da: Internazionale - 16 febbraio 1996 - art. or. China New
Analist - Taiwan
La sfida del Dalai Lama
Decenni di occupazione non hanno indebolito le aspirazioni
indipendentistiche del Tibet. Ma la Cina sembra determinata a non
lasciare la presa
TAIPEI, 15 NOVEMBRE 1995 - Nel 1995, anno del trentesimo
anniversario della fondazione della regione autonoma del Tibet,
la politica cinese nell'area si e' ulteriormente radicalizzata.
Nel timore che la scadenza potesse provocare nuove manifestazioni
indipendentiste, il governo cinese non ha trovato di meglio che
riaffermare la sua autorita' e legittimita' sul Tibet. Un'intensa
operazione di propaganda e' stata avviata per convincere la
popolazione cinese e il mondo esterno che la Cina fornisce ai
tibetani lo sviluppo economico e culturale di cui hanno bisogno,
salvaguardando l'unita' e la stabilita' del paese. Intanto il
Dalai Lama, guida spirituale dei tibetani e capo del governo
tibetano in esilio in India, e' stato ripetutamente accusato di
guidare un movimento separatista, mentre il movimento
indipendentista e' stato oggetto di severe misure di sicurezza.
Politiche di controllo
Nel 1994 le autorita' della regione autonoma del Tibet hanno
introdotto nuove norme sulla sicurezza, aumentando la
sorveglianza e la repressione nei confronti delle persone
impegnate in attivita' "separatiste" - Tutte le organizzazioni
sociali, i gruppi, le imprese, le istituzioni, cosi' come
l'amministrazione civile e i cittadini sotto la giurisdizione
della regione autonoma, devono - secondo le nuove norme - essere
controllati da un nuovo organismo oltre che dagli uffici per la
sicurezza.
Uno degli obiettivi principali di queste misure era di
appropriarsi della gestione di templi e monasteri. I compiti
fondamentali assegnati al nuovo organo di controllo erano
"combattere, in accordo con la legge, gli elementi criminali che
mirano a dividere la madrepatria e commettono altri generi di
offese illegali; indagare ed eliminare i mali della societa',
punendo severamente gli elementi criminali che mettono in
pericolo la sicurezza pubblica".
Alla fine del 1994 il Dipartimento per la propaganda del comitato
di Partito della regione autonoma del Tibet ha approvato queste
norme e ha emesso una direttiva per limitare ulteriormente le
attivita' religiose. "E' necessario porre dei limiti al numero di
monaci residenti nei monasteri", dice la direttiva, sottolineando
che una serie di "ovvi problemi" in campo religioso va
immediatamente risolta - come la costruzione non autorizzata di
templi e monasteri, le interferenze religiose nel campo
dell'istruzione e sul controllo delle nascite, l'esistenza di
monaci al di sotto dei diciotto anni e la partecipazione di
alcuni membri del Partito ad attivita' religiose. "Il nemico
esterno, specialmente la 'cricca del Dalai Lama', sta
influenzando i monasteri della nostra regione molto piu' che in
passato". La direttiva e' stata emanata poco prima della visita
in Cina e Tibet dell'inviato delle Nazioni Unite Abdelfattah
Amor, dal 19 al 30 novembre 1994. E' stato il primo viaggio di
una missione per i diritti umani delle Nazioni Unite nella
Repubblica popolare cinese. Gli inviati, incaricati di verificare
l'applicazione delle convenzioni internazionali sulla liberta' di
culto, hanno presentato il loro rapporto alla Commissione per i
diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra nel febbraio 1995.
Amor ha osservato che i funzionari cinesi non hanno nascosto le
restrizioni imposte ai monaci tibetani. Anzi, hanno confermato
che i religiosi, rilasciati dopo aver scontato una pena per
attivita' controrivoluzionarie, non possono tornare ai loro
monasteri d'origine. La legge cinese vieta ai minori di diciotto
anni di diventare monaco o monaca. Ma un certo numero di
adolescenti tibetani sembra essere entrato in monastero senza
regolare registrazione, per ricevere un'istruzione e
un'educazione religiosa di tipo tradizionale, secondo l'antica
regola che consente ai ragazzi di undici o dodici anni di
diventare novizi. Dunque il numero effettivo di monaci residenti
in un monastero tibetano e' spesso doppio rispetto a quello
ufficiale.
