Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
sab 14 giu. 2025
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Conferenza Tibet
Verni Piero - 7 maggio 1997
INTERVENTO DI TASHI WANGDI MINISTRO DEGLI ESTERI DEL GOVERNO TIBETANO IN ESILIO
GINEVRA 10 MARZO 1997

Sono veramente felice di essere qui con voi , a questa manifestazione per il Tibet organizzata dalle Comunità tibetane in Europa, dai gruppi che sostengono il Tibet, dall' intergruppo per il Tibet presso il Parlamento europeo e dal Partito Radicale Transnazionale. L'anno scorso una simile manifestazione ebbe molto successo a Bruxelles. Colgo l'opportunità per ringraziare gli organizzatori, il popolo svizzero e tutti voi che avete speso tanto tempo prezioso e tante energie per poter partecipare oggi. Voglio anche ringraziare tutti quelli che non possono essere qui ma che hanno mandato i loro messaggi di solidarietà..

Questa straordinaria manifestazione riunisce insieme tuutte quelle persone che pur proveniendo da paesi diversi si sentono unite da un comune sentimento di libertà, di amore per la giustizia e la democrazia, la non violenza ed il rispetto dei diritti umani e dell'ambiente. La vostra presenza qui oggi a sostegno della causa tibetana è una fonte di speranza e di consolazione per sei milioni di Tibetani, ed il solo fatto che voi siate qui dimostra quanto sia giusta la nostra causa. I Tibetani devono sapere che nell'ora del bisogno non sono stati dimenticati da coloro che vivono nel mondo libero.

Approfittando di questa manifestazione il Governo Tibetano in Esilio esprime il suo incondizionato appoggio alla lotta per la libertà ed il rispetto dei diritti umani che si sta svolgendo nel Turkestan Orientale, nella Mongolia Interna e nella stessa Cina. Le recenti esecuzioni sommarie e le repressioni politiche avvenute in queste regioni occupate dalla Cina ed il tentativo di Pechino di soffocare la voce della democrazia a casa propria sono un motivo di grande preoccupazione per noi. Per questo, vedere i nostri fratelli e le nostre sorelle del Turkestan, della Mongolia e della Cina qui con noi a manifestare per il Tibet, ci riempie di gioia.

Questa pubblica manifestazione nel giorno del 38mo anniversario della nostra insurrezione nazionale contro l'invasore ed in occasione della 53ma sessione della Commissione per i diritti umani dell'ONU deve far ricordare gli impegni morali, legali, e politici che si sono assunti tutti quelli che hanno sottoscritto la Carta delle NazioniUnite.

Ciò che è accaduto e sta accadendo in Tibet da più di quattro decenni è una delle peggiori tragedie nella storia dell'umanità. Un membro della delegazione indiana ha detto, rivolgendosi alla Assemblea Generale dell'ONU, durante la discussione della risoluzione sul Tibet del 1965: "Queste atrocità, portate avanti con brutale violenza ed in spregio ai sentimenti ed alle aspirazioni del popolo tibetano, sono una violazione di tutti i diritti umani universalmente riconosciuti e tendono allo spaventoso obiettivo della cancellazione di un intero popolo. Supera le imprese dei peggiori colonialisti, anche di quelli che governavano i popoli conquistati come fossero loro schiavi." Ciò avveniva, come ricorderete, prima della Rivoluzione Culturale. Quello che in seguito hanno sofferto i Cinesi e più ancora i Tibetani durante la Rivoluzione Culturale, è cosa troppo nota perchè lo ricordi qui. Basti dire che la politica cinese in Tibet non è sostanzialmente cambiata da allora, anzi in un certo senso la situazione è ancora

più grave. A parte la terribile repressione, è il continuo e strisciante genocidio etnico-culturale la vera minaccia per la sopravvivenza del nostro popolo come distinta ed unica civiltà depositaria di una antica e sofisticata eredità culturale.

Domani comincerà la 53ma sessione della Commissione sui Diritti Umani delle Nazioni Unite qui a Ginevra. Si tratta della più alta istanza nel mondo dove, per statuto, qualunque violazione in qualsiasi paese deve essere denunciata e dove i governi dei paesi membri devono rendere conto delle proprie azioni. Sarebbe un travisamento di ogni senso di giustizia se proprio i paesi più forti e più influenti usassero il loro peso ed il loro potere di pressione per sottrarsi all'esame della Commissione. Anzi questa dovrebbe essere particolarmente preoccupata dalla notizia che il paese che ospita un quinto dell'umanità non rispetta i più elementari diritti umani.

La domanda che la Commissione deve porsi oggi è se ci siano violazioni di questi diritti in Cina; se ci sono deve avere il coraggio di dichiararlo, se no deve assumersi la responsabilità di affermarlo chiaramente. Noi abbiamo fatto nel passato la triste esperienza di veder bloccare da alcuni paesi le denunce presentate contro gravi e lampanti violazioni accertate a carico di altri stati membri. Queste manovre, tese a impedire l'accertamento della verità sulla base di reciproci scambi di favori tra paesi colpevoli di gravi violazioni dei diritti umani, costituiscono una pratica pericolosa e perniciosa. La Commissione per i Diritti Umani dell'ONU non deve diventare luogo di tali mercanteggiamenti; deve invece, in accordo al proprio mandato, esaminare e discutere in modo approfondito tutti i casi di violazioni dei diritti umani dovunque siano segnalati. A nessun paese deve essere consentito sottrarsi a questo esame sulla base di vaghe promesse così come è già accaduto, proprio nel caso della Cina, in un recente

passato.

