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Partito Radicale Massimo - 17 luglio 1999
TAIWAN-CINA/LA STAMPA/ANALISI

(La Stampa, quotidiano, Italia, 17 luglio 1999)

Gli Usa alla Cina: non permetteremo conflitti nel Pacifico

Pechino allerta l'esercito. "Taiwan non sarà mai indipendente"

di Fernando Mezzetti

Forze militari nelle regioni costiere meridionali della Cina davanti a Taiwan in stato d'allerta. Crollo della borsa a Taiwan del 6.4 per cento e forte ribasso in quella di Hong Kong, dell'1,8 per cento. Voci di preparativi di Pechino per l'occupazione di due isolotti davanti alla costa continentale ma sotto sovranità taiwanese. Misure di emergenza a Taiwan, con la sospensione di licenze a ufficiali delle guarnigioni sulle isole più esposte a eventuali attacchi.

Sale la tensione tra la Cina popolare, che l'altro giorno ha reso noto di avere la bomba al neutrone, e l'isola nazionalista; gli ambienti economici e finanziari avvertono echi di guerra malgrado i vertici politici delle due parti per ora tacciano. A un monito lanciato l'altro giorno dal ministro della Difesa di Pechino, insieme con editoriali di fuoco del Quotidiano del popolo, corrisponde per ora il silenzio del vertice della Città Proibita, salvo segnali che potrebbe saltare la sua prima missione diplomatica a Taiwan in autunno per normalizzare i rapporti.

A Taiwan, dove il capo dello stato ha attizzato il fuoco parlando dell'isola e della Cina continentale come due "stati sovrani", fonti militari gettano ora acqua affermando di non aver rilevato significativi movimenti militari sul continente.

La stampa di Hong Kong parla invece di spostamenti di truppe, stato di allerta pre-bellico nelle regioni di Nanchino e di Canton e nel Fujien addirittura proclamato con speciale decreto del presidente della repubblica Jiang Zemin, con mobilitazioni di navi e aerei per "esercitazioni" sullo stretto di Taiwan. Ci si avvicina pericolosamente al livello di tensione del 1996, quando alla vigilia delle elezioni presidenziali sull'isola la Cina fece imponenti esercitazioni militari davanti ad essa, con intimidatori lanci di missili. Ciò costrinse gli Stati Uniti, per la prima volta dagli anni Sessanta, a far incrociare nello Stretto due portaerei con squadre d'appoggio.

L'attuale silenzio del vertice di Pechino cela forse sospetti che nella mossa di Lee abbiano lo zampino gli Stati Uniti: dopo l'intervento Nato nel Kosovo la Cina vede parallelismi coi suoi rapporti con Taiwan, e con i suoi problemi interni nel Tibet e nel Xingjang. Washington in un primo momento ha preso le distanze da Taiwan, ma nel salire delle reazioni cinesi il Dipartimento di Stato ha avvertito l'altro giorno che una azione armata di Pechino sull'isola "sarebbe una minaccia alla pace e alla sicurezza nel Pacifico".

Tutto ciò sta accadendo su questioni apparentemente semantiche, ma dal profondo significato politico. Tutto è scoppiato perché sabato scorso, in una intervista alla radio Deutsche Welle, il presidente taiwanese Lee Teng-hui ha affermato che i rapporti tra Taiwan e Pechino debbono essere improntati come tra "stati". La Città Proibita legge in questo un intento di dichiarazione di sovranità come "Repubblica di Taiwan", che sarebbe per essa inaccettabile, considerando l'isola alla stregua di provincia ribelle, non di stato sovrano.

La convivenza fra la Cina popolare e l'isola su cui i nazionalisti si rifugiarono nel '49 si è finora retta sul principio di una sola Cina, di cui l'isola stessa fa parte. Il governo di Taiwan, infatti, non si considera governo dell'isola, ma dell'intera Cina, costretto temporaneamente alla sovranità su un piccolo territorio, essendo il resto controllato dai ribelli comunisti. La denominazione ufficiale dell'isola quale entità politica è infatti "Repubblica di Cina". A Pechino è sempre andato bene così: meglio Taiwan "Repubblica di Cina", continuando a litigare sulla legittimità, piuttosto che uno stato sovrano come "Repubblica di Taiwan".

Tale situazione fu accettata dagli Stati Uniti, dal'49 "protettori" di Taiwan, col comunicato congiunto di Shanghai del febbraio 1972 al termine della visita di Nixon, nel quale si riconosce che "la Cina è una e Taiwan è parte di essa". Non a caso, le prima reazioni di Washington alle dichiarazioni del presidente taiwanese è che essa si attiene ai documenti sottoscritti.

Sulla stessa isola, fino a pochi anni fa, chi osava affermare l'opportunità di proclamarsi stato sovrano come repubblica di Taiwan veniva incarcerato. Ma negli ultimi anni il sistema si è democratizzato, e un partito "indipendentista" ha piena legittimità e rappresentanza in parlamento. Le intimidazioni di Pechino per le elezioni del '96 erano per il timore che vincessero gli "indipendentisti".

Adesso è lo stesso presidente Lee ad accennare velatamente all'indipendenza, mentre altri esponenti mettono in risalto che Pechino non ha mai avuto moderna sovranità su Taiwan: dall'inizio del secolo al '45, era sottoposta al Giappone, e da allora è in mano nazionalista.

 
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