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Conferenza Tibet
Partito Radicale Massimo - 18 agosto 1999
CINA/LIBERAL/OPINIONI

(Liberal, settimale, Italia, 19 agosto 1999)

TUTTO QUELLO CHE NON SI DEVE PIU' PENSARE DELLA CINA

di Robert D. Kaplan

Per noi occidentali è un regime che non rispetta i diritti umani. Ma per i suoi abitanti l'attuale governo è quello che nella millenaria storia del Celeste Impero ha garantito più benessere e libertà. Ora Pechino si affaccia al mondo come una grande potenza. Non sarebbe utile capirla un po' di più?

DOVE LA CINA finisce, inizia il regno delle montagne, dei deserti e dei nomadi. Non a caso le frontiere storiche del "Celeste Impero" corrispondono al limite delle terre coltivabili dell'Asia orientale: l'Himalaya a sudovest, il Gobi a nord e i khanati dell'Asia centrale - cos'altro sono le ex Repubbliche sovietiche sorte nel '91? - a ovest. La sua forma ha fatto sì che nei momenti di transizione dinastica il Paese fosse esposto alle ribellioni e alla nascita di regioni nelle mani di "signori della guerra", mentre il governo centrale presentava segni di debolezza cronica. Sia la dinastia Ming che quella Qing collassarono a causa della crescita della popolazione che aveva aumentato la povertà fra i contadini e la ricchezza fra mercanti e signori. I primi si ribellavano per migliorare le loro condizioni, gli altri per sottrarre le loro ricchezze al controllo e alla tassazione imperiale. La stessa vulnerabilità persiste tutt'oggi. Jack A. Goldstone, dell'Università di Toronto, ha scritto che "la combinazione d

i forze emersa nella rivolta di Tienanmen - una coalizione di mercanti, imprenditori, lavoratori urbani, studenti e intellettuali, con alcune sponde all'interno di un regime che è riuscito a sopravvivere solo a causa della lealtà di alcune figure chiave della casta militare e burocratica - è abbastanza in linea con quelle delle rivolte del passato". La leadership cinese ha affrontato la vicenda del 1989 cercando rimedi nella propria storia patria. Sapeva infatti che, come in passato, molti dei dimostranti avevano più a cuore la pancia che la libertà. Sapeva anche che in precedenza l'anarchia, dalle ribellioni ai Ming alla Rivoluzione culturale di Mao, aveva sempre comportato milioni di morti. Per i giornalisti occidentali, per gli intellettuali cresciuti in sicurezza e per gli ambienti più benestanti delle città, un po' di instabilità può essere tranquillamente accettata in nome del cambiamento, ma per i leader cinesi caos e instabilità non sono mai stati situazioni astratte. Deng Xiao-ping, che nel 1989 er

a alla guida del Paese, aveva ben impressa nella sua memoria la scena di suo figlio gettato giù da una finestra da una folla inferocita durante la Rivoluzione culturale. Per soddisfare la popolazione e al contempo prevenire il disordine, dopo Tienanmen, il Partito comunista si è aperto molto più rispetto al passato all'economia e alla società. Mai come nel decennio trascorso tanta gente in Cina aveva visto crescere il proprio livello di benessere, mentre in Russia la democrazia ha portato al collasso e al governo della mafia. I cinesi hanno fatto poi anche esperienza di un aumento della propria libertà personale. Due esperti della Cina, il professor David M. Lampton e l'ambasciatore Burton Levin, hanno notato che il partito ha ridotto il suo controllo sulla società, limitandolo ai media e all'opposizione. I cinesi possono viaggiare, comprare qualsiasi libro o video, aprire conti in banca, vivere insieme se sono gay o non sposati e tante altre cose.

Era da molto tempo che il popolo cinese non assaporava tanta sicurezza e libertà. Agli inizi del secolo, in seguito al collasso nel 1911 della dinastia Qing, la Cina era preda di una violenza generalizzata; il leader nazionalista Chiang Kai-shek era semplicemente il "primus inter pares" di una nazione governata dai signori della guerra. Poi venne la devastante invasione giapponese nella seconda guerra mondiale, che portò la morte a circa 10 milioni di persone. Nel 1949, Mao Tse-tung giunse al potere, scatenando decenni di omicidi di massa e carestie inflitte dall'alto. Ora il regime più liberale della storia cinese è quello più attaccato dai media, dagli intellettuali e dai politici americani, le stesse categorie che in molti casi hanno tollerato gli abusi di Mao e di hiang. L'Occidente giustifica la propria intolleranza dicendo che i nuovi standard di comportamento sui diritti umani hanno un valore mondiale in virtù della vittoria ottenuta dall'Ovest nella guerra fredda. Ma anche seguendo questo schema la

