L'AFRICA A ROMA PER DIRE BASTA AGLI ORRORIDi: Stefano Palumbo
"Avvisiamo i signori passeggeri che la città di Dakar è colpita da un black out, stiamo tentando un atterraggio di emergenza". Pochi secondi e il vecchio Boeing dell'Air Afrique atterra nel buio più totale, un po' tesi ci accingiamo a lasciare l'aeromobile, scendendo da una scaletta vagamente incerta che ci lascia a piedi sulla piattaforma di atterraggio dell'aeroporto. Il nero, nel senso assoluto del termine, ci avvolge e ci dirigiamo versa quella che il presidente del Senegal Monsieur Abdou Diouf ci aveva segnalato come il salone d'onore, molto di più di una saletta vip, un vero e proprio parco protetto per zanzare e pappataci. Tiriamo fuori le bombole di Autan che con tanta preoccupazione ci siamo portati dall'Italia, e veniamo caricati su un pullman, per così dire.
La prima tappa e il Palazzo dei Congressi del Senegal, una struttura faraonica, attigua al miglior albergo del Senegal. C'è un'atmosfera di grande relax, come se non ci si rendesse conto di quello che sta per accadere. Entrano uno dopo l'altro un uomo e una donna, bianchi, forse due turisti di passaggio, si registrano regolarmente in albergo, persone comuni. Chi avrebbe mai detto che si trattava del finanziere più ricco del mondo e della commissaria europea più famosa del mondo?
Ma la notizia che la settimana scorsa Emma Bonino e George Soros erano in Africa, invitati dall'Associazione "Non c'è Pace Senza Giustizia", insieme ai delegati governativi di tutti i Paesi africani, per parlare del Tribunale internazionale permanente non ha destato l'attenzione di alcune rispettabilissime testate nazionali, che hanno pensato bene di continuare a pochi mesi dalla Conferenza diplomatica di Roma delle Nazioni Unite a ritenere non interessante una campagna radicale che rischia di avere un successo ed una visibilità planetarie.
Sono anni che Emma Bonino e i militanti del partito radicale si stanno per questo fine, in special modo nel corso di questi ultimi mesi, organizzando conferenze internazionali in tutto il mondo, seguite dalla stampa e dalle televisioni internazionali. E' forse troppo preoccupato il direttore Rossella di tenersi stretta una poltrona ormai sempre più in bilico per rischiare di appoggiare una battaglia di diritto civile promulgata dai radicali, né sia mai che il novello direttore Fucillo ritenga di alcun interesse il fatto che Soros abbia deciso di investire parte del suo denaro in una battaglia radicale.
Gli italiani non devono sapere che da qui a pochi giorni l'Italia sarà al centro dell'attenzione mondiale per essere il paese ospite delle 185 delegazioni dell'ONU per ben 5 settimane. Nessuna risposta alla lettera pubblicata in prima pagina su La Repubblica di qualche giorno fa indirizzata a Prodi e firmata da personalità di altissimo livello d a Conso a Biondi, da Salvi a Scognamiglio, da Mattarella a Pisapia. Una lettera che ricorda l'urgenza dell'impegno politico ed organizzativo del nostro governo su questo appuntamento.
Ma nessun giornale ha esposto con chiarezza cosa è realmente emerso da questo incontro panafricano. Su questioni così importanti in materia di diritto e relazioni internazionali quali la creazione del tribunale penale internazionale il continente africano, da questo punto di vista, riserverà sorprese positive, nonostante sia attraversato da innumerevoli conflitti interni, campi profughi, rigurgiti fondamentalisti e crisi economiche.
