(Il Diario, settimanale, Italia, 14-20 luglio '99)Viaggio nel regno di Kim il Santo
Al Grande Leader è succeduto il Caro Leader, ma santificare i presidenti non basta a salvare la Corea del Nord dalla carestia. Si muore di fame nel rigoroso isolamento dal resto del mondo.
di Ilaria Maria Sala
Pyongyang. E difficile immaginare un Paese più chiuso e diffidente verso l'esterno della Corea del Nord. La metà settentrionale della penisola coreana si è talmente arroccata nel suo autoimposto isolamento, che la sola possibilità di osservarla da lontano ha fatto nascere un business turistico in più di una località. Dandong, una piccola città sulla riva del fiume Yalu, vive principalmente di questo: guardando oltre il fiume si possono vedere i tetti di Sinuiju, la principale città di frontiera nordcoreana, e intorno a quella che parrebbe una ben povera attrazione si è creata un'industria. Sul versante cinese, infatti, il piccolo parco lungo lo Yalu è punteggiato da file di cannocchiali che possono essere affittati per vedere ciò che accade di fronte; si può osservare ancora meglio noleggiando un piccolo motoscafo per fare un giro vicinissimo alla sponda opposta. I turisti si mettono in tasca alcuni pacchetti di sigarette, e indossano un salvagentino arancione obbligatorio: poi, arrivati vicini alla riva cor
eana, appena vedono qualcuno lanciano le sigarette, "perché di là non hanno niente", e salutano con la mano. Scattare fotografie sarebbe vietato, dal momento che la riva è pattugliata da soldati con il mitra sulla spalla che non vogliono essere ripresi, ma tutti fotografano, eccitati dal gusto delle cose proibite.
La sera, come in tutti i parchi cinesi, anche ai Giardini pubblici fiume Yalu molti pensionati vengono a fare qualche esercizio di ginnastica, a chiacchierare con gli amici, e a ballare al suono di un karaoke all'aperto insieme al quale cantano gruppi di ragazzine dagli occhi sognanti, affascinate da ogni immagine che lampeggia sullo schermo televisivo. "E tremendo, quello che succede di là", racconta uno di loro, un signore con tutti i capelli bianchi, sulla sessantina, mentre fa esercizi di stretching contro la balaustra lungo il fiume. "Hanno fame, e niente da mettersi nello stomaco. Gli diamo quello che possiamo ma non basta mai. E insopportabile da guardare: vedi, io ho combattuto nella Guerra di Corea, ho rischiato la vita per loro, e non posso sopportare di vederli morire di fame. Noi diamo quello che possiamo: cibo, olio, vestiti caldi. Ma come può bastare? Con la loro economia, e il loro governo. Non c'è niente da fare", dice. Un altro pensionato si unisce alla conversazione, e spiega: "Molta gente
qui è coreana, nata in Cina, ma con diversi parenti dall'altra parte. Parliamo quasi tutti anche coreano.
Quando vengono da noi a cercare del cibo, attraversando illegalmente la frontiera, facciamo del nostro meglio, ma in segreto. Il loro governo non vuole che scappino dal Paese, e quindi, anche quello cinese non può farci molto: se trovano dei clandestini li rispediscono indietro. Se qualcuno riesce a venire fin qui, gli diamo da mangiare, ma poi devono rientrare cercando di non farsi scoprire. Sono morti di fame già tanti di loro, anche fra i soldati: così se ti scoprono mentre gli dai qualcosa spesso chiudono un occhio. Ma è pericoloso". Guardando di là dal fiume, la differenza con il lato cinese è impressionante: da questa parte, un'anarchia di case orribili, che crescono una dopo l'altra, con sempre più piani, piastrelline e vetri oscurati e poi molte automobili, un'abbondanza di cose, disordine e rumore che una volta tanto fa piacere vedere.
Perché la sponda di fronte è silenziosa, abbattuta, e stringe il cuore: le persone che si scorgono sono vestite dimessamente, con abiti che sembrano vecchi di una trentina d'anni. Non ci sono mezzi a motore, tutto va lento, come se fosse stanco. Il giardino di fronte cerca di conservare la sua apparenza di parco divertimenti, per non essere da meno di quello di Dandong: un'enorme giostra arrugginita e immobile domina il paesaggio. Da un lato, si possono vedere gusci di case non finite, davanti alle quali c'è gente piegata a lavare nel fiume vestiti, biciclette e anche bambini, per quanto fredda e sporca sia l'acqua. "Le case hanno iniziato a costruirle dieci anni fa, quando abbiamo cominciato noi a tirarne su tante. Solo che poi da loro sono finiti i soldi, e sono rimaste a metà", spiega una signora che affitta cannocchiali. Anche lei scuote la testa, e commenta piano: "Poverini!".
