Un'analisi psicologica della filosofia tibetanaDi. A.Br.
da Il Giornale Giovani, aprile 97, pag. 3
Quali stimoli particolari il Tibet ha dato all'occidente, aldilà dell'influsso che tutta la cultura orientale, a partire da Schopenauer, ha esercitato sul pensiero moderno? C'è un testo che, per la fitta rete di rifrazioni e mediazioni attraverso le quali è passato alla cultura europea, rappresenta in modo emblematico questa connessione. Si tratta del Bardo Todol, documento antichissimo del buddismo tantrico, da noi noto come Libro tibetano dei morti. Esso fu pubblicato per la prima volta nel 1927 da uno studioso oxioniense , EvansWentz, nella traduzione inglese del lama tibetano KaziDavaSamdup. Seguirono altre traduzioni come quella italiana, tuttora in commercio (Tea, Firenze, 1988) del grande orientalista Giuseppe Tucci.
Jung, padre della moderna psicologia analitica, scrisse a sua volta, nel 1935, un commento psicologico al bardo, volto a mostrare come gli eventi psicologici descritti nel testo tibetano trovino uno stretto parallelo con la fenomenologia dell'inconscio europeo quale si rivela nel corso del trattamento analitico.
Il Bardo è un libro di istruzioni recitate dal lama al defunto per guidarlo durante la sua esistenzabardo, una fase intermedia di 49 giorni dopo la morte, divisa in tre stadi, durante la quale si maturano le due opposte possibilità che sono date all'individuo: o la salvazione, intesa come possibilità di sottrarsi al ciclo delle vite umane, o la reincarnazione, determinata da un cedimento alle illusioni karmiche. Jung che legge il testo tibetano con grande competenza orientalistica, ma alla luce di una problematica e di categorie schiettamente occidentali, esamina a ritroso i tre stadi, ritenendo che essi delineino una via iniziatica alla rovescia. La meta finale è quella che l'uomo distilla come ultimo e pi- alto frutto della ricerca, degli sforzi e del lavoro di tutta la sua esistenza: la vita è dunque il veicolo della più alta perfezione possibile, in quanto trionfo sulle "cose date", consapevolezza , per l'individuo, "che le vere forme di pensiero emanano da lui stesso ", riconoscimento del mondo di pote
nzialità insite nella psiche.
Tenendo insieme, con serrate analisi, due mondi concettuali diversi, Jung ci offre in questo saggio, che si legge nel volume 11 delle sue opere (Bollati, Boringhieri, Torino), un modello di sintesi culturali che è anche una grande lezione di ermeneutica.