Alcuni paesi africani sono tra i più convinti e attivi sostenitori della corte e, negli ultimi mesi, la partecipazione africana ai lavori del Comitato Preparatorio è molto aumentata nel numero di delegati e nella qualità degli interventi. Tra i fondatori dei "like-minded" (un gruppo di Paesi che si autoconvocano dalla primavera del '95 per occuparsi del processo di stesura dello statuto) ci sono due Paesi africani: il Sud Africa e l'Egitto. Ma anche Lesotho, Malawi e Tanzania fanno attivamente parte dei "like-minded". Se si eccettua il caso dei paesi dell'Africa Meridionale, che sono organizzati e coordinati tra di loro non soltanto sulla questione del Tribunale penale internazionale, i vari raggruppamenti geografici o linguistici non rappresento di per sé, elementi di elevata coesione politica, ma possono essere approssimativamente presi come punti di riferimento per passare in rassegna le diverse posizioni, individuando essenzialmente quattro zone: Nord Africa, Africa Occidentale, Cento Sud (SADC), e Afric
a Orientale.
A parte il caso dell'Egitto i paesi del Magreb raramente partecipano ai negoziati; un caso isolato e quello dell'Algeria che a ottobre ha presentato la propria posizione alla VI Commissione dell'Assemblea generale chiedendo la creazione di una Corte effettivamente indipendente dai veti dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. I Paesi francofoni dell'Africa orientale, hanno come punto di contatto l'organizzazione intergovernativa "Francophonie", presieduta dall'ex-segretario generale dell'ONU Boutros Boutros-Gahli.
Durante un recente incontro i Paesi francofoni hanno adottato una risoluzione in cui si fa specifica menzione della corte internazionale e si auspica una posizione positiva comune in materia.
Tra i paesi non francofoni dell'Africa occidentale si distingue il Ghana - patria dell'attuale segretario generale dell'ONU Kofi Annan - che mantiene una posizione decisamente a favore di una corte indipendente in grado di agire in casi in cui le giurisdizioni internazionali non possano o non vogliano iniziare i procedimenti.
Non bisogna dimenticare che i Paesi come il Sudan, l'Etiopia, la Somalia, il Burundi e il Ruanda esiste una situazione di violazioni dei diritti umani che in futuro potrebbe cadere sotto la giurisdizione del tribunale. In Kenya ogni attenzione politica è concentrata sulla situazione interna, recentemente culminata con la tenuta di controversie elezioni. Per quanto riguarda i Paesi Sacd (Southern African Development Community: Angola, Botswana, Congo, Lesotho, Malawi, Mauritius, Mozambico, Namibia, Seychelles, Sud Africa, Swaziland, Tanzania, Zambia e Zimbabwe), si può parlare sia di posizione che di azione comune.
Con l'eccezione del Congo, che per ora non partecipa ai lavori per i ben noti problemi di riassestamento interno, il resto dei paesi membri è attivamente presente ai negoziati sullo statuto. I delegati del Sud Africa, Lesotho, Tanzania, Malawi e Botswana sono tra i più propositivi partecipanti del comitato preparatorio presentando nuovi testi e facilitando compromessi su numerose questioni cruciali ancora aperte. Dopo la fine dell'apartheid, il Sud Africa è al centro dell'attenzione mondiale e della comunità internazionale per i lavori delle "Truth and Recociliation Commission" presiedute dal Vescovo Desmond Tutu, premio nobel per la pace (firmatario dell'appello promosso da Non c'è Pace Senza Giustizia). Malgrado la situazione di grave crisi sociale, politica ed economica, l'Africa può giocare un ruolo di particolare rilevanza per l'istituzione del Tribunale penale internazionale. La partecipazione dei paesi africani nei lavori di preparazione dello statuto è di ottimo livello e sta contribuendo di fatto ad
evitare che la creazione del Tribunale sia percepita dalla comunità internazionale come un'imposizione dei paesi ricchi su quelli poveri.
Il dibattito sulla creazione del Tribunale penale internazionale è dunque per ora sfuggito alla conflittualità proprio del confronto Nord-Sud, così determinante in altri forum relativi alle politiche di sviluppo ed ambientali.