(La Stampa, quotidiano, Italia, 23 luglio '99)
ANTICHI INCUBI A PECHINO
Domenico Quirico
Il potere cinese è ben saldo. Inutile farsi illusioni. Il brusio ora sommesso ora tumultuoso dei reduci di Tienanmen ormai è più legato alla biografie di questi coraggiosi, tenaci oppositori che alla realtà politica del Paese. Anche le turbolenze economiche dell'Asia non hanno fatto emergere la fragilità di una riforma economica approssimativa, sgualcita dai compromessi con il dirigismo politico e la corruzione; anzi hanno rafforzato il ruolo internazionale di Pechino come bastione della solidità economica del mercato asiatico. I signori della Città Proibita possono così continuare nel loro eterno duello rituale tra riformatori e conservatori, dietro il confortevole sipario della certezza che, comunque, la struttura politica del potere non cambierà. Eppure ci sono due cose che fanno loro paura: il futuro e il passato. Il futuro è tutto quello che le maglie occhiute del controllo, metà comunista e metà confuciano, non riescono a prendere tra le grinfie, a stringere con un cappio. Internet per esempio, che è d
iventata una diabolica ossessione, una letale quinta colonna del Nemico universale. Il silenzio per il potere cinese è uno strumento politico, come la polizia, i comizi e le liturgie di partito. Tutto deve svolgersi senza clamore. Come tollerare tutto ciò che sfugge ai controlli, mette in contatto la gente, alimenta il mormorio universale delle informazioni, dei commenti, delle recriminazioni?
Ma c'è qualcosa di ancor più insidioso: il passato. Quella delle "jiaomen", delle "huitang", le sette, le logge, le società più o meno segrete, è la controstoria della Cina. I dotti confuciani scrivevano le cronache delle dinastie, sempre opulente e soddisfatte. Le cronache delle società segrete erano il mondo degli altri, dei poveri, dei diseredati, degli insoddisfatti, uno specchio dove nei secoli i rivoluzionari cominciano a vedere riflessa la loro utopia. In un mondo immobile, pietrificato dalla tradizione e dai riti, convertito a un contrito mutismo, ai tempi dei Qing come sotto le dinastie postcomuniste il misticismo, la meditazione, perfino la ginnastica rituale è una forma di rivolta contro il razionalismo confuciano (e marxista).
I dirigenti cinesi conoscono bene la Storia: dai tempi della setta del loto bianco al libretto di Li Hongzi c'è sempre puzza di bruciato. Chi sogna un paradiso, anche se usa molti slogan che piacciono al governo, comunque insinua che il luogo dove vive ancora non gli somiglia; e se vuoi costruire una nuova società è perchè il mandato del cielo della dinastia regnante, che sia un despota mamciù o Jiang Zemin, appare usurato e contestabile. Non diceva forse un antico poverbio: "I funzionari derivano il loro potere dalla legge, il popolo dalle sette"?