infatti nel '94 la provincia dell'Anhui, che voleva far pulizia, ha messo sotto inchiesta 300 mila suoi funzionari, cioè uno su cinque, e poi ha dovuto fermarsi per non paralizzare l'amministrazione.
Ma c'è di peggio. Le statistiche su cui si basa il governo sono fasulle, siccome i burocrati gonfiano le cifre per attribuirsi il merito di successi inesistenti, oppure le decurtano, per ridurre le tasse percepite da Pechino o per farsi pagare su conti esteri una quota dei prodotti esportati. Le autorità non sanno neppure quanti siano oggi i cinesi, poiché viene loro riferito che la norma del figlio unico è applicata anche là dove le famiglie hanno 4 o 5 bambini.
L'indisciplina impedisce anche al governo di frenare il boom degli investimenti e quindi contenere l'inflazione, giunta al livello allarmante del 24%. Province, municipi, villaggi erigono fabbriche, alberghi, centri turistici senza tener conto dei piani nazionali, sprecando risorse. A fronte delle 122 zone d'investimento straniero autorizzate, ne sono state aperte senza permesso migliaia.
L'anno scorso 300 mila persone hanno rischiato di morire di fame nello Hunan perché le scorte erano state vendute sul mercato libero dei burocrati, che poi hanno chiesto sussidi per combattere la carestia. Sempre nel '94 una fiammata dei prezzi è stata prodotta proprio dagli organismi preposti alla distribuzione dei generi alimentari, che in vista d'un piccolo incremento delle tariffe avevano rinviato le consegne.
Intanto proseguono allegramente le »privatizzazioni : i manager delle fabbriche regalano o vendono a vil prezzo macchinari e capannoni ad imprese di amici, oppure a società da loro create all'estero, o ancora fanno fallire la fabbrica e la rilevano per due soldi. In tal modo, secondo le stime del governo, negli ultimi anni sono finiti in mani private beni statali per circa 95 mila miliardi di lire.
L'Impero della tangente. Il boom versione cinese
di Renato Ferrero
Corriere della Sera, 5 agosto 1995, pag. 6