Grazie a Piero, che ha colto la mia proposta di dibattere in questa come in altre aree di questo sistema telematico.Non credo di essere mai stato un moderato, né in politica, né in alcuni aspetti della vita privata. Mentre tengo e coltivo la moderazione in altri aspetti della medesima mia vita privata.
Cerco piuttosto di guardare con ragionevolezza alle cose che ci impegnano.
Le Risoluzioni ONU che giustamente Piero evoca risalgono però ad un periodo in cui l'ONU era decisamente diverso da quello che è oggi; non solo per quanto riguarda gli equilibri politici, ma per quanto riguarda il suo funzionamento istituzionale, connesso comunque e dipendente dagli equilibri politici.
Il Parlamento Europeo ha certo detto cose molto chiare, e però sappiamo che il Parlamento Europeo ha poteri e connotati che lo mantengono ancora piuttosto lontano dall'essere un parlamento quale quelli cui è demandato il potere legislativo nei paesi membri dell'Unione (nonostante anche queste caratteristiche stiano assai pericolosamente cambiando).
Ma il punto che è necessario soprattutto approfondire e rendere chiaro è a mio parere quello del nostro punto di vista.
In termini strategici e tattici, se si guarda al problema del punto di vista politico, cioè della soluzione del problema.
Se è vero - come è vero - che la politica è la scienza dell'utile, occorre chiedersi se sia più utile avere una Risoluzione che esplicitamente riconosca politicamente il governo Tibetano in esilio, oppure una Risoluzione non approvata, o più probabilmente non posta nemmeno in discussione, che affermi la necessità della indipendenza del Tibet.
Ma attenzione, ché la Risoluzione del Bundestag è chiarissima sul punto dell'essere il Tibet un paese occupato. Sia perché evoca il Governo in esilio, sia perché chiede all'Alto commissariato ONU per i Rifugiati di occuparsi dei Tibetani. In termini tecnici, tecnico-giuridici, questo significa molto chiaramente che il Tibet viene trattato in quella Risoluzione come un paese occupato, proprio sul piano del diritto internazionale, e del diritto sui profughi e i rifugiati. Insomma, quella Risoluzione dichiara il Tibet paese occupato, e se magari certe locuzioni non vi compaiono esplicitamente, il concetto è chiarissimo, anche e proprio dal punto di vista giuridico. I Cinesi, infatti, forse perché ben attrezzati, se ne sono accorti subito.
Non vi è dubbio, comunque, che in quella Risoluzione non si rivendica l'indipendenza per il Tibet. Personalmente non lo ritengo un problema.
Credo che l'autodeterminazione dei popoli corrisponda di rado alla conquista della autodeterminazione delle persone, degli individui. Almeno, nella storia di tutti i continenti, alla conquista della autodeterminazione dei popoli è quasi sempre corrisposta una diminuzione della libertà delle persone. Non dico che la dirigenza sovrana del Tibet sarebbe dispotica, e non lo credo affatto. Ma in linea di principio e sulla base della storia, la ricerca e la conquista della corrispondenza e coincidenza tra territorio e popolo, come fonte e fondamento di sovranità statuale, hanno quasi sempre o sempre provocato disastri immani, nell'Europa balcanica o centro-orientale, in Africa, in Asia, pressoché ovunque.
La tragedia tibetana deve poter aiutare il mondo intero, e la Cina. Anche se ci sembra complicato farcene carico, anche se magari non ci conviene, nel contingente.
Tengo alla possibilità di autodeterminare me stesso, e credo che anche i Tibetani abbiano diritto alle stesse cose. Anche se sono diversi da me, anche se abitano lontano, anche se non vivono in un paese ricco come questo, o come questo continente.