Il Tribunale dell'Aja non ha processato un solo criminale di guerra. E Karadzic è diventato un signor nessuno
Di Enzo Bettiza
(Panorama, 5 giugno 1997)
Il tribunale internazionale peri crimini di guerra nell'ex Jugoslavia venne insediato dalle Nazioni Unite a L'Aja nel 1993. Da allora sono passati quattro anni. Nel frattempo si è almeno temporaneamente conclusa, in base agli accordi di Dayton, l'atroce quanto strana guerra avviata nel 1992 dai serbi prima contro gli sloveni, poi contro i croati e infine , toccando l'apice dell'eliminazione genocida, contro i musulmani slavi della Bosnia Erzegovina.
Guerra strana oltreché atroce, come ho detto. Strana perché, pur terminata con la cifra ufficiale di 250 mila morti, che secondo stime meno ufficiali potrebbero essere 500 mila, non ha mai avuto il carattere di una guerra di tipo tradizionale, né di una guerra civile simile a quelle che devastarono la Russia nel 1918 e la Spagna a partire dal 1936. Fatto è che la cosiddetta "guerra" nell'ex Jugoslavia, pur avendo forse prodotto lo stesso numero di vittime che il primo conflitto mondiale inflisse all'Italia, non ha mai presentato gli elementi che, in genere, contraddistinguono le guerre vere, anche quelle civili: nessun fronte di combattimento tracciato con qualche chiarezza sul terreno, nessun piano strategico da nessuna parte, nessun autentico stato maggiore intento a studiare e a prevedere le mosse dello stato maggiore nemico, nessun rispetto per nessuna convenzione internazionale nel trattamento dei prigionieri e dei feriti. Nulla di tutto questo. E nulla ci fu perché quella strana guerra senza guerra er
a stata dominata per tutta la sua durata, dal principio alla fine, da un unico movente iniziale e da un unico obiettivo finale: la "pulizia etnica", cioè il genocidio.
Mai s'era vista in Europa una guerra così falsa, così lunga, così pervasa da una volontà criminale fine a se stessa. Così priva di scontri epici e gloriosi tra grandi eserciti. Nessuno la ricorderà mai, nonostante il numero altissimo delle vittime, col nome di una battaglia famosa come quella del Kosovo nel 1389 o quella di Guadalajara nel 1937. Si ricorderanno Vukovar, Sarajevo, Srebrenica, Omarska, Prijedor, Ahmici, Dubrovnik, Mostar, nomi che non evocano battaglie ma soltanto assedi, cecchinaggi, bombardamenti culturicidi, terrificanti mattanze, campi di sterminio e di stupro. Mai, quindi, come in questo caso singolarissimo, era apparsa altrettanto necessaria e doverosa la costituzione di un tribunale morale che potesse rendere alfine giustizia ai morti di una non guerra ispirata puramente al crimine.
Al tempo stesso, mai s'era vista una farsa morale, legale e internazionale come quella che continua a promanare dagli atti equivoci e dai processi omeopatici del tribunale per i "crimini di guerra" nell'ex Jugoslavia. La mistificazione era già presente, fin dall'inizio, nel termine che presupponeva lo svolgersi di una guerra che non c'è mai stata, il rispetto o l'infrazione di una convenzione di Ginevra che solo eserciti legali di stati legali possono o rispettare o violare. Ma quale rendiconto morale e giuridico potrà mai chiedere il tribunale dell'Aja al "criminale di guerra" serbobosniaco Karadzic, il cui nome figura al primo posto nella lunga lista dei contumaci impuniti? Karadzic, che ordinava i bombardamenti di Sarajevo e gli eccidi di Srebrenica sostenendo che erano i musulmani a massacrare se stessi, era ed è, sul piano della legalità internazionale, nessuno: già presidente fantasma di uno stato fantasma, la "Repubblica serba" di Bosnia non riconosciuta da alcuno, è stato ulteriormente delegittimat
o e per così dire anonimizzato nel momento in cui le circostanze "belliche" sfavorevoli l'hanno costretto a "dimettersi" nella sua spettrale carica presidenziale.
Il reale metro giuridico che dovrebbe essere applicato all'imputazione di Karadzic non è quello, a suo modo più elevato, della criminalità bellica ma della criminalità comune. Ora, mentre a l'Aja si processano e condannano con il contagocce gli esponenti più bassi della manovalanza omicida bosniaca, il numero uno dei criminali comuni circola ancora liberamente per gli uffici della sua fantomatica residenza governativa di Pale, sotto gli occhi dei carabinieri italiani incorporati nel contingente Nato. Basta leggere l'impressionante servizio di Fausto Biloslavo, che pubblichiamo in queste pagine per rendersi conto della giungla di paradossi e d'ignavia in cui tutto e tutti sono precipitati: il Tribunale costretto a servirsi di aleatori parametri giuridici e a rovesciare, partendo dal basso, la gerarchia nella scala dei processi e dei processati; i militari della Nato che, per superiori "ragioni politiche", non possono e non vogliono arrestare nessuno; i funzionari dell'Onu e gli alti commissari dell'Osce che d
icono che gli arresti andrebbero eseguiti, soggiungendo di non sapere come né quando.
In altre parole, tutto e tutti appaiono invischiati e paralizzati, tranne i criminali della libertà. Raramente s'era potuto assistere a una simile commedia, con gendarmi che fingono di non vedere e malviventi che neppure fingono di nascondersi. Altro che Norimberga. Ci sarà mai un Wiesenthal che darà la caccia ai criminali comuni della Bosnia, cetnici o ustascia che siano? Ci sarà mai un Goldhagen, che ha pubblicato nel
1996 il suo bestseller sui volenterosi carnefici di Hitler, a raccontare l'olocausto bosniaco che, alla vigilia dello stesso 1996, è stato perpetrato dai volonterosissimi carnefici di Karadzic e di Mladic?