Bollettino di informazione sulle campagne del Partito Radicale transnazionale per la liberta' del Tibet e per la democrazia in Cina.
Numero 80 del 29 maggio 2000 (Anno V)
Redazione: Massimo Lensi
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"I truly believe that individuals can make a difference in society. Since periods of great change such as the present one come so rarely in human history, it is up to each of us to make the best use of our time to help create a happier world".
Tenzin GYATSO, the Fourteenth Dalai Lama, 1992
Pubblicato in inglese, francese, spagnolo e italiano.
BASTA CON L'IPOCRISIA DEI GOVERNI DEI PAESI DEMOCRATICI: PER IL TIBET NUOVO STATUS DI PIENA AUTONOMIA ENTRO TRE ANNI, ALTRIMENTI RISCONOSCIMENTO INTERNAZIONALE.
Dal 12 al 14 maggio si e' svolta a Berlino la III Conferenza Internazionale dei Gruppi di Sostegno al Tibet. Alla presenza del Dalai Lama, del Presidente del Parlamento tibetano in esilio Samdhong Rinpoche, dei membri del Kashag e di numerosi ospiti da tutto il mondo, i 282 rappresentanti dei TSG hanno discusso sul futuro della campagna per la liberta' del Tibet occupato.
Il lungo documento approvato definisce una lunga serie di iniziative e un Network dei TSG sparsi in 52 paesi del mondo.
Nella parte introduttiva del documento e' stata anche recepita, seppur con qualche imprecisione, la proposta fatta a Berlino dal Segretario del Partito Radicale. Una proposta rivolta in primo luogo ai governi dei paesi democratici. Un nuovo status del Tibet verra' concordato entro tre anni tra le autorita' di Pechino ed il governo tibetano in esilio, oppure i Paesi democratici procederanno al riconoscimento del Tibet.
Se e' vero che l'avversario principale rimane senza dubbio il Governo di Pechino, non e' possibile procedere in questo cammino se non denunciando a chiara voce anche la posizione dell'Occidente democratico. L'ormai lunga esperienza collettiva ha messo in evidenza - in Europa come negli altri continenti - l'ipocrisia di gran parte dei Governi occidentali e democratici.
Questi infatti se con una mano condannano, apparentemente senza problemi, le violazioni dei diritti umani in Tibet, con l'altra siglano con la RPC importanti accordi economici e commerciali, annullando nei fatti l'incisivita' di tali condanne; come anche le conclusioni dei lavori della Commissione ONU di Ginevra degli ultimi anni dimostrano.
La politica imperniata interamente sui diritti umani, che fino ad oggi e' stata la principale strategia di lotta, ha mostrato senza possibilita' di appello tutta la sua debolezza. Una 'politica' che ha avuto anche la scellerata responsabilita' di creare il mediatico 'Tibet Virtuale', ad Hollywood, nei grandi concerti, nella 'Dalai-mania' occidentale al fine di far dimenticare il lontano 'Tibet Reale', quello occupato dall'esercito cinese nel 1949 e trasformato da Pechino in Lamaland, una immensa quanto surreale 'riserva naturale' per il turismo internazionale e cinese, sempre piu' spogliata di qualsiasi identita' sociale, religiosa, culturale e politica.
Per approfondire meglio questo abbozzo di proposta abbiamo deciso di pubblicare parte dei due interventi radicali a Berlino che ci accingiamo brevemente ad introdurre. Il primo, del Segretario del Partito Radicale Transnazionale e deputato europeo Olivier DUPUIS, riprende il filo dei rapporti tra radicali e autorita' tibetane a tre anni dalla manifestazione di Ginevra del 10 marzo 1977 ed individua nell'impegno dei Governi a riconoscere il Tibet entro tre anni dall'assunzione della decisione, la nuova strategia per giungere ad un accordo negoziale con Pechino, sotto il controllo del Segretario Generale delle NU, su di un nuovo status di piena autonomia politica, economica, sociale e culturale.
Il secondo e' della leader radicale e deputato europeo Emma BONINO che rilancia a partire da un articolo pubblicato sul quotidiano italiano 'La Stampa' del 27 ottobre 1999 (1) la proposta di fare del Tibet occupato una vera iniziativa internazionale abbandonando il metodo delle trattative parallele o segrete tra autorita' tibetane e cinesi.