Ecco una delle ragioni per le quali il governo cinese ha promesso
di fare del suo meglio per migliorare il livello dell'istruzione
nella regione. "Non possiamo assolutamente permettere che
qualcuno, specialmente se giovane, venga costretto a diventare
monaco", scriveva il Quotidiano del Tibet nel marzo 1995,
aggiungendo che il numero complessivo di monaci e monache nella
regione raggiunge i 40.760 individui e corrisponde all'1,77 per
cento dell'intera popolazione (compresi i cinesi han), superando
il numero degli studenti delle scuole superiori. Con un numero
cosi' alto di giovani che non partecipa ad attivita' produttive e
non assimila la cultura moderna, ma preferisce vivere di
religione e spiritualita', "l'influenza negativa sullo sviluppo
economico e culturale e' evidente".
Comunque, gli sforzi compiuti per migliorare l'istruzione e
formare una nuova generazione fedele alla Repubblica Popolare
Cinese sono rimasti finora senza risultato. Nel settembre 1994
una direttiva della Conferenza politica consultiva del popolo
cinese ha annunciato l'avvio di un piano triennale per
l'educazione patriottica in Tibet. Al fine di "combattere il
separatismo, salvaguardare e rinforzare l'unita' della
madrepatria", gli studenti delle scuole elementari e medie devono
assistere ogni giorno all'alzabandiera cantando l'inno nazionale.
Secondo le stime ufficiali, in Tibet il 67 per cento dei ragazzi
in eta' scolare ha frequentato la scuola nel 1995, per un totale
di 270mila studenti concentrati in 3.564 scuole, tra elementari,
medie inferiori e superiori. Alcuni frequentano gli istituti
bilingui aperti a partire dal 1987.
Ma non e' chiaro quanti anni di istruzione scolastica ricevano
questi bambini. Nel 1995 oltre 1.200 studenti avrebbero dovuto
accedere alle universita', e tremila agli istituti superiori non
obbligatori. Alcuni ragazzi tibetani sono anche stati invitati a
frequentare scuole superiori speciali fuori dalla regione, in
citta' come Pechino, Tianjin o Hefei.
La sfiducia della popolazione
Ma segni evidenti dimostrano che questo tipo di politica non e'
riuscita a conquistare la fiducia della popolazione. Alcuni
tibetani, quadri del governo e del partito compresi, hanno
mandato i figli a studiare presso scuole tibetane in India. Dai
primi mesi del 1994 e' stato imposto a tutti i quadri di far
rientrare i figli. "Ai quadri del partito comunista e' proibito
esporre immagini del Dalai Lama, allestire altari in casa, o
mandare i figli a studiare all'estero, in scuole gestite da
sostenitori del Dalai Lama", scriveva il Quotidiano del Tibet nel
marzo 1995. Malgrado l'evidenza della mancanza di fiducia
reciproca tra tibetani e cinesi han anche in campo
amministrativo, le autorita' della regione autonoma del Tibet
rispondono alle critiche di una dominazione han sulla regione
ponendo l'enfasi sull'elemento tibetano. Secondo Raidi,
vicesegretario del Partito nonche' vicepresidente del congresso
del popolo della regione, l'80 per cento dei membri del congresso
sarebbe tibetano o apparterrebbe ad altre minoranze etniche,
cosi' come il presidente del congresso e tutti i capi delle varie
contee. Secondo i dati ufficiali, il 65 per cento dei quadri
della regione autonoma e' di origine tibetana o comunque non han.
La battaglia propagandistica e' intensa anche sulla questione
demografica. il Dalai Lama sostiene che il Tibet sta subendo un
processo di acculturazione, a causa di un numero crescente di
cinesi han che si stabiliscono nella regione per aprire negozi o
imprese commerciali in linea con la nuova economia di mercato,
modificando cosi' gli equilibri demografici in loro favore.
Questi sospetti sono stati esplicitamente smentiti da He Jingxi,
autore di una ricerca demografica in aree a maggioranza tibetana.
