Alla cortese attenzione della redazione de Il Manifesto
Con preghiera di pubblicazione
Firenze, 18 gennaio 2000
Il 9 gennaio e' apparso sul Vs. quotidiano un articolo a firma Enrica Colletti Pischel, dal titolo 'Cina. Una crisi alla frontiera di una nuova guerra fredda'. Raramente in questi anni avevo letto in un solo articolo un cosi' alto numero di verita' rivelate, a chi come me, offuscato dalla propaganda, credeva in una differente realta'. Nell'articolo in questione, con uno spiccato, ma oggettivo, senso dell'umorismo da efficace quanto onesta propaganda Minculpop, il lettore viene finalmente a conoscenza che i barbari monaci buddisti tibetani hanno tenuto sotto il giogo della schiavitu' il loro popolo per secoli, che la Cina ha solo operato in Tibet un'operazione di 'integrazione etnica', nonche' di efficace modernizzazione, tuttavia osteggiata dall'imperialismo USA, che il Tibet non e' mai stato indipendente, che i movimenti di sostegno all'indipendenza tibetana (sottolineo 'indipendenza') sono in realta' strumenti della propaganda anti-cinese americana. E la giustizia storica trionfa quando l'autrice sostiene
che sono stati i giovani tibetani, emancipati dal giogo dei monaci ed educati in senso razionalistico e anti-religioso, a distruggere i monasteri ed i templi in Tibet. Un bel lavoro quest'ultimo: per distruggere oltre 7000 monasteri questi giovani ed emancipati tibetani devono essere stati veramente arrabbiati e ben muniti di particolari attrezzature edilizie. Ce li vedo, dopo l'insurrezione imperialista di Lhasa del 1959, giustamente repressa nel sangue dall'esercito razionalista cinese, prender su piccozza e martelli, e canticchiando come i sette nani, 'andiamo a lavorar', dirigersi verso i monasteri di Drepung o Ganden!
Ed e' storicamente provato che il milione e mezzo di tibetani scomparsi nel nulla dal 1959 ad oggi si sono cosi' bene integrati nel nuovo tessuto sociale del tetto del mondo che se ne sono perse le tracce. E che dire delle falsissime testimonianze dei profughi che vengono lasciati fuggire dagli astuti carcerieri cinesi, dalle comode prigioni cinesi in Tibet (in effetti i campi di prima accoglienza di Patan o Tashiling in Nepal pullulano di numerosissimi agit-prop americani che di questi campi hanno fatto le loro basi per rilassanti trekking himalaiani), e delle numerose (ma i documenti si falsificano) testimonianze storiche che fanno del Tibet un territorio occupato dall'esercito di Liberazione del Popolo. E finalmente l'autrice fa chiarezza sulla attuale politica terroristica di quella cricca di scissionisti del Governo tibetano in esilio che promuove ormai dal 1967 l'autonomia all'interno dello stato cinese (che e' ben piu' grave della richiesta di indipendenza).
L'autrice, prima tra gli occidentali, seconda dopo Pechino, ci apre gli occhi sulla bieca propaganda imperialista che ha indegnamente partorito le numerose risoluzioni che le Nazioni Unite, il Parlamento europeo, e decine di parlamenti nazionali, hanno votato esprimendo una strumentale condanna nei confronti di Pechino per le continue, - cosi' dicono questi pezzi di carta igienica - efferate, violazioni di diritti umani in Tibet, ma anche in postacci come il Turchestan orientale e la Mongolia interna. E vogliamo dire qualcosa anche su quei delinquenti dei dissidenti cinesi che, come Wei Jingsheng, hanno passato buona parte della loro vita nei 'laogai', le famosi 'Disneyland' del Governo cinese. E giustamente Pechino li ha espulsi. Cribbio! Cosa poteva far di loro? Ridurli forse a qualche fegato o rene o cornea da vendere nel mercato clandestino degli organi?
Che dire poi del barbarico buddismo tibetano... Una valutazione oggettiva dettata, si percepisce palesemente, da seri studi che non hanno indotto l'autrice nel pacchiano errore di definire il karmapa 'prima autorita'' nel lignaggio della tradizione buddista dei Karma-kagyu, come vuole la bieca propaganda imperialista USA, ma come 'terza autorita' nella gerarchia delle reincarnazioni del buddismo tibetano'. Che sarebbe come dire, tanto per fare un esempio storicamente corretto, che il Pope di Mosca e' la seconda autorita' del cattolicesimo europeo...
A parte gli scherzi l'articolo della Colletti Pischel si commenta da solo. Introduce, dopo tanti anni, con leggerezza tipicamente asiatica lo spirito dei libretti rossi della Rivoluzione Culturale nell'ambito di una delle grandi 'diluizioni etniche' di quel continente: un vero genocidio che sta facendo scomparire un popolo, con la sua cultura, la sua lingua, la sua religione.
Via un po' di umilta', un po' di serena analisi dei fatti storici. Non si chiede altro da un quotidiano che da sempre e' attento ai diritti dei popoli dimenticati ed offesi dalle continue violazioni dei diritti umani come i kurdi, i sahrawi, i palestinesi, gli aborigeni, gli indios amazzonici o gli indiani d'america. Ma forse questi popoli, secondo una qualche strana classificazione appartengono alla sinistra, mentre i tibetani sono solo uno strumento della propaganda imperialista.
So bene che non pubblicherete mai questa lettera, ma vorrei concludere affermando che in nessuna forma lo spirito di chi si muove per la liberta' del Tibet occupato e' contrario alle tradizioni secolari del popolo cinese, che se da una parte e' vero che e' formato da numerose etnie, dall'altra va detto che queste etnie (57 come si legge negli opuscoli del Governo, ma ben poca cosa se le paragoniamo con la stragrande maggioranza etnica 'han') sono tenute strettamente sotto controllo militare. Va da se' che la campagna nonviolenta per la liberta' del Tibet e' diretta anche per ottenere la liberta' del popolo cinese e di tutte le sue etnie dalle continue violazioni dei diritti della persona della dittatura piu' grande del mondo. E per dire basta alle banali falsita' di chi si scorda, o non sa per cultura, quali siano i principi che danno vita ad una pur traballante democrazia. Ma forse l'autrice e' ferma alle quattro modernizzazioni denghiane.
Tashi delek
Massimo Lensi
(Associazione per la Democrazia in Cina)