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Conferenza Tibet
Partito Radicale Roma - 12 settembre 1997
Intervista / Il Tibet come il Sudtirolo?

(Il Foglio, venerdì 12 settembre 1997)

Un Dalai Lama "metà marxista e metà buddista" a scuola di autonomia

Gorizia. Arriva infagottato nella 'chuba', la tipica tunica color porpora con strisce gialle, che lo avvolge dalle spalle ai piedi. Sul volto ha dipinto un costante sorriso e attorno al polso tiene sempre il 'tangwa', una specie di rosario tibetano. Tenzin Gyatso, Sua Santità il XIV Dalai Lama, capo spirituale dei buddisti e leader politico "suo malgrado" del popolo tibetano (sei milioni e mezzo di persone) è in visita in Italia. Dopo il Trentino Alto Adige, dove ha studiato la particolare forma di autonomia con l'intento di applicarla al Tibet occupato dai cinesi dal 1950, ieri era in visita a Gorizia per ricevere la cittadinanza onoraria e una laurea dalla locale università. "Il genocidio culturale ai danni del Tibet perpetrato dalle autorità cinesi continua intenzionalmente e non. Ormai assistiamo a un'involontaria assimilazione", esordisce il sessantaduenne premio Nobel per la pace, ospite del castello che domina il capoluogo isontino. L'unica concessione ai costumi occidentali, un paio di mocassini con

i lacci e la suola in gomma sopra i calzini blu. Saltano agli occhi pure l'orologio di marca e gli occhialoni con la montatura metallica, che invadono il volto con il cranio rasato a zero.

Il sindaco di Gorizia, Gaetano Valenti, profugo dall'Istria alla fine della seconda guerra mondiale di fronte alle violenze dei partigiani del maresciallo Tito, lo accoglie come un 'principe' degli esiliati di tutto il mondo. "Capisco i sentimenti dei bambini tibetani che crescono in India, nel Nepal, nel Bhutan, in Europa ( ) mantenendo i legami affettivi e spirituali con il loro paese perduto", spiega il primo cittadini targato Polo. "Io sono stato come loro. La nostra gente, gli esuli istriani e dalmati, non avevano un leader morale come lei, ma ha fatto, guidata dalla propria natura e dal proprio carattere, una scelta per certi versi simile". Il Dalai Lama sembra impressionato da questi richiami e informato che il prossimo sabato e domenica si terrà a Trieste il raduno mondiale degli esuli giulianodalmati consegna alle telecamere della Rai un messaggio, "armonia e dialogo, senza abbandonare determinazione e speranza", diretto ai profughi di queste terre contese, i quali si ritroveranno dopo cinquant'anni

.

Il servizio di sicurezza è ossessivo, nonostante il pericolo per la guida del buddismo non venga più dal governo cinese, ma dalla strana setta buddista che idolatra il demone Shugden. La polizia indiana ha confermato che la recente uccisione di uno stretto collaboratore del Dalai Lama e altri due monaci è stata compiuta da seguaci della setta. Shugden era un prete tibetano, che dopo la morte si trasformò in demone attorno al XII secolo. "E' una storia che va avanti da trecento anni almeno", rivela Tenzin Gyatso. "Anch'io seguivo il demone da giovane, ma poi sono tornato alla purezza del buddismo da cui il Dalai Lama e tutto il governo in esilio non possono discostarsi".

Non la pensa così un Lama in esilio a Londra indicato come promotore della setta, che ha un importante seguace anche a Milano. Un guru, che funge da faro spirituale per molte stelle dello spettacolo italiano. Il popolo tibetano all'estero conta duecentomila persone, fuggite soprattutto in India, e altre cinquemila in giro per il mondo. Dharamsala, sulle pendici dell'Himalaya, è la 'capitale' dell'esilio dove risiede il governo teocratico buddista e si annidano i seguaci della setta che vorrebbe abbattere il leader spirituale. Ma la quattordicesima reincarnazione del primo Dalai Lama ha problemi ancor più importanti da affrontare dopo la morte di Deng Xiao Ping, l'ultimo veterano della lunga marcia di Mao. "Non chiediamo più l'indipendenza dalla Cina, bensì una reale autonomia", sostiene. "La costituzione cinese prevede un certo decentramento solo sulla carta. Ci batteremo per un Tibet veramente autonomo, magari associato in maniera federale alla Cina". Durante l'intervista esclusiva rilasciata a Repubblica e

al Foglio rivela che reputa "possibile in futuro un incontro con i nuovi dirigenti della Cina, perché il paese sta velocemente cambiando in senso positivo nonostante i recenti irrigidimenti nei confronti del Tibet" seguiti alla rivolta degli studenti in piazza Tienanmen. Osserva con un occhio di riguardo lo sviluppo dello slogan "un paese, due sistemi", capitalistico e comunista, che Pechino sta portando avanti con l'annessione di Hong Kong e le zone economiche speciali. "Sono ottimista e penso che il dialogo e l'azione nonviolenta sia l'unica strada da percorrere con l'aiuto di tutti", sottolinea ripetutamente, nonostante il governo cinese continui ad accusarlo di voler reintrodurre il sistema feudale in Tibet e abbia addirittura sequestrato, 'ospitandolo' in una caserma, il Panchen Lama, ovvero il bambino che sarà futuro capo dei buddisti come reincarnazione di Tenzin Gyatso.

L'altro ieri il Pds ha colto la palla al balzo della visita in Italia del leader spirituale dei tibetani per proporsi come mediatore fra Tibet e Cina. Non solo: l'europarlamentare Luigi Colajanni, che ha incontrato in privato il Dalai Lama, chiederà all'Unione europea di nominare un rappresentante che si occupi di annodare il dialogo fra Pechino e il governo tibetano in esilio. "La vicenda del mio paese fa parte della storia, ma non è ideologica. Molti comunisti tibetani morirono per la nostra causa, quindi non vedo perché degli ex comunisti non possano adoperarsi in senso positivo, come sta già facendo il dipartimento di Stato americano", osserva l'illustre ospite, che oggi sarà a Trieste. "Anch'io potrei definirmi metà marxista e metà buddista, eppure combatto per il mio popolo in nome della giustizia".

Il Dalai Lama si lascia, infine, andare a una considerazione sull'enorme emozione che ha suscitato la scomparsa, pochi giorni l'una dall'altra, di Lady Diana e Madre Teresa di Calcutta: "Gli occidentali si eccitano troppo quando accade qualcosa di buono e in egual maniera si deprimono se va tutto storto. Senza nulla togliere alla grande figura religiosa e umana di Madre Teresa, donna di fede vicina alla povera gente e alla tragica fine della principessa del Galles, devo dire che noi tibetani affrontiamo i casi della vita con maggior calma". Si inchina congiungendo le palme delle mani davanti al viso e con lo stesso sorriso con cui era arrivato, se ne va, come se fosse un personaggio di un altro mondo.

 
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