La concorrenza sleale cineseDi Alessandra Guerrera
da il Giornale Giovani, aprile 97, pag 3
Della necessità impellente di agire su un piano di politica e di diritto internazionale, creando in termini di organizzazione globale
Un'opinio jurisac necessitatis che sia fonte di legalità, parliamo con Paolo Pietrosanti, consigliere generale del Partito radicale transnazionale e teorico del pensiero non violento e gandhiano.
Qual è il senso ultimo, oggi, della battaglia in favore dei diritti umani in Cina e Tibet?
Intanto dobbiamo evitare di parlare oltre di diritti umani. I diritti nascono in capo agli individui solo come conseguenza del loro appartenere a un ordinamento e quindi a un diritto oggettivo. La partita che si gioca in Cina e in Tibet, che è l'anello debole della Cina, è una partita di dimensioni planetarie, epocali, perché è la partita tra la possibilità e l'impossibilità di affermare il diritto: intendo dire la certezza del diritto e dei diritti soggettivi in un ambito in cui questi non esistono o sono violati; e d'altra parte non esiste un diritto internazionale che effettivamente li tuteli.
Molti sostengono però che la Cina è un enorme mercato potenziale, e che l'occidente non può perdere questa grande occasione economica.
La tesi che la Cina sia una grande occasione di business, di sviluppo economico, di mercato e di commercio è in realtà una grande presa in giro. Basti riflettere su due dati. Un mese di lavoro costa ad un imprenditore occidentale circa 3000 dollari. In Cina , in Indonesia , nella tigri asiatiche , un mese di lavoro costa circa 30 dollari, compresa la previdenza: circa un centesimo di quanto costa da noi. Questa è una vera e propria situazione di totale sbilanciamento. Manca inoltre una politica volta a riequilibrare un mercato che oggi è sul piano globale, fallito.
Ma esiste la possibilità di ripristinare un equilibrio?
Noi abbiamo due possibilità. O siamo disposti nei prossimi dieciquindici anni ad abbassare il nostro livello di vita a redditi di 500 dollari al mese, comprese tutte le voci del costo del lavoro; oppure dobbiamo esportare il nostro costo del lavoro nei suddetti paesi, cioè diritti sindacali, previdenza, libertà, che S quanto l'Europa ha conquistato in decenni, e a volte, secoli di storia. Ed S evidente che ciò potrà aiutare anche noi occidentali nella ricerca di un modello pi- avanzato di democrazia.