Anche il figlio di Mao tra i morti in guerra. Attrazione turistica a Dandong è il ponte rimasto a metà da quando gli americani lo bombardarono nel 1950, durante la Guerra di Corea, scoppiata quando il Nord, sostenuto da Stalin, portò le sue truppe oltre il trentottesimo parallelo, da dove inizia la Corea del Sud, sostenuta dagli Stati Uniti. La guerra durò tre anni e si concluse senza nessun mutamento nell'equilibrio fra le due parti, ma con un milione di morti complessivo; fra questi ci fu anche il figlio di Mao Zedong, Mao Anying, che faceva parte delle truppe inviate da Stalin e dalla Cina contro "l'aggressore" Usa.
Oltre a fare escursioni sul ponte, e allo scrutare col cannocchiale e dal motoscafo, i turisti a Dandong mangiano e si ubriacano, e ogni giorno una quantità incredibile di cibo è buttata via, perché "per poter presentare conti un po' più alti" i ristoranti servono porzioni enormi. Sex shop e "sale di massaggio" completano il settore dei "servizi", che si mantiene anche con una serie di traffici, legali e non, fra le due frontiere. Alcuni di questi possono essere intuiti facendo la coda per prendere il treno delle dieci di mattina che va a Pyongyang, capitale della Corea del Nord: la quantità di borse e sacchi trasportata è tale che è stata installata una bilancia nella sala d'aspetto della stazione per pesare le valigie; chiunque trasporti più di 30 chili deve pagare una sovrattassa di circa 2mila lire per chilo. "Non hanno nulla, di là", dice una donna cinese che ha una piccola azienda di import-export con la Corea del Nord: "E le cose che hanno sono di qualità talmente cattiva che non le puoi usare. Non ha
nno frutta, non hanno dentifricio: niente". Infatti, lo scompartimento è stipato di tutto il trasportabile: soprattutto cibo, sia fresco che conservato, ma anche animali di peluche e stecche di sigarette, cosmetici e calze da donna.
Frontiera tra due mondi. Arrivare "di là" è una faccenda di pochi minuti. Si passa sullo sferragliante Ponte dell'Amicizia costruito per sostituire quello bombardato, e ci si ferma per diverse ore alla dogana di Sinuiju, dove tutto quello che viene immesso nel Paese è controllato accuratamente: ogni pagina di ogni libro e quaderno, ogni fotografia. Ogni borsa e ogni scatola vengono aperti. La valuta estera non dichiarata sparisce rapidamente nelle tasche dei doganieri, insieme a prodotti impossibili da trovare, come le medicine per l'influenza. Mentre si aspetta di poter ripartire è consentito scendere sul binario e girellare un po' per la stazione, sotto lo sguardo vigile di soldati armati e severi, con in testa un enorme berretto dalla falda tonda e imbottita, e sul cuore il distintivo con il ritratto del Grande Leader Kim Il Sung, che tutti portano, unico oggetto luccicante in un paesaggio dominato da colori fangosi. Sporgendosi oltre la balaustra della stazione, si può vedere il piazzale sottostante, nel
quale troneggia un'enorme statua di Kim Il Sung, con il braccio alzato. Dietro la statua c'è il suo ritratto, e tutt'intorno ci sono slogan che inneggiano alla grandezza del suo pensiero. Dovunque, una quantità impressionante di militari, per quanto il numero delle persone impiegate dalle forze armate in questo Paese sia un segreto di Stato impenetrabile.
