Storicamente, le donne tibetane sono state, tra tutte le asiatiche, quelle che hanno goduto di uno dei migliori status sociali. La "gheisha" del Giappone, la bambina soppressa in Cina, la moglie arsa sulla pira del marito in India sono sideralmente lontane dalle figure delle monache e delle yoghini viaggiatrici tibetane o dalle donne matriarche di famiglie poliandriche di alcune popolazioni nomadi tra gli altopiani del Paese delle Nevi o, ancora, dalle mogli rispettate ed autorevoli della tradizionale famiglia tibetana.
Certamente nel Tibet storico questa autonomia era particolarmente evidente soprattutto nella sfera privata, essendo quella pubblica e religiosa tradizionale ambito maschile. Ma, se guardiamo alla situazione femminile del tempo in chiave comparativa (in Europa e altrove), lo status delle donne tibetane appare senz'altro invidiabile.
Non stupisce quindi che anche ora, sottoposte all'occupazione militare cinese, le donne del Tibet esercitino un ruolo determinante nella lotta per l'indipendenza del proprio paese. Ben lo sanno i loro carcerieri cinesi, che hanno escogitato per le prigioniere tibetane "specifiche torture di genere" (secondo la definizione di Louisa Waugh, Tibet News U.K.). Gli oppressori non hanno evidentemente dimenticato né che le donne hanno promosso e guidato la grande insurrezione di Lhasa del 10 marzo 1959 né che monache e laiche lottano, con ruoli di responsabilità non discriminati in base al genere, all'interno del movimento di liberazione del Paese delle Nevi.
E' in questo quadro che va collocata la drammatica vicenda di Ngawang Sangdrol, una giovane monaca tibetana di 19 anni, condannata ad una pena detentiva di 18 anni esclusivamente per reati di opinione. Oggi Ngawang Sangdrol è la prigioniera politica tibetana con la più pesante pena da scontare, ed anche quella entrata in carcere più precocemente, a soli 13 anni di età. Nell'agosto 1990 era infatti già stata arrestata per aver partecipato a manifestazioni di protesta contro l'occupazione cinese. Duramente picchiata, fu dapprima rilasciata per la giovane età, ma in seguito nuovamente arrestata per "attività sovversive" e condannata a tre anni di carcere. Per aver intonato, insieme ad altre tredici detenute, canzoni indipendentiste all'interno della prigione, venne poi condannata ad altri sei anni. Lo scorso 31 luglio a Ngawang Sangdrol è stata inflitta un'ulteriore pena di nove anni per essersi rifiutata di alzarsi in piedi durante una ispezione nella sua cella e per aver gridato "Tibet libero" mentre,
per punizione, era stata costretta a rimanere ore ed ore in piedi sotto una pioggia a dirotto. In questo modo ha totalizzato una pena detentiva di complessivi 18 anni.
La Commissione dell'ONU per le detenzioni arbitrarie considera la prigionia di Ngawang Sangdrol completamente illegittima, in quanto tutte le condanne da lei ricevute sono il risultato del puro e semplice esercizio delle libertà di pensiero e di parola.
L'Associazione Italia-Tibet invita tutte le associazioni che si battono per la difesa dei diritti umani, le organizzazioni umanitarie, i gruppi femministi, i circoli culturali, i centri religiosi, i militanti democratici e i singoli cittadini a mobilitarsi e promuovere iniziative di denuncia e di lotta per ottenere l'immediata liberazione di NGAWANG SANGDROL. E' essenziale, a questo fine, che il governo italiano faccia pressione sulle autorità di Pechino affinché venga posto fine a questa vergognosa detenzione e siano rispettate le più elementari libertà democratiche, in Tibet come in Cina.
ASSOCIAZIONE ITALIA - TIBET