LE RAGIONI E LE PECULARIETA' "GIURIDICHE" DELLA PROPOSTA DI RICHIESTA DI CITTADINANZA TIBETANA
Dr. Guido Biancardi
Milano, 20 marzo 1998
L'iniziativa non è e non deve essere considerata una dimostrazione di solidarietà ma, in termini di jure condendo, un precedente nella evoluzione delle modalità giuridicamente valide di composizione di problemi e controversie (inter) o transnazionali secondo i dettami della non violenza.
Essa è consentita dalla esclusiva e (quasi) irripetibile situazione del Tibet. (governo in esilio, sistema istituzionale teocratico, sistema costituzionale basato su valori etici di non violenza, Dalai Lama rappresentante supremo civile e religioso cui è stato conferito il nobel per la pace)
La richiesta di cittadinanza presuppone l'identificazione del Dalai Lama (in quanto Dalai Lama) come legittimo rappresentante del Tibet, ma limitatamente (perché questa è stata la scelta dei tibetani: rinunciare alla rivendicazione di indipendenza) per la tutela delle "distinte", caratteristiche e dei valori (ovvero cultura) del Tibet; in più introduce la condizione, che la acquisita cittadinanza non possa tradursi in iniziative volte alla affermazione di interessi non perseguiti dai tibetani e non riconosciuti dai principi di diritto internazionale. Cio' comporta che, qualora principi affermati e azioni non coincidano, allora la cittadinanza puo' essere revocata e comunque decade per carenza di legittimazione contrattuale.
Tale rappresentanza è riconosciuta come legittima (alla condizione di rinunzia alla indipendenza), anche dai cinesi, che altrimenti non potrebbero realizzare trattative sino-tibetane anche se parziali e ben delimitate.
La rappresentanza "legittima ma limitata" consente di superare l'alternativa secca, o rinuncia alla difesa di propri interessi in territori fuori della giurisdizione nazionale oppure ingerenza in affari internazionali indebita perché non rispettosa della autonomia nazionale.
Un cittadino (italiano e comunque non tibetano o cinese) chiede la concessione della cittadinanza tibetana in modo aggiuntivo alla propria cittadinanza originaria, condizionato dalla volontà e dalle scelte dei rappresentanti tibetani che la concedono; circoscritto alla tutela della dimensione più profonda perseguita come fine dalla cittadinanza (che è un mezzo), ovvero quella della non compromissione della identità e della cultura tibetane che sono peculiari e da salvaguardare (tutela della biodiversità anche culturale). Cio' rende possibile la duplice e contemporanea tutela sia di un interesse tibetano sia la possibilità di un'azione non mediata da parte di non tibetani).
La peculiarità di questa "altra cittadinanza" è di essere più estesa di quella di origine, (allargata ad un altro "territorio" giuridico e culturale in cui esercitarsi), e contemporanea a quella originaria, ma più attutita perché volontariamente e formalmente circoscritta rispetto alla originaria per l'esclusione della rivendicazione di indipendenza territoriale (se tale, cioè circoscritta, rimane la rivendicazione di esercizio della titolarietà di rappresentanza legale dei tibetani da parte del governo in esilio).
Questa contemporaneità di identità giuridica internazionale plurima vuole essere la dichiarazione della possibilità non solo concettuale ma fattuale (e "giuridica") che al principio di differenziazione e contrapposizione possa sostituirsi, con cogenza di forza da disposizione di diritto, quello della responsabilità e della solidarietà universali (cioè condivisione e contitolarietà di diritti e doveri reciproci ma non necessariamente parificati).
L'iniziativa non suggerisce solo di considerare questa iniziativa come una utile opportunità per il popolo tibetano (quindi una opzione per l'esercizio del diritto di auto tutela) ma, soprattutto, costituisce una opportunità preziosa ed irripetibile a vantaggio di altre comunità nazionali che si trovano in condizioni meno favorevoli quali la stessa nazione cinese (quindi, un dovere morale secondo la non violenza).
Il non consentire di cogliere questa opportunità resa, anche se con difficoltà, possibile solamente dalla irrepetibilità di una situazione come quella che vede fra Cina e Tibet il confronto fra due culture l'una democratica e violenta, l'altra non violenta e non democratica, costituirebbe una responsabilità morale grave perché precluderebbe anche ad altri la possibilità di ricercare forme di azione innovative sul piano del diritto internazionale.
La chiave di questa opportunità è nelle mani dei rappresentanti in esilio della cultura tibetana cui sarebbe reso possibile testimoniare con le azioni la solidità ed il valore dei principi che essi dichiarano di seguire.