Benvenuti in Corea del Nord. Quando il treno riparte, la Cina sembra improvvisamente lontanissima. Dopo tre mesi di siccità, cade una pioggia impietosa; i campi si sono allagati e hanno un aspetto impraticabile. In mezzo vi campeggiano file di bandiere rosse che sventolano circondate da altoparlanti, dipinti propagandistici e innumerevoli slogan. A intervalli di molti chilometri, si possono vedere un trattore degli anni Trenta, vecchie fabbriche sgocciolanti ruggine che paiono abbandonate, e qualche mucca magrissima dall'aria malata. Questo è probabilmente l'unico Paese in Asia in cui non si scorge traccia di pressione demografica: le persone sono poche, le case sono rade, e nulla di moderno si presenta alla vista. Un treno sgangherato che arriva nella direzione opposta è talmente mal ridotto da non aver più vetri alle finestre. Alcuni passeggeri, per proteggersi dall'acqua, hanno appeso dei teli di plastica; gli altri, semplicemente, si infradiciano. Dopo cinque ore il treno si ferma a Pyongyang, dove aspet
tano due euforici signori Kim in giacca blu, per accompagnare l'ospite a un grande albergo di 42 piani, nel mezzo del nulla, ma con la bellezza di mille camere, delle quali appena una decina sembrano occupate.
Da questo momento in poi, essere in Corea del Nord è come trovarsi in due Paesi allo stesso tempo: uno è quello che si può solo cercare di intuire osservando attentamente intorno e tentando di interpretare i segnali. L'altra Corea del Nord, invece, è quella ufficiale, surreale e irraggiungibile, come un universo parallelo, che vuole presentarsi ai visitatori come un mondo prospero, dove tutti sono felici, e dove ogni domanda ha la sua risposta.
"Domani visiteremo la statua di Kim Il Sung. E nostra abitudine presentare un bouquet di fiori ai suoi piedi, che costerà dieci dollari americani", dice un signor Kim. Il giorno dopo, eccoci dunque davanti alla statua di Kim Il Sung, che si erge enorme, circondata da sculture in stile realistico-sovietico rappresentanti soldati e contadini in formazione compatta intorno a un'enorme bandiera rossa che sferrano attacchi mortali al nemico.
Tutt'intorno, non c'è un'anima. Dopo essersi messi in fila, si appoggiano i fiori, si fa un piccolo inchino, e ci si allontana rispettosamente verso il Museo di storia. Lì si trova un'occhialuta signorina Kim in vestito tradizionale di velluto che, serissima, utilizza parole che non si erano mai sentito pronunciare prima: "Questa è una mappa che mostra le navi dei feroci imperialisti che stendono i loro tentacoli avvelenati per stringere la Corea in una morsa".
La sacra famiglia Kim. "Questa è la madre di Kim Il Sung, Grande Leader, che in punto di morte gli consegna la pistola con cui libererà il Paese dal giogo dei demoni giapponesi e dall'aggressione imperialista statunitense" (per qualche motivo, la stessa pistola è in mostra anche altrove). "Questa è la capanna di tronchi trasportata dal Sacro Monte Paekdu, dove è nato suo figlio, Kim Jong Il, il Caro Leader", eccetera. Nelle sale del museo si può vedere che Kim Il Sung, il Grande Leader, fin da bambino era acceso da ardore rivoluzionario, grazie al quale non ha avuto esitazioni nel compiere le sue due Lunghe Marce solitarie, su e giù per i monti impervi del Paese, da dove, praticamente solo, ha sconfitto diavoli giapponesi e imperialisti Usa. Anche il nonno e il bisnonno di Kim Il Sung (Grande Leader) sono stati santificati, attribuendo loro gesta gloriose nella lotta contro i giapponesi e in varie altre azioni patriottiche. Il quadro in cui Kim Il Sung è ritratto insieme alla sua prima moglie, Kim Jong Suk,
e con il figlio Kim Jong Il, li mostra risplendere radiosi come la Santa Trinità. Nel Museo non c'è menzione del fatto che la Corea è stata liberata dall'invasione del Giappone, dopo che questo venne sconfitto dagli Usa, né si cita l'aiuto cinese nel conflitto contro gli americani. Del resto, non si parla nemmeno del fatto che, in realtà, nessuna battaglia sia stata combattuta sul monte Paekdu, o che Kim Il Sung si sia appropriato del nome di un famoso guerrigliero scomparso, ed è stato addestrato nell'esercito sovietico, o ancora che suo figlio non è nato sulla montagna sacra in mezzo a neve e lupi, bensì in un ospedale dell'Urss. Ma non è questo che conta: siamo testimoni del processo di creazione di una religione complessa e strutturata, dove Kim il padre, prodotto di una lunga stirpe eroica che irradia grandezza, è la figura centrale. La fedeltà ai dettagli storici in confronto è una quisquilia.
