E ORA TUTTO E' PIU' FACILE
di Alessandro Corneli
Il Sole 24 ore, 24 marzo '96, pag. 3
Senza le manovre militari cinesi, accompagnate dalle diffide di Pechino e dalle risposte di Bill Clinton, le elezioni presidenziali di Taiwan non avrebbero avuto la risonanza mondiale che le ha accompagnate. Di questa vicenda si possono dare diverse letture. Nessuno pensava a un attacco armato della Cina: non solo perche' logisticamente al di sopra delle possibilita' delle sue forze, ma perche' il danno che la Cina stessa avrebbe subito, piombando nell'isolamento politico ed economico internazionale proprio mentre da un quindicennio e' protesa ad integrarsi nel mercato mondiale, avrebbe con molta probabilita' generato anche disordini interni. Non solo: la Cina avrebbe assunto un'immagine cosi' marcatamente militarista ed espansionista che avrebbe provocato un allarme in tutta l'area Est asiatica.
La provocazione, comunque, c'e' stata e il Governo di Pechino non ha fatto niente per camuffarla o ridurne l'impatto. Bisogna quindi chiedersi a che cosa mirasse, escludendo che Jiang Zemin e Li Peng credessero sul serio di impedire a Lee Teng-hui di vincere. Inoltre la linea scelta da Pechino ha consentito a Bill Clinton di dare una dimostrazione di fermezza senza in realta' correre un vero rischio e tutta l'agitazione prodotta dalle manovre e dalle dichiarazioni cinesi ha esaltato il ruolo dell'America come potenza mediatrice ed equilibratrice. Ogni protagonista della vicenda ha seguito una propria logica e ha perseguito alcuni obiettivi prioritari. A Taiwan e' stato perfezionato il processo di democratizzazione, iniziato dieci anni fa come evoluzione normale del successo economico e della internazionalizzazione dell'economia, e come convergenza tra una volonta' illuminata discendente dall'alto, secondo lo stile confuciano, e una richiesta che saliva dal basso. Il campione dell'indipendentismo da Pechino,
Peng Ming-min, ha ottenuto il 22% dei voti, e questo significa che la grande maggioranza dei taiwanesi non vuole a breve termine una rottura con la Cina e preferisce continuare lungo la linea pragmatica del Presidente perche' il 15% delle esportazioni di Taiwan vanno in Cina e il surplus commerciale ritorna sul Continente sotto forma di investimenti. A Lee interessava soprattutto la legittimazione interna e internazionale del processo democratico su cui ha puntato tutte le carte per riprendere, da questa posizione, e denza fretta, i negoziati con Pechino.
Alla Cina il processo democratico in atto a Taiwan non preoccupa oltre una certa misura perche' e' difficile concepire in tempi brevi una democrazia all'occidentale in un Paese-continente di un miliardo e 200 milioni di abitanti. Ai leader cinesi interessava invece, in modo simmetrico rispetto a Lee Teng-hui, riaffermare solennemente il principio politico-diplomatico dell'unita' e dell'unicita' della Cina come prova della loro legittimita' a governare e come segnale contro qualsiasi forza disgregatrice. Togliere alle elezioni di Taiwan il significato di un referendum sull'indipendenza era l'obiettivo di Pechino, che per il momento e' stato conseguito in buona parte in quanto il presidente eletto Lee e' ora interessato soprattutto a stabilizzare e rafforzare i legami economici atrraverso lo stretto di Taiwan. Quanto agli Stati Uniti, scartata dagli esperti l'ipotesi di sviluppi militari, la dimostrazione di forza a favore di un Paese che, praticando l'economia di mercato, era passato spontaneamente da un regi
me autoritario a un regime democratico, era obbligata e redditizia in termini di immagine. Un atteggiamento remissivo avrebbe sicuramente aumentato la tensione. Nell'insieme, tutta la vicenda puo' apparire come una anticipazione di futuri possibili equilibri mondiali, con la Cina desiderosa di diventare una superpotenza completa, ma il cui ancoramento continentale non le consente di concentrarsi in una proiezione marittima: e gli Usa, apprendisti sempre piu' maturi di un ruolo che li vuole coinvolti in una o un'altra parte del mondo, ma mai esclusi. Questo non significa ridurre il valore delle libere elezioni svoltesi a Taiwan. Anzi: il piu' ampio contesto geopolitico in cui si trova l'isola illustra come una politica coerente produce risultati che si impongono al rispetto di tutti. Non e' un caso che, appena chiuse le urne, da Pechino siano gia' partiti i primi segnali per la ripresa del dialogo con Taipei.
E ORA TUTTO E' PIU' FACILE
di Alessandro Corneli
Il Sole 24 ore, 24 marzo '96, pag. 3