Redatta dopo il 1990, la ricerca confronta i dati, raccolti da
statistiche basate sui permessi di residenza, con le cifre del
1964 e del 1982. He Jingxi sostiene di avere rilevato, tra il
1982 e il 1990, un aumento della popolazione tibetana rispetto a
quella han, che rappresenta solo il 3,1 per cento su una totale
di due milioni e 200mila abitanti. La ricerca, pero', non tiene
conto dei 60mila soldati e dei 50mila nuovi residenti cinesi non
ancora registrati. Ne' tenta una stima numerica della comunita'
tibetana in esilio. La realta' demografica influenza anche il
modello di sviluppo economico: un fenomeno che ha profonde
conseguenze culturali. il passaggio dei nomadi alla vita
sedentaria - un fenomeno in crescita - e' presentato dalla stampa
ufficiale come un indice di sviluppo. "Non solo le citta' hanno
fatto passi in avanti", e' scritto in un articolo, "ma anche i
nomadi stanno cambiando abitudini". In passato, tutto cio' che
possedevano era una tenda in pelle di capra e un gregge di
pecore. Ma, negli ultimi tempi, il progresso ha modificato il
loro stile di vita. Oggi nel nord del Tibet la maggioranza della
popolazione si dedica all'agricoltura. Alcuni continuano la vita
nomade, ma mantengono una casa fissa per i vecchi e i bambini.
Circa il 70 per cento dei pastori nomadi del nord possiede oggi
una dimora fissa. Il passaggio dall"'economia arretrata" dei
gruppi nomadi, all'avanzata "economia di mercato socialista" e'
alla base delle campagne di propaganda ufficiali. Come ha detto
Gyaincain Norbu, presidente del congresso della regione autonoma,
in occasione del trentesimo anniversario della sua fondazione,
"il Tibet comincia a non essere piu' un paese che dipende dal
cielo per il raccolto e gli allevamenti".
Con l'approssimarsi del trentesimo anniversario, vari gruppi di
funzionari cinesi si sono recati in Tibet e hanno pubblicato
fiumi di dati per illustrare "trent'anni di progressi". Secondo
la stampa ufficiale, il 1994 e' stato un anno di boom economico:
gli obiettivi di crescita economica sono stati superati del
doppio, e il Tibet ha registrato un tasso di crescita economica
del 10 per cento. Questa percentuale sorprendente sarebbe stata
raggiunta grazie a un rapido sviluppo delle risorse naturali, a
un incremento del turismo e all'apertura di nuove imprese locali.
Arrivano i primi turisti
Lo sviluppo del turismo comprende il restauro della citta' di
Lhasa e dei suoi edifici in stile tibetano, un'operazione
controversa che comporta l'abbattimento di molte vecchie case.
Tra il 1979 e il 1990, la municipalita' ha speso 50 milioni di
yuan [uno yuan sono circa 190 lire] in opere di costruzione
(condutture idrauliche, strade, illuminazione stradale) e nel
ripristino di 235.842 metri quadrati di aree edificabili. Il
restauro del Potala [grande complesso architettonico di Lhasa, e'
al contempo reggia, monastero e fortezza] e' durato cinque anni
ed e' stato completato nell'agosto 1994. Soltanto alcune sale
sono state riaperte e 18 sono oggi accessibili a fedeli e
turisti. Nel 1994 l'industria turistica tibetana ha fruttato piu'
di 52 milioni di yuan, registrando 6.500 presenze: un 18,4 per
cento di crescita rispetto al 1993. Nell'intera regione, i
progetti di costruzione sono concentrati nei settori dei
trasporti, delle miniere, del turismo e dell'energia (condutture,
strade, aeroporti). Alla fine del 1994, la provincia cinese del
Zhejiang ha firmato un accordo con il Tibet per la costruzione di
una centrale idroelettrica da 1.500 kilowatt a Jiagang, sugli
altipiani tra il Qinghai e il Tibet. Costruita a 4.700 metri sul
livello del mare, sara' la piu' alta centrale idroelettrica del
mondo. Secondo le statistiche governative, nel 1994 il Prodotto
interno lordo del Tibet avrebbe superato i 4 miliardi di yuan,
mentre il reddito medio pro capite di agricoltori e allevatori
sarebbe stato di appena 550 yuan all'anno - meno della meta' dei
1.200 yuan annuali della media nazionale cinese per i residenti
in zone rurali nello stesso periodo.
L 'eliminazione della poverta' rimane dunque ancora uno degli
obiettivi primari del programma economico. Il governo e il
comitato di Partito della regione autonoma del Tibet hanno
stilato un piano con lo scopo di far raggiungere, entro la fine
del secolo, un livello di "benessere minimo" alle 480mila persone
che oggi vivono ancora al di sotto della soglia di poverta'.