Di ritorno in albergo, c'è tempo per vedere il telegiornale: una signora con un vestito tradizionale rosa legge con enfasi e trasporto un testo che deve avere a che fare con Kim Jong Il, il Caro Leader, il primo presidente socialista a ricoprire una carica ereditaria (promosso l'anno scorso a Grande Leader), dal momento che il suo nome risuona con frequenza. Kim viene mostrato mentre osserva con soddisfazione patate e cetrioli: si tratta di esemplari speciali, dal momento che la Corea avrebbe sviluppato nuove semenze per entrambi questi vegetali, e il risultato dovrebbe essere rivoluzionario.
Bambini a spazzare le strade, adulti nei campi. Quest'anno è Juche 88, dal momento che gli anni sono contati a partire dal 1912, quando è nato Kim Il Sung, portando con sé in questo mondo la Grande Idea Juche, una forma di autarchia. Juche non ha però impedito alla Corea di farsi aiutare massicciamente dalla Cina e dalla Russia negli anni in cui il comunismo era ancora forte. Ma da quando i Paesi ex-sovietici, o convertitisi all'economia di mercato, hanno cominciato a chiedere di essere pagati in valuta invece che in natura, la Corea, priva di strutture agricole e industriali sufficienti, ha conosciuto un declino che ha portato il Paese alla fame. Juche 88 è stato annunciato come l'anno in cui l'economia si riprenderà, come dice il Pyongyang Times, il settimanale in lingua inglese: "Tutti sono mobilitati nel trapianto del riso, per arrivare a una svolta decisiva nella produzione agricola che sarà vitale per la costruzione di una nazione potente". In realtà, siamo di fronte a una massiccia e delirante mobilit
azione collettiva: il sabato pomeriggio si vedono gruppi di bambini magrissimi che spazzano le strade, innaffiano i fiori, o sistemano graziosi sassi bianchi intorno agli alberi. Ogni adulto, invece, deve contribuire con una settimana di lavoro nei campi, indipendentemente dalla sua professione abituale, per aiutare nella "lotta" del trapianto dei germogli di riso. Uscendo dalla capitale nel fine settimana si passa di fianco a colonne di persone che marciano nell'autostrada enorme e deserta, con piccoli sacchi bianchi sulle spalle, per recarsi nelle campagne e portare avanti la "rivoluzione agricola".
Malgrado l'ovvio fallimento della politica di Kim, la Torre dell'Idea Juche sovrasta Pyongyang, una colonna di cemento alta 170 metri con una fiaccola rossa in cima, illuminata di notte. I successi dell'Idea Juche sono in mostra nella Esibizione delle Tre Rivoluzioni, che occupa sei padiglioni. Una nuova signorina Kim accompagna i visitatori nel padiglione dell'agricoltura e in quello dell'industria leggera, dove si può ammirare tutto ciò che la terra produce, e dove viene detto che no, non si sono davvero viste le persone notate per la strada, piegate sotto sacchi di riso con scritto "aiuti Usa". L'entusiasta signorina Kim si sofferma per un momento davanti a patate e cetrioli, informando ancora sulle nuove semenze. Nel padiglione dell'industria leggera dove tutto è Made in the Dprk (Democratic people republic of Korea), si vede una jeep americana degli anni Trenta che è stata prima copiata dai sovietici, poi dai cinesi e, ora, dai coreani. Guardando dietro i prodotti in mostra, però, si possono ancora vede
re delle etichette con caratteri cinesi o lettere cirilliche che devono essere state dimenticate, o che forse sono invisibili a visitatori più fiduciosi.
Nondimeno, le persone coperte di stracci che si vedono in tutta Pyongyang mentre cercano piante commestibili sulle colline e nei parchi pubblici, sono troppo frequenti e numerose per dire semplicemente che non ci sono. "I vostri giornali occidentali devono davvero aver esagerato le ristrettezze alimentari nel nostro Paese!" esclama uno dei Kim a cui rivolgo la domanda: "E ovvio che non stanno raccogliendo erbe per mangiarsele! Le raccolgono per nutrire i conigli. Molta gente a Pyongyang tiene conigli". Malgrado questa rassicurante risposta, viene detto che questo mese le razioni di cibo sono state distribuite solo per dieci giorni, invece degli usuali trenta. Ma anche senza bisogno di fare domande, la malnutrizione è evidente: i bambini hanno i capelli scoloriti e ingialliti, gli adulti hanno gesti lenti, faticosi.
