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Conferenza Tribunale internazionale
Castellino Susi - 5 dicembre 1997
IL FOGLIO
Martedì, 25 novembre 1997

SIGNOR DIRETTORE

I reati contro l'umanità non hanno frontiere, appello per il diritto di ingerenza giudiziaria

Questo secolo è destinato a restare nella storia anche per alcune delle più grandi carneficine cui l'umanità abbia mai dovuto assistere. Al di là delle guerre, i genocidi e i crimini contro l'umanità si sono susseguiti con scoraggiante regolarità: dagli ebrei agli armeni, ai curdi, ai cambogiani, fino agli eccidi compiuti nella ex Jugoslavia o nella regione africana dei Grandi Laghi, per non parlare della tragedia del popolo algerino cui assistiamo impotenti.

Se non vogliamo che Auschwitz resti il simbolo di un secolo in cui l'uomo, grazie ai progressi della scienza e della tecnica, ha perfezionato gli strumenti di sterminio e di tortura dei suoi simili e se vogliamo affrontare il nuovo millennio con un messaggio di fiducia e di speranza, è necessario che la comunità internazionale si doti degli strumenti per impedire il ripetersi di simili tragedie. Occorre agire subito, rispondendo all'invito dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite e convocare a Roma, nel corso del 1998, una Conferenza diplomatica destinata a istituire una Corte penale internazionale permanente.

La mia esperienza di Commissaria europea agli aiuti umanitari mi insegna che alla radice delle grandi emergenze umanitarie contemporanee si trova sempre la violazione sistematica del diritto internazionale e delle convenzioni umanitarie. Dalla violazione delle regole nascono i crimini di guerra e quelli contro l'umanità. La nostra idea - che ha cessato da tempo di apparire come un'utopia - è di creare un deterrente giudiziario contro questi delitti internazionalizzando la giurisdizione riguardante i crimini più gravi, istituzionalizzando la cosiddetta "ingerenza giudiziaria" affinché le frontiere nazionali non si trasformino in strumenti di impunità.

Dopo la guerra, si sa, forte è la voglia di dimenticare e diffuso è il timore che la ricerca degli autori dei crimini possa ostacolare la riconciliazione e il ristabilimento della pace. Ma non è così, chi vuole una pace duratura - non una semplice tregua in attesa della rivincita - deve ristabilire un minimo di giustizia. Se non si sconfigge la cultura dell'impunità, infatti, il desiderio di vendetta rischia di prevalere prima o poi sul desiderio di pace. Il fatto che il progetto di Statuto della Corte escluda come sanzione della pena capitale non può che contribuire a creare una cultura del diritto chiarendo che giustizia non vuol dire vendetta. Il peggior pericolo è quello di creare una istituzione priva di reali poteri, soffocata da procedure macchinose e in fin dei conti incapace di operare in maniera efficace. Occorre comunque, come sottolineato dalla recente dichiarazione di Atlanta, vegliare affinché l'istituenda Corte Penale e internazionale sia retta da regole semplici e chiare e il suo procuratore

generale sia messo al riparo da indebiti condizionamenti a opera dei Stati o di organismi di carattere pubblico come il Consiglio di sicurezza.

Lo abbiamo ribadito alla Conferenza di Roma, dove Francesco Rutelli ha annunciato la decisione del Comune di assegnare il premio per la Pace del 1997 al comitato "Non c'è pace senza giustizia", per le continue e incessanti iniziative che sta portando avanti in tutto il mondo, con il supporto del Partito Radicale, perché la Conferenza Diplomatica istitutiva del tribunale abbia luogo a Roma nel giugno 1998.

Il conto alla rovescia è cominciato, il mondo non tollererà altri incubi.

Emma Bonino

 
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