Di Fausto Biloslavo
(Panorama, 5 giugno 1997)
La vecchia fabbrica Koran per carri armati ha mantenuto solo una patetica scritta all'entrata, che non si illumina da tempo. Ora ospita gli uffici governativi della presidenza della Republika Srpska, il 49 per cento della Bosnia Erzegovina. Ufficialmente la padrona di casa è la lady di ferro dei Balcani, Biljana Plavsic, che da tempo preferisce i palazzi di Banja Luka, nel Nord ovest della repubblica, lontani da Pale. Forse perché a Koran rischierebbe di incrociare spesso Radovan Karadzic, leader storico dei serbi in Bosnia, il ricercato numero uno per i crimini di guerra nell'ex Jugoslavia, con i quale non intrattiene più gli ottimi rapporti di un tempo. Pale è un'ex località di villeggiatura a quindici chilometri da Sarajevo, la capitale bosniaca. Durante la guerra questo paesotto è diventato famoso come quartier generale dei politici serbi, raramente sfiorato dalla furia dei combattimenti. Davanti all'ex stabilimento di tank, i poliziotti serbi sono in tenuta da combattimento.
Dopo il controllo di sicurezza proseguo scortato fino a una hall dove attende un generale in borghese per accompagnarmi al secondo piano. Rimango solo per qualche minuto e poi, alle 12.15 di un venerdì di maggio, apre la porta ed entra Karadzic, l'uomo più odiato della Bosnia. Sfoggia un sorriso e si affretta a confermare: "Come vede sto bene, è tutto ok".
La comunità internazionale gli ha imposto di abbandonare tutte le cariche ufficiali, di non comparire né in pubblico né sui media, e teoricamente di non influenzare la scena politica locale. Su di lui e sul generale Mladic il tribunale dell'Aja ha emesso due atti d'accusa nel '95 per genocidio, crimini contro l'umanità, mancato rispetto della convenzione di Ginevra e gravi violazioni della legge di guerra, spiccando anche mandati di cattura internazionali. Karadzic ha sempre respinto le accuse con sdegno, ma ora spiega sardonico che "si occupa più di economia che di politica, perché il paese ha bisogno di risollevarsi". L'accordo era chiaro: nessuna intervista, solo un breve incontro di cinque minuti. Il primo con un giornalista occidentale.
La zona di Pale è nel settore di controllo del contingente italiano composto da 1.782 uomini. Il primo reparto in pattuglia che incontro, subito dopo essere uscito dall'ufficio di Karadzic, è composto da un blindato e una camionetta con la bandiera di San Marco dei fanti di marina. Sono a cinque chilometri dal super ricercato dell'Aja, quasi al bivio della strada tra Sarajevo e Rogatica. "Abbiamo il compito di arrestare gli accusati dal tribunale solo se ci passano davanti, li riconosciamo e siamo in condizioni di sicurezza per farlo" spiega il generale Mauro Del Vecchio, 51 anni.
A questo problema sta pensando l'alto comando della Nato a Bruxelles di concerto con Washington, Parigi e Londra. E' pronto il piano per un blitz di forze speciali combinate di vari paesi, che avrebbero già inviato in Bosnia degli uomini in ricognizione. L'operazione, senza coinvolgimento diretto delle truppe multinazionali presenti in zona, durerebbe 18 ore. Centinaia di uomini impiegati e trasportati via elicottero sotto il comando Nato e del Pentagono. Obiettivo: catturare il più alto numero di presunti criminali di guerra e primo fra tutti Karadzic, che secondo una fonte della comunità internazionale "non giungerebbe mai vivo davanti ai giudici dell'Aja". Gli italiani sono restii a queste azioni spettacolari, ma in caso di luce verde non avrebbero voce in capitolo per fermare gli eventi.