il manifesto, 26.6.96, pag.17
di Sandro Orlando
Berlino. Tra Cina e Germania è guerra fredda. Le relazioni tra i due paesi sono entrate in una fase critica dopo l'annullamento da parte di Pechino di un'imminente visita del ministro degli esteri tedesco Klaus Kinkel. Una decisione presa dal governo Li Peng in seguito ad una risoluzione di condanna approvata dal parlamento tedesco la settimana scorsa sulle violazioni dei diritti umani in Tibet. E subito si è innescata una spirale di ritorsioni, con la cancellazione da parte di Bonn delle visite di altri due ministri tedeschi in Cina (edilizia e ambiente) e di due vertici militari bilaterali. »E' una reazione assolutamente spropositata ha commentato il cancelliere Kohl prendendo per la prima volta una chiara posizione in difesa del suo ministro degli Esteri. Il quale, pur con le dovute cautele, ha ribadito che non intende »lasciarsi imbavagliare la bocca perchè »nessuno ha il diritto di prescrivere ad un parlamentare eletto democraticamente ciò su cui si può discutere .
In altre parole: con quest'affronto il vaso è ormai stracolmo. Le misure »punitive adottate infatti dalle autorità cinesi contro la Germania per aver osato sfiorare la delicata questione del Tibet - regione annessa con la forza dalla Cina nel 1950 - si sono moltiplicate nelle ultime settimane. Dopo aver annullato una serie di manifestazioni culturali tedesco-cinesi in programma a Monaco all'inizio del mese per via della partecipazione di alcuni dissidenti cinesi, il governo Li Peng ha intensificato le presiioni su Bonn, costringendo Kinkel a ritirare d'improvviso i finanziamenti pubblici già stanziati per una conferenza sul Tibet alla presenza del Dalai Lama. Un'ennesima dimostrazione dell'atteggiamento succube che fin d'ora ha guidato la politica tedesca in Cina. »L'economia ha bisogno di un buon clima ama ripetere il cancelliere che in nome della priorità degli interessi economici non ha esitato nel novembre scorso a visitare - primo capo di un governo occidentale dopo Tien An Men - un reggimento dell'ar
mata popolare cinese.
Una realpolitik che ha dato i suoi frutti: solo con il suo ultimo viaggio, Kohl è riuscito a portare alle imprese tedesche commesse per oltre due miliardi di marchi, prima di tutto alla Siemens, che ha fondato 36 nuove joint-ventures per la realizzazione di metropolitane, centrali energetiche e reti di telecomunicazioni. Gli industriali tedeschi da parte loro non vedono motivi di panico: la Cina ha bisogno della Germania, dicono, e hanno ragione. Il volume di scambi commerciali tra i due paesi negli ultimi 5 anni si è raddoppiato facendo registrare alla Cina un saldo attivo di ben 31 miliardi di marchi. Grandi opere come la metro di Shanghai sono finanziate praticamente con i soldi dei contribuenti tedeschi, crediti con interessi quasi zero e sovvenzionamento sotto la voce di aiuti allo sviluppo. La conclusione? »Il servilismo è superfluo e non porta nuovi contratti si legga in un comunicato della Confindustria tedesca dell'altro ieri »i politici non dovrebbero più nascondersi dietro l'economia.