SOLO UNA QUESTIONE DI FORMA
Anche se il Dalai Lama, alla bella età di sessantaquattro anni, è ancora vivo e vegeto e si dichiara fiducioso di vivere fino a ottant'anni e oltre, Pechino ha raddoppiato i suoi sforzi per far sì che un comunista cinese si reincarni al suo posto. Ha infatti annunciato la creazione di un gruppo speciale per "studiare la questione e preparare una piano". Ha installato in Tibet il suo cosiddetto Panchen Lama nella chiara speranza che, in questo sporco affare, possa favorire la Cina. Ci riferiamo naturalmente a Gyaincain Norbu, che i cinesi cercano, con la forza e l'intimidazione, di far accettare ai tibetani mentre il vero Panchen Lama, il più giovane prigioniero politico del mondo, riconosciuto dal popolo tibetano, è agli arresti in una località sconosciuta, assieme alla sua famiglia, in chissà quali condizioni.
Pechino afferma che la reincarnazione dell'attuale Dalai Lama non sarà uno straniero ma un tibetano nato in territorio cinese, che dovrà essere un patriota e che non dovrà avere alcuna intenzione di dividere il paese. Prerogative simili furono richieste anche alla morte del decimo Panchen Lama, nel 1989. Tuttavia, mentre il requisito di essere un tibetano nato in Cina è un dato oggettivo, come si possono appurare le credenziali patriottiche di un bambino ai suoi primi passi? Sembra che i cinesi si siano fidati delle garanzie offerte in sua vece dai genitori. Siamo indotti quindi a pensare che entrambi i genitori di Gyaincain Norbu siano funzionari patriottici cinesi. Forse, nell'esigere simili condizioni, la Cina desidera far sapere al Dalai Lama dove dovrà rinascere e in quale tipo di famiglia. Un articolo recentemente pubblicato da un giornale cinese, cita quanto dichiarato da Tao Changsong, consigliere politico cinese per il Tibet: se il Dalai Lama sceglierà di nascere fuori dalla Cina, "Pechino dovrà ide
ntificare la reincarnazione di un altro bambino, così come ha fatto per l'undicesimo Panchen Lama". In questi termini, le autorità cinesi sembrano ammettere che quella di Gyaincain Norbu è stata una "designazione" deliberatamente falsa, voluta per punire il Dalai Lama, piuttosto che un "riconoscimento" solenne del Panchen Lama secondo la stretta tradizione religiosa.
In ogni caso, Pechino sembra almeno avere risposto a quanto dichiarato dal Dalai Lama nel 1997, quando affermò che, fino a quando la questione tibetana non avesse trovato una soluzione, la sua reincarnazione sarebbe sicuramente rinata al di fuori dei territori controllati dai cinesi.
E perché la Cina fa tanto chiasso per il riconoscimento di una persona che non considera più un capo spirituale, ma un separatista?
Avendo il potere di gestire la macchina dello stato e di usarla a suo piacimento, a Pechino, ovviamente, non importa di avere recepito in modo completamente errato il concetto di reincarnazione, in base al quale un reincarnato è esattamente la stessa persona che lo ha preceduto. Ciò significa che il quindicesimo Dalai Lama sarà quello stesso quattordicesimo che Pechino afferma non essere più un capo spirituale e con il quale non vuole avere più nulla a che fare. Inoltre è lo stesso lama, e non coloro che cercano di identificare la sua reincarnazione, a decidere se si reincarnerà e, in caso affermativo, dove e quando. Per adempiere la loro missione, coloro i quali hanno l'incarico di individuare la reincarnazione devono essere guidati dalle divinità e saper interpretare in modo corretto, dal punto di vista religioso, tutti i simboli favorevoli: veri e propri anatemi, in realtà, per il credo comunista cinese.
Gli inopportuni preparativi di Pechino per la designazione del quindicesimo Dalai Lama sono molto sconcertanti. Secondo la tradizione tibetana, parlare della prossima morte di un lama ancora vivente è estremamente riprovevole, quasi blasfemo. Inoltre, cosa fa credere a Pechino, con tanta sicurezza, che il momento di riconoscere la reincarnazione del Dalai Lama sia così vicino? Dobbiamo prendere sul serio le notizie pubblicate recentemente da alcuni giornali secondo le quali presunte spie cinesi sono state sorprese ad aggirarsi in modo furtivo nella residenza del Dalai Lama? La Cina comunista ha forse deciso che il tempo del quattordicesimo Dalai Lama è finito e che è arrivato il momento giusto per un falso ma più arrendevole Quindicesimo? Dopo tutto i tibetani non hanno bisogno di lezioni sulla capacità di perfidia della Cina.
Dobbiamo prendere nota di un altro aspetto della questione. La possibilità che, sotto il governo comunista cinese, possa essere stipulato un negoziato sino-tibetano, sembra essere completamente svanita: a parte le esplicite dichiarazioni di Pechino, ne è prova evidente la repressione in puro stile "rivoluzione culturale" in atto in Tibet e le parole ingiuriose usate per denigrare il Dalai Lama, per non parlare dei preparativi in atto per la nomina di una sua reincarnazione "cinese". A quanto pare, la Cina non ha ancora designato un suo Dalai Lama perché quello in esilio è ancora vivo. Tuttavia, dichiarando che l'attuale Dalai Lama non è più un leader spirituale ma un separatista, ha quasi raggiunto il suo obiettivo. Il solo problema è che non esiste alcun metodo o tradizione conosciuta che le consenta di andare oltre perché, dopo tutto, Pechino si preoccupa ancora di conservare una "forma" di rispetto della tradizione religiosa tibetana anche se, tragicamente, non coglie la profonda "sostanza" spirituale che
ne è alla base.
Tibetan Review, Luglio 1999
Traduzione a cura dell'Associazione Italia-Tibet