Entrambi gli interventi cosi' come il documento approvato dalla Conferenza di Berlino sono disponibili nella versione integrale (in varie lingue) sul sito www.radicalparty.org
Ovviamente sono benvenute le riflessioni: da inviare a pr.bruxelles@agora.it
Buona lettura
(1) In 'Cina-Tibet Fax' n. 78 del 1 novembre 1999.
III CONFERENZA INTERNAZIONALE DEI GRUPPI DI SOSTEGNO AL TIBET
(Berlino, 12-14 maggio 2000)
* Stralci dell'intervento di Olivier DUPUIS, segretario del Partito Radicale Transnazionale e deputato europeo
carissime amiche, carissimi amici,
dopo tre anni di strade separate, sono particolarmente commosso di ritrovarmi oggi con voi, tra di voi. Credendo come voi che la franchezza sia essenziale al dialogo vero, proficuo, costruttivo, comincero' subito col dire che non credo che la lontananza tra voi ed il Partito Radicale Transnazionale sia dovuta a equivoci ed incomprensioni.
Dopo tre anni di grande impegno comune, di successi politici assolutamente rilevanti - e che non staro' qui a ricordare -, di forte crescita del movimento mondiale per la liberta' del Tibet in quanto movimento organizzato, nel 1997 le nostre strade si sono separate per delle ragioni prettamente politiche. Di questo ero e sono tuttora profondamente convinto. C'e' stato chi, nel 1997, ha giudicato e scelto, in modo, ovviamente, perfettamente legittimo, che la strada dei negoziati riservati con le autorita' cinesi doveva avere la precedenza assoluta su ogni altra considerazione politica e che, conseguentemente, ha ritenuto che le modalita' migliori per perseguire questa strada esigevano un "rallentamento", un "raffredamento" della mobilitazione mondiale, soprattutto nel sua componente piu' visibile, piu' pubblica.
(...)
La nostra diversa valutazione di allora e di oggi riguardava altro. Riguardava la strategia per conseguire questo obiettivo. Noi credevamo e crediamo che, vista in particolare la natura dell'avversario - un regime autoritario e antidemocratico, qualsiasi negoziato deve iscriversi entro un minimo di regole e di modalita' di svolgimento chiare e certe, in modo tale da impedire che l'interlocutore pi- forte abbia un potere discrezionale assoluto, non debba mai rispondere a nessuno delle sue scelte. Per questo abbiamo ritenuto e riteniamo tuttora che questi negoziati si debbano assolutamente svolgere sotto la tutela di un organismo terzo, un organismo in grado, appunto, di fare rispettare le modalita' del "dialogo" che le due parti devono svolgere. Per questo ma anche per le responsabilita' assunte in passato dalle Nazioni Unite riguardo al Tibet, abbiamo ritenuto e riteniamo tuttora che la tutela di questo negoziato debba essere assunta dal Segretario Generale delle Nazioni Unite.
(...)
Ero e rimango assolutamente convinto che nel 1996 e nel 1997, questa forza, questo movimento nonviolento, questo Satyagraha mondiale poteva nascere e, per certi versi, stava gia' nascendo. Seppur con difficolta' maggiori dovute soprattutto alla ulteriore deriva autoritaria e nazionalista della Cina, ma anche con alcune evoluzioni positive, a cominciare dalla presa di coscienza del ruolo che gli impone il suo stato di democrazia piu' popolata del mondo che si riscontra sempre piu' in India, sono convinto che, lavorando sodo, ci sono tuttora tutte le condizioni per fare nascere, rinascere questo Satyagraha mondiale per il Tibet.
C'e' infine la dimensione "tempo". Con le sue tragiche conseguenze sul Tibet stesso, sempre pi- diluito in una massa inarrestabile di coloni cinesi, sempre piu' ferito nella sua identita', nella sua integrita'. Credo quindi che sia giunta l'ora di fare della questione tempo, un elemento centrale della nostra strategia, perche' unico elemento che possa obbligare le autorita' cinesi ad avviare un vero dialogo e le autorita' dei paesi democratici a sostenerlo senza ulteriore ipocrisie ma, invece, con forza e determinazione.