Visitare un negozio si rivela un'impresa ardua: guardando dal finestrino della macchina nella quale i visitatori sono tenuti prigionieri fra uno spostamento e l'altro (camminare per la strada non è praticamente mai consentito), si vedono scaffali semi vuoti, con scarne mercanzie. Dopo due giorni di insistenza vengo prima portata in un negozio per diplomatici, anch'esso sfornito, e finalmente al Supermercato della Stazione, dove ogni sezione ha un solo tipo di prodotto in quantità limitata, sistemato in modo da occupare più spazio possibile. C'è abbondanza solo di bacinelle rosa di plastica, che non sembrano però attirare l'attenzione degli avventori.
La malnutrizione è evidente anche negli allievi della Scuola Modello di Pyongyang, dove il Kim di turno porta in visita gli stranieri. Le pareti della scuola sono ricoperte da murales rivoluzionari e da diversi ritratti di Kim il Padre e Kim il Figlio, che sono anche appesi in ogni aula. Su un muro c'è il disegno di un soldato americano, con la faccia verde e lunghi denti da topo, che viene trapassato dalla lancia scintillante di un coreano fiero e muscoloso.
Dopo un giro in cui ci vengono mostrate le "attività extracurricolari" della scuola, fra cui un laboratorio linguistico, uno di chimica e uno di fisica, una lezione di disegno e una di informatica, su pesanti computer degli anni Settanta, si viene sorpresi dal "Concerto Spontaneo", nel corso del quale ragazzine in raso rosa cantano le glorie di Kim Jong Il, un gruppo di maschietti celebra le gioie di essere Giovani Pionieri, e una bambina vestita di rosso ricorda Kim Il Sung con occhi sognanti.
La farsa continua, giorno dopo giorno, ed è sempre più difficile tollerarla di buon grado: a Myonhyang, una delle stazioni montane preferite da Kim Il Sung, c'è la visita forzata all'esposizione dei doni che tutti i Paesi hanno inviato al Grande Leader (inutile sottolineare che tutti i capi di Stato ricevono simili omaggi), dove la pièce de résistance è una statua di cera di Kim, dono di artisti cinesi. Davanti a questa statua di cera, conservata in una stanza climatizzata, è necessario essere ben vestiti, con tutti i bottoni della giacca ben abbottonati, indossare dei sacchetti intorno alle scarpe per non sciupare il tappeto, e in perfetto silenzio si entra, ci si inchina rispettosamente, ammirando la riproduzione di alberi e fiori e perfino di una leggera brezza che ne smuove le foglie.
Paranoia del pericolo di aggressione. Lo splendore della montagna è stato vandalizzato dalle frasi di Kim Il Sung scolpite nella roccia a lettere alte un paio di metri ciascuna, talmente profonde che, il giorno in cui il Paese si riprenderà dal suo delirio, sarà impossibile cancellarle. Al momento, però, un cambiamento di regime è una fantasia remota: malgrado tutto dia l'impressione di star cadendo inesorabilmente a pezzi, e ognuno debba dedicarsi alla sua stessa sussistenza coltivando a verdure ogni aiuola, la macchina della propaganda procede a tutta forza, perfettamente oliata. Uno dei metodi utilizzati dal regime per mantenere il potere è quello di tenere il più viva possibile la minaccia militare: lungo l'autostrada che va da Panmunjom, il villaggio di frontiera fra le due Coree, e Pyongyang, ogni 500 metri si possono vedere file di carri armati seminascosti da stuoie di paglia che servono più a tenere all'erta la popolazione che a "difendersi" da un improbabile attacco. Sulla stampa ci sono sezioni qu
otidiane dedicate agli orrori perpetrati più di 50 anni fa dai giapponesi, e alle sofferenze inflitte dagli americani durante la guerra di Corea (dato che la versione ufficiale nega che l'attacco sia cominciato dal Nord).
All'interno del Paese, continua a essere impossibile per un visitatore esterno valutare la gravità della carestia: domande esplicite vengono ricusate con un ricco bouquet di assurdità, e i posti in cui si viene condotti non sono certo quelli che mostrano le peggiori cicatrici. Perfino l'organizzazione medica Médecins sans frontières è stata spinta, l'anno scorso, ad abbandonare il paese, esasperata dalla mancanza di contatto con la popolazione. Gli aiuti offerti venivano presi senza indugio, ma, come aveva dichiarato un'infermiera del gruppo, "ogni volta che chiedevamo di visitare bambini, ospedali, case private, venivamo portati in teatrini modello, in cui nulla era verificabile". Nella speranza di costringere la Corea del Nord ad aprirsi maggiormente, Msf ha ritirato la sua missione, promettendo di riaprila solo dietro garanzia di maggior libertà di movimento.
