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Partito Radicale Silvja - 1 novembre 1995
INCHIESTA: IL BOOM SILENZIOSO DI PECHINO 2

E DENG GIURO': LA CINA NON FINIRA' COME L'URSS

di Fernando Mezzetti

(La Stampa, mercoledì 1 novembre 1995)

Pechino - Tensione con gli Stati Uniti, muso duro con Taiwan, screzi col Giappone, contrasti coi Paesi vicini per la questione delle isole Spratleys, armonia con la Russia. All'interno, potenziamento militare, crescente nazionalismo, mano ferma sul piano politico e un occhio chiuso sulla corruzione.

E' dunque questa la Cina di un dopo-Deng già in corso? Di nuovo in vista una Cina enigmatica e intrattabile, in guerra con se stessa e in sorda ostilità col mondo, minata dal tarlo della corruzione come il regime nazionalista? Che cosa sarà di riforme e apertura?

Cauti enti internazionali come la Banca Mondiale e i grandi investitori hanno da tempo dato una risposta: la prima con crescenti, massicci prestiti e finanziamenti a lungo termine, i secondi con investimenti astronomici di lunga durata, mentre le trasformazioni economiche e sociali hanno cambiato nel profondo e nella struttura, in termini marxisti, la natura del regime. Il grandioso sviluppo dei rapporti economici con l'estero, cresciuti al ritmo del 16,5% l'anno contro una media mondiale del 5,5 facendo balzare in poco tempo Pechino dal 38esimo al decimo posto negli scambi internazionali, corona la fitta trama di interdipendenza della Cina col mondo. Prima di andarsene, il gran vecchio ha fatto in tempo a creare le condizioni perché, qualsiasi cosa accada dopo di lui, la Cina non possa mai più tornare indietro.

Dal '79 sono stati approvati 222mila progetti di joint-venture fra partner cinesi e stranieri, ma fino al '92 gli investimenti effettivi erano stati di pochi miliardi di dollari, con cadute dopo la Tienanmen, nell'89. La svolta è stata nella primavera del '92, con l'ultima, decisiva azione di Deng nella lotta interna apertasi per effetto della dissoluzione dell'Unione Sovietica nel dicembre '91, che aveva suscitato uno choc a Pechino. I conservatori stavano per richiudere il Paese e bloccare le riforme, ma lui lanciò la controffensiva: per non fare la fine dell'Urss, avanzare ancor più sulle riforme stesse. Una battaglia conclusasi nel marzo '92 con l'impegno del partito di proseguire "per cent'anni" su riforme e apertura, confermato dal congresso nell'ottobre '92, ultimo atto del gran patriarca.

Da allora tutto si è messo a correre. Gli investimenti stranieri, nel '90 appena due miliardi e mezzo di dollari, sono saliti a 8 nel '92, con la creazione di 83mila imprese, schizzando poi a cifre astronomiche. Nel '93, accordi per 110 miliardi di dollari, 26 dei quali effettivamente impiegati, con creazione di 167mila imprese, più del doppio dell'anno prima; nel '94, investimenti effettivi per 35 miliardi di dollari; nel '95, si prevede la salita a 40. Oltre cento miliardi di dollari in tre anni.

A questi investimenti diretti si affiancano quelli mobiliari, per decine di miliardi di dollari nelle borse di Shenzhen e di Shanghai, e quelli in azioni di imprese cinesi quotate a Hong Kong e Wall Street. Di tutto questo imponente flusso di denaro, il 62% viene da Hong Kong, oltre l'11 da Taiwan, il 5 dal Giappone, l'8 dagli Stati Uniti, il 7 dall'Europa. Ma gran parte di quello di Hong Kong è in realtà di Taiwan, Stati Uniti, Giappone.

A ciò si aggiungano 23 miliardi di dollari della Banca Mondiale per opere infrastrutturali e industriali, e che mantiene un impegno di 3 miliardi di dollari all'anno. Dice il suo presidente, James Wolfensohn, al termine d'una visita: "La Cina è il nostro maggior cliente dal 1993, e il nostro portafoglio cinese è il migliore fra i cento Paesi cui diamo prestiti".

Alle aziende straniere che producono per l'esportazione e il mercato interno, o impegnate in grandi infrastrutture (venti joint-ventures per 9 miliardi di dollari solo per gli aeroporti), si affiancano attività fuori del controllo statale: quella privata e delle cooperative e "imprese collettive" nelle zone rurali, cioè aziende di villaggio o distretto, ma gestite privatisticamente. A fine '94, gli imprenditori privati sono 22 milioni, titolari di 420mila aziende con 4 milioni di dipendenti, balzati a sette a fine giugno '95. Ma, come avverte la stampa, poiché a lungo l'attività privata è stata considerata un'infamia, molti preferiscono registrarsi come cooperative o "imprese collettive". L'industria statale rappresenta solo il 45% del valore della produzione industriale, e ancor meno nei ritmi dello sviluppo: nei primi sei mesi del '95, l'8,5% contro il 31 dei privati, il 22,5 di imprese collettive, il 38 delle joint-ventures.

Una società che di nome resta socialista di fatto si è diversificata, con decine di milioni di ricchi e un ceto medio di centinaia di milioni, in un veloce pluralismo economico e sociale che alla lunga non potrà non influire sul sistema politico. Il regime resta autoritario: ma quando per il proprio lavoro e la propria esistenza economica non si dipende più dal potere, qualcosa di profondo cambia. Non si è davanti a un sistema sovietico economicamente esausto, ma davanti a uno vigoroso e teso alla modernizzazione, pur sapendo che essa comporta elementi che possono anche minarlo. Internet ha già centinaia di migliaia di abbonati. Per ogni cento imprenditori privati vi sono 136 apparecchi tv che via satellite ricevono programmi stranieri, 140 telefoni e 15 computer coi quali collegarsi col mondo.

La mano ferma contro gli oppositori rimane. Ma per tutti quelli non attivamente impegnati, vige il principio "chi non è con noi non è contro di noi". Senza legittimazione dal voto popolare, il sistema vanta legittimità dal successo economico.

La corruzione esiste, è vero, ma è il fall-out del grandioso sviluppo economico. E c'era comunque anche nella Cina non ancora liberatasi di Mao. Senza tirare in ballo i privilegi dei vertici, basterà ricordare che nell'80 il Quotidiano di Pechino per spiegare la mancanza di cavoli, alimento base, scriveva: quadri del partito abusano del potere per farne incetta. Hai capito: far carriera politica con tutti i rischi nella Cina di allora per fare incetta di cavoli. Adesso, almeno, cercano di procurarsi la Mercedes.

[continua]

 
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