A partire dal 1995, la regione autonoma ha investito 30 milioni
di yuan ogni anno per lo sviluppo delle aree piu' povere e
incoraggera' gli investimenti extra-governativi. Nonostante gli
scarsi risultati ottenuti dai tentativi di promuovere lo sviluppo
culturale ed economico in Tibet, si continua a seguire il modello
applicato in tutta la Repubblica popolare cinese negli ultimi
decenni. Ma l'applicazione di questo modello richiederebbe una
maggiore integrazione sociale ed economica del Tibet con la Cina.
Con la chiusura cinese verso ogni tipo di dibattito sulla
questione dell'indipendenza, la radicalizzazione potrebbe
diventare l'unica opzione per entrambe le parti.
La questione dell'indipendenza
Nel marzo 1995, alla vigilia dell'anniversario della fallita
insurrezione tibetana del 1959, il Dalai Lama ha lanciato un
monito sulle possibili conseguenze violente che il rifiuto di
Pechino a negoziare sull'indipendenza della regione avrebbe
potuto provocare. "Sono necessari progressi sostanziali per la
soluzione del problema. L'attuale situazione di stasi aumenta il
pericolo dell'esplosione di conflitti violenti", ha detto in
quell'occasione, e ha aggiunto che, se Pechino vuole che il Tibet
resti parte della Repubblica popolare cinese, deve creare le
condizioni adeguate. Dopo il rifiuto cinese al dialogo, il Dalai
Lama ha risposto alle critiche di chi gli rimprovera di aver
cominciato a parlare di autonomia anziche' di indipendenza,
sostenendo la necessita' di un referendum tra tutti i tibetani
per stabilire la linea futura della campagna indipendentista.
Date le difficolta' oggettive di organizzare una simile
consultazione in Tibet, il Dalai Lama ha proposto di ascoltare in
proposito l'opinione della regione autonoma e di organizzare un
referendum nella comunita' tibetana in esilio.
Le autorita' della regione autonoma hanno immediatamente
replicato che l'appello all'autodeterminazione e al referendum
faceva parte di un piano del Dalai Lama e delle "forze ostili"
occidentali per fomentare il separatismo. "I negoziati con il
governo in esilio del Dalai Lama, iniziati nel 1980, non verranno
ripresi", ha detto Raidi, che ha anche accusato il leader
religioso tibetano di non aver cessato le "attivita'
separatiste", provocando cosi' la rottura delle trattative
avvenuta nell'agosto 1992. A sua volta il Dalai Lama incolpa i
cinesi di avere arbitrariamente posto fine al dialogo. In quanto
alla proposta di referendum, Raidi ha semplicemente detto che era
fuori discussione.
A partire dal 1994 il Dalai Lama ha subito attacchi senza
precedenti da parte delle autorita' cinesi. Sempre riferendosi a
lui con l' espressione "la cricca del Dalai Lama", i media cinesi
l'hanno accusato di fomentare violenze antigovernative in Tibet.
Gli attacchi si sono fatti ancora piu' violenti all'inizio del
1995, poco prima dell'anniversario dell'insurrezione del 1959.
Secondo l'associazione Campagna internazionale per salvare il
Tibet, con sede a Washington, la Cina avrebbe messo in stato di
allerta le proprie forze di sicurezza, nel timore che i tibetani
stessero organizzando una campagna di spionaggio e di interventi
armati finanziati da gruppi in esilio fedeli al Dalai Lama.
L'organizzazione ha citato un documento del Partito comunista
cinese, secondo il quale i seguaci del Dalai Lama starebbero
concentrando nuovi rifugiati in Nepal da mandare in India ad
addestrare allo spionaggio, per poi infiltrarli nuovamente in
Tibet, perche' compiano operazioni di sabotaggio armato. Sembra
che alcune attivita' di sabotaggio siano state registrate a Lhasa
in coincidenza con le celebrazioni dell'anniversario dello scorso
settembre.
Il documento del Partito citava una recente manifestazione
antigovernativa di 150 monaci in un monastero della contea di
Takster, e invitava a prendere misure di sicurezza intorno a
ponti, linee elettriche e complessi industriali, soprattutto
nelle aree piu' remote. Il documento ordinava anche ai quadri e
ai comandi militari regionali di intensificare le azioni
sotterranee, aumentare lo spiegamento di forze, e tessere una
fitta rete di sorveglianza intorno a individui chiave,
specialmente se venuti dall'estero.
