Personalmente, ho sempre ribadito che il verso scandalo della pena di morte non era rappresentato dagli Stati Uniti, ma dalla Cina che da sola pratica i due terzi delle esecuzioni che avvengo nel mondo e, insieme ad altri paesi totalitari o integralisti, la quasi totalità. L'ultima volta l'ho scritto nell'editoriale pubblicato sull'ultimo numero di "Nessuno tocchi Caino", che pure partiva dal caso O'Dell. Ma la nostra rivista, per la bassa tiratura, può essere considerata "clandestina". Invece, al Tg5 di alcune settimane fa, in un servizio sulla conferenza alla Fordham University sulla pena di morte negli Stati Uniti, ho dichiarato - a New York, sulla pena di morte negli Stati Uniti - che il vero problema era la pena di morte in Cina.Il 3 aprile scorso, a Ginevra, in Commissione diritti umani, è passata una nostra risoluzione (nostra di Caino, del P.R., sostenuta anche da Amnesty) contro la pena di morte che, per la prima volta, ha messo in un angolo paesi Come la Cina e gli Stati Uniti che ne sono usciti clamorosamente sconfitti.
Abbiamo scelto questa via, delle Nazioni Unite, ma anche di altri organismi o istituzioni sovranazionali, per essere più efficaci, per andare oltre la sterile protesta o la sola campagna di opinione contro la pena di morte. Per determinare dei cambiamenti duraturi, nelle leggi degli Stati e nel diritto internazionale. Punti di non ritorno. Ma anche perché noi non ce la faremmo mai a stare dietro allo stillicidio di esecuzioni, sono migliaia, che ogni anni si consumano nel mondo. Con quale criterio, con quale parametro di giustizia, riusciremmo a scegliere. I pochi casi singoli di cui ci siamo occupati, li abbiamo adottati anche per l'effetto generale, ad esempio attraverso sentenze costituzionali, di cambiamento di norme penali e di decisioni politiche sulla pena di morte.
L'altro problema riguarda le informazioni che noi riusciamo ad avere. In Cina, le informazioni sulla pena di morte sono coperte dal segreto, e le esecuzioni si sanno dopo che sono avvenute, quindi è difficile intervenire, se non per protestare. Cosa che, sulla Cina, abbiamo anche fatto: ricordo alcuni mesi fa, una manifestazione promossa da noi, insieme ad Athos De Luca, davanti all'ambasciata cinese a Roma, appunto per protestare contro un'esecuzione pubblica di molte persone. Mi ricordo che, in quella occasione, siamo andati con cartelli e striscioni e ci siamo fatti ricevere dall'ambasciata. Alla fine dell'incontro abbiamo lasciato un regalo simbolico all'ambasciatore: un pacco con dentro un mucchietto di bossoli di proiettile, per ricordare la pratica crudele in uso in Cina di consegnare ai parenti dei "giustiziati" i bossoli de proiettili che li hanno uccisi, parenti aio quali si impone anche di pagarne il costo.
Detto questo, davvero, siamo a tua disposizione se pensi che una iniziativa mirata sulla Cina, prendendo spunto dalla pratica della pena di morte, si possa fare. Comunque, non sottovalutare l'azione nei confronti degli Stati Uniti, di cui riconosciamo fondamenti di democrazia e stato di diritto, libertà e diritti civili, che sono anche i nostri (e proprio per questo non ne tolleriamo la pratica della pena di morte). Abolita la pena di morte in Usa, la Cina ed altri Paesi totalitari non potrebbero dirci come ci dicono: cose volete da noi? Anche voi occidentali la praticate!
Grazie, in ogni caso, e buona lotta per il Tibet, che poi non è altro che una parte, credo più importante della nostra contro la pena di morte, di un'unica grande lotta, quella per la democrazia in Cina.
Ti abbraccio, Sergio