leadership cinese ne esce fuori bene avendo smantellato il comunismo negli anni Ottanta, ben prima del crollo del Muro. La rivolta di Tienanmen era in una certa misura anche una reazione degli scontenti per i riassetti economici provocati della fine del comunismo. Al momento, il cosiddetto Partito comunista ha meno controllo dell'economia nazionale di quanto lo abbiano i governi francese e italiano. La Russia e alcuni degli ex membri del Patto di Varsavia in procinto di entrare nella Nato devono ancora intraprendere quelle riforme "d'impresa" che i cinesi hanno già portato a termine. D'altronde, se non è vero che la Cina si stia rapidamente liberalizzando, perché la Motorola prevede che quel Paese, agli inizi del prossimo secolo, sarà il più vasto mercato mondiale per la telefonia cellulare? Quando i media riducono la Cina a un governo che opprime i dissidenti, la verità è quasi il contrario: nell'anteporre dal 1989 il successo economico, il governo di Pechino ha scatenato forze sociali che indeboliscono si

gnificativamente il suo controllo. Come al termine delle dinastie Ming e Qing, c'è stato un enorme aumento della popolazione. La politica di un figlio a coppia è morta un decennio fa e la popolazione della Cina si avvicina rapidamente al miliardo e mezzo. La pressione demografica porta a un restringimento della superficie delle terre coltivate, quindi a una diminuzione della disponibilità alimentare e a rivolte contadine contro la corruzione dei funzionari. Sull'onda di questo restringimento, il governo non può impedire a molti milioni di contadini di emigrare dalle zone rurali alle aree urbane. Ebbene, la crescita della popolazione delle città può portare solamente a un aumento degli studenti e delle élite affaristiche interessate a un ampliamento del grado di democratizzazione. Quindi, come le precedenti dinastie, anche questa sarà scossa dai "contadini poveri" e dai "mercanti ricchi". La crescita spaventosa dell'economia cinese ha generato un nuovo sottoproletariato di lavoratori sottopagati delle fabbric

he e dei cantieri, una classe da sempre permeabile alla frustrazione sociale. I più di 100 milioni di lavoratori disoccupati potrebbero a loro volta provocare il caos su larga scala. Fioriscono spaccio di droga, gioco d'azzardo, prostituzione, borseggio e altre attività criminali. Il punto dunque non è il troppo, ma il poco controllo esercitato dal regime di Pechino. Visto che la Cina è cronicamente da sempre a corto d'acqua, che registra uno degli indici d'inquinamento più alti del mondo e che due terzi della popolazione vivono in zone a rischio d'allagamento, il partito ha pochi margini d'errore. A tutti questi problemi invece l'Occidente sa solo dare quella stessa semplice risposta che già forniva ai tempi dei signori della guerra negli anni Venti: democrazia. Ma la democrazia in un Paese con all'incirca cinque volte la popolazione degli Stati Uniti, con una classe media di latta e latenti tensioni etniche, può fare a brandelli quella relativa pace sociale che il partito ha bene o male garantito durante u

na transizione economica dalle dimensioni colossali. Gli intellettuali occidentali con l'occhio fisso sull'Europa giudicano l'autoritarismo cinese con la lente distorta del nazismo tedesco e del comunismo russo. Dimenticano che tutti i sistemi politici hanno peculiari caratteristiche derivanti dalle culture a cui sono applicate. Il comunismo russo, per esempio, fu molto meno influenzato da Karl Marx che dall'assolutismo della Chiesa ortodossa. Il comunismo cinese, almeno dalla morte di Mao nel 1976, è stato influenzato dal pragmatismo confuciano. La comparazione che alcuni commentatori di destra fanno fra l'ascesa della Germania nazista e la rinascita della Cina sono fuorvianti. Dal momento in cui assunse il potere, Hitler impiegò anima e corpo per restringere le libertà individuali; i governanti cinesi le hanno ampliate. Dopo uno iato lungo duecento anni - da quando cioè la dinastia Qing agli albori del diciannovesimo secolo iniziò il suo declino - la Cina si riaffaccia sul palcoscenico mondiale da grande p

otenza. Tutto ciò è perfettamente in linea con la sua storia, ma non con la nostra percezione occidentale, dato che l'ultimo periodo di grandezza cinese prese corpo quando ancora le varie aree del pianeta erano ancora piuttosto isolate. Le direttrici che la Cina intraprenderà in ambito politico e demografico condizioneranno la scena internazionale del XXI secolo in modo significativo. Il controllo di Pechino su una nazione così vasta e popolosa può richiedere più tirannia, non meno. Ma poiché un inasprimento di questa può dare vita a ulteriori tensioni, la Cina potrebbe frantumarsi in feudi economici organizzati attorno ad alcune aree a forte urbanizzazione come Shanghai nel nord e Kunming, a sud, nella provincia dello Yunnan, la cui forza economica si estende già oggi a Laos, Vietnam e Thailandia. "Il futuro della Cina potrebbe essere quello della Grecia antica, con le sue città rivali, i feudi, e una politica a metà fra esigenze commerciali e militarismo", ha scritto Ralph Peters, un ex militare esperto di

sicurezza. L'influenza cinese sta sempre più affermandosi in Asia. Tuttavia, nel trattare con Pechino, un buon inizio per noi sarebbe l'uso di un pizzico di realpolitik e di un po' di conoscenza della sua cultura, invece di una ben poco utile isteria.

(c) The Atlantic Monthly - Pagina 38 - 42

 
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