La salvaguardia della sicurezza nazionale
Queste misure hanno coinciso con la pubblicazione, sul Quotidiano
del Tibet, di un comunicato del Dipartimento per la sicurezza di
Stato della regione autonoma del Tibet che commemorava il secondo
anniversario della promulgazione della Legge per la salvaguardia
della sicurezza nazionale nella Repubblica popolare cinese. Il
comunicato riaffermava i doveri di ogni cittadino e di ogni
organizzazione per la salvaguardia della sicurezza, dell'onore e
degli interessi del paese, e metteva in guardia contro le forze
ostili, all'interno e all'esterno del territorio, che non hanno
mai cessato le attivita' di spionaggio contro la Cina.
Altri avvertimenti del genere sono stati in seguito trasmessi
dalla televisione tibetana, con la variante che coloro che
mettono a repentaglio la sicurezza dello Stato con pretesti di
carattere religioso sono da considerarsi fuorilegge. Se il tono
drammatico di queste affermazioni esagera la natura della
"minaccia separatista", riflette, pero', la coscienza da parte
cinese dell'esistenza di una solida resistenza all'interno del
Tibet. Nel febbraio scorso, il quotidiano ufficiale ha reso
pubblico il contenuto di un rapporto delle forze di pubblica
sicurezza. Secondo il rapporto, sostenitori del re-divinita' in
esilio sarebbero stati impegnati a divulgare slogan separatisti
nei monasteri e avrebbero avuto in programma il sabotaggio delle
celebrazioni per il trentesimo anniversario della fondazione. "Lo
scorso anno sono apparsi in tutto il Tibet slogan reazionari",
diceva il rapporto, e aggiungeva che la lotta contro il
separatismo sarebbe stata spietata. In questo contesto,
un'organizzazione indipendentista di Nuova Delhi ha cancellato,
su specifica richiesta del Dalai Lama, una marcia pacifica dalla
capitale indiana a Lhasa, in programma per l'anniversario
dell'insurrezione del 1959. Il Dalai Lama ha detto che il momento
era politicamente sfavorevole, e che la manifestazione avrebbe
scatenato una durissima repressione da parte del governo cinese.
"Al momento la Cina si trova in un periodo di transizione e ogni
tipo di manifestazione potrebbe esser usata dai sostenitori della
linea dura (...). Questa iniziativa potrebbe dunque avere effetti
controproducenti sui nostri sforzi per creare un ambiente
politico favorevole a una soluzione pacifica del problema
tibetano (...). Sono convinto che il governo cinese sfrutterebbe
questa occasione per sopprimere il movimento per la liberta' del
Tibet". La Cina aveva gia' avvertito che non avrebbe permesso ai
dimostranti di entrare nel suo territorio.
Nessuna manifestazione si e' svolta a Lhasa il 10 marzo, data del
36o anniversario dell'insurrezione, ma fonti ufficiose continuano
a riferire di dimostrazioni indipendentiste fuori dalla capitale
tibetana. In aprile, dopo alcune manifestazioni, il monastero
Nalanda, nella zona di Phenpo sarebbe stato invaso da forze di
polizia e 106 tra monaci e monache sarebbero stati arrestati.
Questo porterebbe a 16 il numero delle manifestazioni registrate
in Tibet nei primi mesi dello scorso anno. Anche se le fonti
riferiscono che qualche monaco avrebbe risposto all'attacco della
polizia con il lancio di pietre, nessun riferimento e' stato
fatto a incidenti causati dall'uso di armi.
L'incidente del Panchen Lama
La violenza degli attacchi cinesi contro il movimento
indipendentista tibetano riflette una preoccupazione sempre
maggiore sulla questione della sovranita' in Tibet. La tensione
e' emersa chiaramente con la scoperta della nuova reincarnazione
del Panchen Lama [seconda autorita' dei buddismo tibetano in
ordine di importanza]. Nel maggio 1995 le autorita' cinesi hanno
arrestato tre persone, tra le quali Chadrel Rimpoche, abate del
monastero di Tashilhumpo, sede tradizionale del Panchen Lama a
Shigatse, con l'accusa di aver preso contatti con il Dalai Lama
sulla questione della scoperta del nuovo Panchen. Chadrel
Rimpoche era il responsabile della commissione ufficiale per la
ricerca designata dai cinesi. Il Dalai Lama aveva annunciato con
tre giorni di anticipo che Gendun Choekyi Nyima, un ragazzino di
sei anni del Tibet settentrionale, era stato identificato come
l'undicesimo Panchen Lama. I cinesi hanno lanciato una campagna
diffamatoria contro questo annuncio "illegale e senza alcuna
validita'", definito un chiaro tentativo di istigare attivita'
separatiste. La questione si e' poi focalizzata sulla
legittimita' della dichiarazione del Dalai Lama, piuttosto che
sulla legittimita' della nuova reincarnazione designata.