In realtà, per quanto riguarda le violazioni dei diritti umani, la situazione è peggiorata sia in Tibet che in Cina, e qualunque acquiescenza da parte della Commissione rafforzerà la convinzione del Governo di Pechino di poter agire impunemente. Questa preoccupazione deve spingere la Commissione a non chiudere gli occhi ed ignorare le denuncie delle vittime della repressione.

Qualunque violazione dei diritti umani è comunque inaccettabile ma lo è particolarmente quando chi ne è vittima è sistematicamente discriminato perchè appartiene ad una certa razza ed a una particolare cultura, come avviene per i Tibetani. A differenza che in Cina, in Tibet è il diritto collettivo alla sopravvivenza che è minacciato. Per lo meno i Cinesi, a parte le gravi violazioni alle loro libertà fondamentali, non corrono il rischio dell'estinzione come popolo.

I problemi che ci sono oggi in Tibet, come nel Turkestan Orientale e nella Mongolia Interna sono il prodotto delle politiche cinesi. Lo scomparso Panchen Lama rivolto ai funzionari della cosiddetta Regione Autonoma Tibetana ebbe a dire: "Se voi governerete con l'unico strumento della soppressione del sentimento nazionale, allora avrete molti gravi problemi in futuro" Lo stesso Hu Yaobang, Segretario del Partito Comunista Cinese disse, in un incontro a Pechino del 1984, che il popolo tibetano aveva sempre avuto un forte senso di unità ed identità nazionale ed era in possesso di specifiche virtù quali la capacità di lavorare duramente, il coraggio e l'intelligenza. Invitava, con questo discorso, i dirigenti del suo partito ad uno sforzo per capire la cultura ed il carattere dei Tibetani, per poter entrare con loro in un rapporto di fraternità ed amicizia. Aveva capito, infatti, che solo sulla base dell'ugualianza e del reciproco rispetto possono esserci rapporti di solidarietà e convivenza pacifica mentre re

pressione e discriminazione porteranno solo divisione e disgregazione. Ciò è sempre vero nelle relazioni umane. Questo devono capire i governanti cinesi: la forza e la repressione sono controproducenti e solo con l'apertura mentale e la reciproca conoscenza risolveremo i nostri problemi.

Al contrario, i dirigenti cinesi invece di affrontare le cause del malessere che affligge i Tibetani ricercano e creano un immaginario nemico esterno che sarebbe la spiegazione delle attuali difficoltà. A conferma di ciò, basti citare l'attacco che il Ministro degli Esteri cinese ha rivolto contro la stampa internazionale che, a suo giudizio, sta usando la questione tibetana per attaccare ed indebolire la Cina e le accuse di "separatismo" da lui rivolte all'indirizzo di Sua Santità il Dalai Lama. Organi ufficiali del Partito Comunista Cinese gli rivolgono, a questo proposito, l'accusa di essere uno strumento di una presunta cospirazione internazionale anti-cinese.

Il problema dei paesi governati da tali dittature comuniste è che i loro dirigenti antepongono gli interessi del partito dominante a quelli del paese e della nazione, e quindi ogni critica rivolta alla sua politica viene considerata un atto di sovversione e tradimento. Naturalmente queste sono false accuse. Criticare la politica del Partito Democratico in America o quella del Partito Conservatore inglese non significa certo tramare contro gli USA o il Regno Unito. Come potrebbe, poi, la critica alle violazioni dei diritti umani essere considerata un attentato anti-cinese dal momento che la Cina ha sottoscritto la Dichiarazione di Vienna del 1993 accettando, con quest'atto, il principio dell'universalità di questi stessi diritti? Stando ai fatti, quindi, è naturale che alla causa tibetana vada l'umana simpatia del mondo e senza alcuna motivazione anti-cinese.

Tutto il mondo sa che il DalaiLama sta tentando di aprire negoziati col governo di Pechino senza porre come pre-condizione l'indipendenza del Tibet. Lui stesso lo ha più volte ribadito anche direttamente ai suoi interlocutori cinesi. Perchè costoro non hanno mai accettato di intavolare negoziati su questa base per trovare una soluzione pacifica? Non fu, del resto, lo stesso governo cinese ad affermare,già nel 1979, che si poteva iniziare a discutere se non fosse stata posta la questione dell'indipendenza? Nessun ostacolo si frapporrebbe all'inizio dei negoziati se solo i Cinesi vi si accingessero con lo scopo di raggiungere un pacifico compromesso.

Voglio dirlo chiaramente: noi non abbiamo nessuna intenzione di promuovere una campagna di denigrazione della Repubblica Popolare Cinese nè dei suoi dirigenti.

Noi siamo qui ora perchè non siamo riusciti ad avere contatti diretti per ottenere giustizia per il popolo tibetano. Siamo qui perchè spinti a chiedere l'aiuto della comunità internazionale in quanto tutti i nostri sforzi non hanno raggiunto risultati apprezzabili. Il giorno in cui il Governo Cinese compirà passi concreti per migliorare la situazione dei diritti umani nel nostro paese, allorchè mostrerà un sincero rispetto verso l'identità culturale della nostra nazione ed accetterà l'invito del Dalai Lama ad un dialogo vero allora i principali motivi di preoccupazione cesseranno.

La leadership cinese sta cambiando:è giunto il momento per Cinesi e Tibetani di approfittare dell'occasione. Ma fino a che non ci giungerà un segnale chiaro e inequivocabile da Pechino che sta per aprirsi un nuovo capitolo nelle nostre relazioni, noi continuiamo ad aver bisogno del vostro aiuto per ottenere giustizia, pace e libertà per il Tibet.

Grazie.

 
Argomenti correlati:
stampa questo documento invia questa pagina per mail