da: Repubblica - 3 luglio 1997
Un demone ispira la guerra tra i lama
Una pista di sangue tra i seguaci di Buddha
Dopo la strage di febbraio a Dharamsala, la polizia indiana ha avviato indagini internazionali che portano anche in Italia
di RAIMONDO BULTRINI
POCHI giorni dopo l'assassinio di un lama e di due giovani monaci tibetani, la polizia indiana del distretto di Kangra inviava all'Intelligence bureau di Delhi una nota riservata e inquietante. Gli assassini, c'era scritto, hanno una lista di 14 alti dignitari del governo tibetano in esilio che vogliono ancora colpire. In testa all'elenco Sua Santità Tenzin Gyatso, quattordicesimo Dalai lama, premio Nobel per la Pace. La polizia di Stato offriva agli 007 del governo indiano anche un'indicazione per individuare i responsabili della carneficina avvenuta il 4 febbraio a due passi dalla residenza del Nobel: "Conducete un'approfondita e stretta sorveglianza" dei seguaci di Dorje Shugden a Delhi, Karnataka, Italia e Londra. Che c'entra l'Italia con il triplice omicidio di tre religiosi tibetani? E chi è Dorje Shugden? Dorje Shugden è un dio-demonio, considerato incarnazione di un monaco del 1600, "cacciato" dal pantheon buddhista per decisione del Dalai lama (come ha fatto recentemente, per esempio, la Chiesa con
San Giorgio). Ma una setta eretica seguace di Shugden s'è ribellata al divieto di culto al punto da minacciare, secondo alcuni, la stessa incolumità del leader spirituale tibetano.
Sebbene i sospetti sulle morti sembrino concentrarsi contro il potente gruppo religioso, chiamato New Kadampa Tradition (Nkt) e capeggiato in Inghilterra dal lama Kelsang, le tracce del mefistofelico mistero conducono anche altrove. Ha infatti dell'incredibile la propagazione in Occidente del culto del demone "nemico" del Dalai lama. Lo Shugden tibetano sembra partorito dal pennello di un Goya ispirato da Satana: sguardo feroce attraverso tre occhi fuori dalle orbite, denti enormi, una mano che brandisce minacciosa una sorta di spada fiammeggiante a cavallo della tigre. Il culto del demone esotico in Italia - ecco il legame indicato dagli investigatori indiani - sarebbe un rispettabile e conosciuto centro buddhista milanese, diretto da un guru residente da molti anni nel nostro paese, frequentato da attori, presentatori, intellettuali e gente comune mossa da nobili intenti d'elevazione spirituale. Tralasceremo però questa labile pista, perché, per ora, non sta qui la chiave del giallo.
Il giallo ha inizio in un periodo nefasto, secondo il calendario rituale, a quattro giorni dal Losar, il Capodanno tibetano sotto il segno del Toro di fuoco. Erano almeno dieci i killer che hanno infierito su lama e monaci, colpiti con decine di coltellate e sgozzati senza pietà in un anonimo edificio di Dharamsala, piccolo villaggio ai piedi dell'Himalaya dove hanno trovato rifugio da anni il Dalai lama e 7000 profughi. Nessuno ha visto, nessuno ha sentito, nonostante il silenzio rotto solo dalle lente litanie dei riti del più religioso popolo del mondo. Il lama ucciso, Lobsang Gyatso, 70 anni, strettissimo collaboratore del Dalai lama, oltre che direttore della prestigiosa Scuola di dialettica, era autore (più volte minacciato per questo) di recenti pubblicazioni contro il culto di Shugden, da lui considerato, sulla scia delle parole del Dalai lama, un "elemento di divisione della causa comune tibetana".