Peraltro, le autorita' cinesi non hanno mai negato esplicitamente
il ruolo del Dalai Lama nell'identificazione del Panchen. Come
risultato della controversia, il monastero di Tashilhumpo e'
stato chiuso ai visitatori. Fonti ufficiose riferiscono che
alcuni quadri del Partito comunista si sarebbero trasferiti nel
monastero per tenere delle sedute di "rieducazione" (1).
Il compleanno del Dalai Lama
L'immagine del Dalai Lama sembra restare senza macchia,
nonostante i numerosi tentativi di screditarlo. All'inizio di
luglio 1995, poco prima del trentesimo anniversario delta
fondazione della regione autonoma del Tibet, il Dalai Lama ha
celebrato il suo sessantesimo compleanno. Secondo fonti
ufficiose, a Lhasa migliaia di persone si sono riunite in quel
giorno in un campo a est del fiume Kyi Chu per bruciare incenso,
appendere bandiere per la preghiera e spargere farina d'orzo.
Lo stesso Dalai Lama ha celebrato il compleanno a Nuova Delhi,
alla presenza di centinaia di invitati, tra i quali alcune
personalita' internazionali. Il governo cinese ha immediatamente
criticato le celebrazioni, accusandole, tramite un portavoce
dell'ambasciata cinese a Nuova Delhi, di non essere semplici
festeggiamenti o funzioni religiose. In risposta, il Dalai Lama
ha espresso nuovamente il timore che il perpetrarsi
dell'occupazione cinese in Tibet costituisca una pericolosa
minaccia per l'esistenza stessa di una distinta identita'
nazionale e culturale tibetana. Nulla lascia sperare in un
superamento della situazione di stallo. Eppure, il movimento
indipendentista non sembra indebolirsi. E' sostenuto da una forte
comunita' in esilio e, dopo l'assegnazione del Nobel per la pace,
il suo capo spirituale e' stato ricevuto in un numero sempre
maggiore di capitali straniere, mentre continua a portare avanti
una politica favorevole a una soluzione negoziata con le
autorita' della Repubblica Popolare Cinese. Da parte sua, la
regione autonoma del Tibet persegue una politica di apertura per
favorire l'economia e aumenta gli scambi con il mondo esterno,
con il benestare delle autorita'. Durante la preparazione della
quarta Conferenza mondiale della donna, Pechino era riuscita a
impedire a tutte le delegazioni femminili tibetane di
partecipare. Ma, nonostante il divieto, alcune delegate straniere
nate in Tibet sono riuscite a sfidare le autorita' cinesi e hanno
manifestato imbavagliate all'interno del forum della conferenza,
a Huairou. E' vero che il governo cinese si fa carico in prima
persona dello sviluppo del Tibet ma, come in molte parti della
Cina vera e propria, le politiche del centro spesso comportano
degli aspetti negativi. In Tibet, il movimento indipendentista
vede ogni iniziativa del governo come una minaccia contro
t'identita' tibetana.
Senza dubbio la costanza delle forze indipendentiste deriva dai
loro sentimenti religiosi, che li legano al governo in esilio. Da
parte sua il governo cinese rimane fermo sulla sua posizione
riguardo all'integrita' nazionale e alla sovranita', rifiutando
qualunque discussione persino sull'idea stessa di rivendicazione
autonomista. Esiste un modo per uscire da questa impasse ?
Apparentemente il governo cinese pensa che lo sviluppo economico
e l'integrazione economico-culturale delta regione con la grande
Cina riuscira' a soffocare le richieste di autonomia. Ma le
sirene del benessere di Pechino arriveranno in tempo per fermare
la crescita del sentimento nazionalistico in Tibet ? (M. G.)
(1) Non si hanno piu' notizie di Gendun Choekyi Nyima, il bambino
prescelto, e della sua famiglia. Si pensa che siano trattenuti a
Pechino dalle autorita' cinesi, le quali - da parte loro - hanno
scelto un altro bambino, Gyaltsen Norbu, formalmente insediato
nel tempio di Tashilumpo come nuova reincarnazione del Panchen
Lama, l'8 dicembre scorso.
*- Amira V1.5 REG (Amiga) -* one world, one operating system