(Re Nudo, mensile, Italia, dicembre 1999)
Editoriale: UN PAPA BUONO
di Majid Valcarenghi
Il Dalai Lama: leader spirituale e politico insieme.
Re Nudo e' rinato con una bella intervista - a cura del nostro Piero Verni - al 14.o Dalai Lama, e non solo, piu' volte e' stato e sara' amplificatore attento di tutto quello che puo' essere detto e fatto per aiutare la massima autorita' spirituale buddista a sostegno del popolo tibetano.
La recente visita del Dalai Lama in Italia ha tuttavia messo in luce un altro aspetto della figura del leader spirituale tibetano. Ci sono alcune sue frasi che i giornali hanno evidenziato che identificano chiaramente il Dalai Lama come una figura di spicco appartenente al pluralismo religioso delle grandi religioni istituzionali. Il leader buddista ha predicato nella direzione di un ecumenismo religioso da grande capo politico. Egli ha detto: "In generale, salvo rare eccezioni, e' meglio che ognuno rimanga fedele alla propria religione d'origine".
E' apparso chiaro come nulla, nelle parole del Dalai Lama, vada nella direzione di mettere in discussione il ruolo e la funzione delle grandi Chiese che sfruttano il bisogno di spiritualita' dei popoli del mondo. Al contrario, il Dalai Lama si pone, vuole porsi, nell'ambito di queste Chiese pur esprimendone la parte migliore. Rassicurante verso il Vaticano, al quale ancora una volta ha voluto rendere omaggio, ha dichiarato: "Sono felice di incontrare il Papa per parlare di come promuovere l'incontro tra le due diverse tradizioni religiose".
Certo, alle persone piu' sensibili non puo' essere sfuggito il sorriso del Dalai Lama, la dolcezza e l'innocenza che traspaiono dal suo volto, ben diverse dai volti duri scolpiti nella pietra dei papi e degli imam che siamo abituati da anni a vedere sui giornali e in Tv.
Non e' d'altra parte mia intenzione muovere critiche al maestro spirituale di milioni di buddisti, ma solo rilevare una differenza di collocazione del Dalai Lama rispetto ai maestri spirituali che conducono una critica radicale alla religione come "oppio dei popoli", ponendo i buddisti in una sorta di terza via tra le religioni piu' marcatamente repressive nei confronti dell'essere umano e quelle correnti spirituali, come quelle - per esempio - di Osho, Gurdjieff o Krishnamurti, che si pongono in antitesi con il totalitarismo monoteista.