La setta mistica Nkt, colpevole o no del triplice omicidio di Dharamsala, ha mirato a colpire la qualità morale del Dalai lama e dei suoi insegnamenti, unico patrimonio di un governo senza terra e senza sudditi da tassare. Se finora il buddhismo tibetano è stato generalmente considerato in Occidente una religione gentile e tollerante (immagine destinata ad essere rafforzata dai due film biografici sul Dalai lama attualmente in lavorazione), ecco i seguaci del demone Shugden diffondere invece dal loro quartier generale londinese l'accusa di discriminare le minoranze.
Kelsang si presenta infatti al mondo come il vero erede della tradizione buddhista, contrario alle aperture ecumeniche del suo nemico Dalai che ha accolto tutte le altre tradizioni mistiche in nome dell'unità tibetana. Tra le comunità tibetane in esilio, qualcuno sospetta segreti patti della Nkt con altre sette in disaccordo col Dalai lama, come i seguaci Karjupa divisi sul nome di un Piccolo Buddha da mettere sul trono di un potente monastero nel nord dell'India. una guerra tra lama in esilio. Una guerra modernizzata con l'utilizzo di Internet da parte della Nkt e addirittura cortei di protesta in stile sindacale, come la manifestazione anti Dalai lama ispirata recentemente da Kelsang a Londra al grido di "Your smile charm, your actions harm", il tuo sorriso affascina, le tue azioni fanno male. E' anche una guerra d'interessi legati al cosiddetto Dharma business, cioè gli affari messi in moto dalla solidarietà verso la causa religiosa e politica del popolo tibetano.
La recente fama di lama Kelsang e della sua Nkt, con tremila seguaci inglesi, 200 centri e una lussuosa residenza di 38 acri nella contea del Derbyshire, è attribuita tra i buddhisti proprio al potere del demone Shugden, munifico di beni mondani e facile da evocare. Ma, come in ogni patto col diavolo che si rispetti, bisogna contraccambiare, in questo caso con riti quotidiani e una dedizione costante. Anche perché la classe di esseri a cui appartiene Shugden, chiamati Gyalpo, agiscono sul sistema nervoso e portano, all'estremo, nevrosi e pazzia.
Si dice che il karma (il frutto delle azioni passate) di un uomo, sia esso comune mortale peccatore o maestro spirituale, si trascini di reincarnazione in reincarnazione. Sarà quindi frutto del loro karma se tutti i Dalai lama hanno sempre avuto qualche problema con il demone Shugden, vietandone il culto e opponendogli altre figure tantriche. Il premio Nobel per la pace era stato l'unico a derogare fino adesso - a questa tradizione d'inimicizia.
Accadde infatti che il Dalai vivente, il quattordicesimo, costretto a numerosi esili forzati prima della fuga in India del '59, si trovasse da giovanetto ospite di un monastero tra i cui monaci c'era un medium dal demone Shugden. Gli oracoli, assieme ad altre forme di divinazione, sono sempre stati fondamentali nei momenti critici: dalla scelta delle reincarnazioni del Dalai lama stesso alle strategie politiche. Ma a quel tempo il Dalai lama si trovava nell'impossibilità di convocare in quel monastero la Sibilla di Stato, il medium della divinità Nechung. Dovette quindi accontentarsi dell'oracolo locale, ispirato proprio dal famoso Shugden. E siccome le sue risposte erano sempre precise e intelligenti, l'inesperto Dalai lama prese a fidarsi di lui.
Nacque così un legame spirituale durato molti anni, fino al ' 75, quando l'oracolo concorrente di Nechung e una serie di segni miracolosi - come ha raccontato lo stesso Dalai lama - non rivelarono la natura maligna dello spirito evocato in quei giorni lontani.
Sia Shugden un Buddha realizzato - come sostiene Kelsang - o un dio minore - come dice invece il Dalai lama -, rompere un legame con un'entità metafisica diabolica non è come togliere il saluto a un vecchio amico. E del resto lo stesso Dalai lama ha impiegato vent'anni, per sua ammissione, a trovare la via per neutralizzare Shugden. Forse non c'è ancora riuscito davvero se - come sembra è proprio nel nome del demone che è stato compiuto l'orribile delitto di Dharamsala.
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