Le prove che qualcosa di gravissimo sta avvenendo all'interno del Paese si trovano però nel nord della Cina, dove scorrono i fiumi Tumen e Yalu. Yanji è una piccola città cinese con forte presenza coreana, situata poco lontano dal fiume Tumen che divide i due Paesi. In inverno il fiume gela, e molti decidono di affrontare i rischi che comporta l'attraversarlo, per andare a cercare cibo sul versante cinese, passando attraverso una zona dove la natura è di una bellezza che toglie il fiato. Per quanto, è difficile che i coreani che scappano dal Nord abbiano molto tempo per ammirare il paesaggio: i ragazzini che si possono incontrare nei mercati raccontano storie tragiche. Molti di loro sono venuti in Cina dopo aver visto i genitori morire di fame: camminando fino alla frontiera, guidati dal bisogno di riempirsi lo stomaco, hanno attraversato il fiume gelato, e da allora vivono della carità della gente, girando il giorno, e dormendo nascosti la notte.
Non esistono "profughi per fame". "Si calcola che le persone venute qui illegalmente dalla Corea del Nord in cerca di cibo siano circa 200 mila", spiega la signora Piao, che si occupa dei bambini rifugiati per fame. "Tecnicamente, i coreani che arrivano qui non sono profughi: scappano per motivi economici e non politici, per cui non hanno un diritto d'asilo internazionalmente riconosciuto, e il governo cinese non ha né la possibilità di far fronte a un'emergenza di questo tipo, né il desiderio di complicare le sue relazioni con Pyongyang". Così, gli adulti che vengono scoperti sono riportati indietro, dove li aspettano alcuni anni di lavori forzati per aver "tradito il Paese" cercando nutrimento all'estero. Secondo quanto si sente dire a Yanji, alcune persone sarebbero state anche giustiziate per aver varcato illegalmente la frontiera ed esposto la vergogna della fame nel Paese. Per i bambini, le autorità cinesi sono disposte a chiudere un occhio, ma non per questo la loro situazione è semplice: spravvivono
grazie alla carità, ma senza alcuna protezione. Alcuni di loro, una volta imparato ad attraversare la frontiera, restano in Cina solo alcune settimane, facendo scorta di cibo e di soldi ricevuti in elemosina, per tornare in Corea, e riscappare quando necessario. "I maschi non li vuole nessuno", commenta un passante che si ferma a parlare con alcuni di questi bambini, talmente malridotti da dimostrare diversi anni in meno della loro età.
"Qui le donne sono poche, per cui una ragazza coreana riesce facilmente a essere presa da una famiglia che ha un figlio da sposare e non trova moglie. Non può avere i documenti in ordine, neanche quando fa figli, ma almeno non muore di fame o di freddo. Certi coreani vengono qui e vendono le donne, il che è vantaggioso per tutti: per le ragazze, perché avranno da mangiare, per gli uomini perché trovano moglie, e per quelli che le hanno vendute, perché possono comprare cibo. Ma dei ragazzini, chi se li prende? Solo la polizia coreana, che viene a riprendersi quelli che scappano". Per ora, la situazione sta solo peggiorando: in diverse occasioni è accaduto che soldati impazziti per la fame attraversassero la frontiera, armi in pugno,esigendo cibo. Succede anche che aumenti la tratta delle donne, che non vengono portate qui solo come mogli, e si sviluppino i diversi racket, tristemente comuni, che si creano intorno a situazioni disperate.
Per quanto sia arduo sapere fino a che punto i racconti dei bambini siano rappresentativi della situazione dell'intero Paese, la loro testimonianza parla di una catastrofe massiccia, tuttora in atto. Gli aiuti internazionali sono distribuiti tramite una gerarchia rigida che privilegia la fedeltà al Partito dei lavoratori e al regime; il che esclude automaticamente chi ha avuto grane con la polizia. "Ho visto solo una volta i sacchi bianchi degli aiuti dall'estero", racconta un bambino, che dimostra la metà dei suoi 15 anni, "per il resto, non so dove vada: tutti hanno fame, anche i soldati".