Sono profondamente convinto che, a questo punto, il Satyagraha mondiale per la liberta' del Tibet dovrebbe ora proporsi e proporre ai governi e ai parlamenti di tutti i paesi democratici del mondo di impegnarsi a riconoscere l'indipendenza del Tibet se, entro tre anni, dal momento della comunicazione di questa decisione, le autorita' di Pechino e il governo tibetano in esilio non avranno concordato e approvato uno status di autonomia soddisfacente per il Tibet.
Organizzandoci da subito e ovunque nel mondo con nuove mozioni e risoluzioni nei Parlamenti, nelle istituzioni internazionali, nei consigli regionali, municipali, con manifestazione nello stesso giorno in centinaia e centinaia di citta', con digiuni, scioperi della fame e tante altre iniziative nonviolente che la nostra fantasia non manchera' di concepire.
* Parte conclusiva dell'intervento di Emma BONINO, deputato europeo, leader radicale.
(...)
Questa ondata liberatrice, che pure sembrava incontenibile, e' stata rallentata in tempi piu' recenti - esprimo ovviamente un mio personale parere - da due diversi miraggi.
L'uno e' il miraggio che definirei della "dalaimania": la speranza, purtroppo illusoria, che l'esplodere in Occidente della simpatia per il Tibet, il trasformarsi di questa simpatia in una moda intellettuale ed esistenziale capace di espugnare Hollywood e di dar vita ad un ambiguo big business politico-spirituale; che tutto questo, dicevo, potesse costituire una conquista in se': che potesse essere un surrogato, un succedaneo della liberazione per alleviare l'esilio.
L'altro miraggio ha ingannato coloro, tibetani e non, i quali hanno creduto nell'inevitabilita' del passaggio - in Cina - dalle riforme economiche a quelle politiche, dal liberalismo economico alle liberta' individuali. Il che, come sappiamo, non e' successo.
E infatti, la nebbia politico-diplomatica che per qualche tempo ha avvolto la questione tibetana si e' dissolta solo quando - non molto tempo fa - il Dalai Lama ha annunciato che i negoziati segreti con Pechino erano stati, per decisione unilaterale delle autorita' cinesi, interrotti. L'ora della chiusura e del ritorno alla repressione e' suonata: per il Tibet come per Taiwan, per le isole Spratley, per la democratizzazione interna. Cosi' stanno le cose, ma l'Occidente ancora stenta a decifrare i comportamenti di Pechino verso il mondo esterno, stenta a capire che il regime - detto in parole povere - ha perso il pelo ma non il vizio.
C'e' da chiedersi se l'intera politica asiatica dell'Occidente, fondata su una "partnership" privilegiata con Pechino, non sia da rivedere. Se l'idea di una "transizione senza avventure", fondata sulla modernizzazione, che ha guidato le scelte delle diplomazie occidentali non abbia finito per consolidare il ruolo del partito-stato. E' vero infatti che si e' aperto un mercato immenso, ma esso non e' ne' libero ne' regolato, e cominciamo appena a conoscere i giganteschi costi politici e sociali che questa "crescita senza diritto" sta comportando. In Cina, della tradizione comunista sopravvive tutto il peggio e tutto l'essenziale. L'impronta tecnocratica. Il controllo statale dei meccanismi della vita produttiva e della stessa iniziativa privata. La repressione di ogni forma di conflitto sociale e politico.
Smettiamo di tapparci gli occhi. Progressi reali in termini di democrazia e di rispetto dei diritti fondamentali in Cina e nei territori occupati del Tibet, del Turkestan orientale e della Mongolia interna devono diventare il perno su cui gli Europei devono fondare i loro rapporti, economici, culturali e politici, con Pechino.
Agli insuccessi della Realpolitik occidentale, non proponiamo di rispondere in modo astratto. Qualunque ipotesi di boicottaggio economico, di "isolamento" commerciale, sarebbe destinato a rimanere sulla carta. Bisogna pero' cambiare obiettivo: invece di continuare ad assecondare il processo in atto in Cina (con l'intento piu' o meno vago di limitarne gli eccessi) dobbiamo cercare di influire su tale processo, fino a invertirne l'attuale tendenza di fondo, che e' conservatrice. A cominciare dal caso concreto del Tibet. Non affidare alle diplomazie nazionali o parallele la "trattativa" con il regime di Pechino, ma farne l'oggetto di una vera iniziativa internazionale.