"MAI PIU' MASSACRI IMPUNITI"Intervista di Raffaella Menchini
ROMA - Una corte mondiale per i crimini contro il mondo. Ruanda, ex Jugoslavia, e non solo. Un tribunale cui rivolgersi in qualsiasi momento, a qualsiasi paese si appartenga, se la giustizia interna "non può o non vuole" compiere il proprio dovere di fronte a crimini di varia portata: genocidio, crimini contro l'umanità, crimini di guerra.
L'appuntamento per il trattato che segnerà la nascita del Tribunale penale internazionale permanente delle Nazioni Unite è fissato a Roma dal 15 giugno al 17 luglio. Ma i prevedibili (e già insorti) nodi del negoziato sono stati già affrontati in molti incontri preliminari. Un "pellegrinaggio", come lo definisce la commissaria europea per gli aiuti umanitari Emma Bonino, necessario per ampliare il più possibile il numero dei paesi che parteciperanno al negoziato. Proprio una "Parigi - Dakar della trattativa", comincia in Francia e in questi giorni approdata in Senegal, con la conferenza panafricana dedicata al TPI e presieduta dal Capo di Stato del Senegal Abdou Diouf, insieme a Bonino. Gran patron dell'iniziativa, il finanziere - benefattore internazionale George Soros: a buon diritto, visto che ricorda Bonino, "ha finanziato un terzo di questa campagna preparatoria".
Commissaria Bonino, l'Africa è uno dei punti caldi del pianeta dal punto di vista delle questioni che il Tribunale dovrà trattare. Come viene accolta questo idea?
"Qui a Dakar ci sono oltre 25 paesi che sostengono la costituzione del Tribunale. La funzione di deterrenza del Tribunale sarà concretamente messa alla prova in molte regioni del continente in cui sono in corso conflitti interni e molte violazioni del diritto umanitario. Quindi è importante che questi paesi partecipino attivamente, anche perché la composizione del Tribunale sarà decisa in base al negoziato e quindi - per evitare conflitti Nord - Sud che abbiamo già visto in altri organismi internazionali - è importante che più paesi possibile comincino sa subito ad essere coinvolti".
A differenza dei tribunali internazionali "da hoc", il Tribunale permanente potrà intervenire in qualsiasi paese. Ci sarà pure qualcuno che teme "invasioni di campo"
"La sovranità giuridica è centrale. E' importante delimitare il campo: io sono per partire con un Tribunale magari con poche competenze ma molto autorevole. Poi si potrà ridiscutere il mandato. La base per stabilire i crimini sono le Convenzioni internazionali siglate dai paesi aderenti. Però i reati internazionali sono tanti, circa 24. Noi non pretendiamo che il TPI si pronunci su tutto, dalla pornografia all'ambiente: solo crimini contro l'umanità, genocidio e crimini di guerra, secondo le definizioni delle Convenzioni. E poi il Tribunale non si sostituirà alla giustizia interna , ma interverrà solo quando essa non può o non vuole intervenire".
I tribunali "ad hoc" attualmente in funzione, come quello per il Ruanda o per l'ex Jugoslavia, lavorano fra enormi difficoltà. Non teme la stessa fine per un istituto permanente?
"Intanto i casi dei due tribunali dovrebbero passare sotto la nuova corte, senza effetti retroattivi. Però ci vorranno almeno 2 - 3 anni prima che il TPI entri in funzione, e si spera che nel frattempo le due corti ad hoc abbiano finito il loro lavoro. Comunque quell'esperienza è importantissima proprio per capire dove sono le difficoltà. Per esempio: che rapporto istituire con le forze di peace-keeping? Il procuratore potrà chiedere al Consiglio di sicurezza dell'ONU di allargare il loro mandato in modo che possano arrestare i sospetti? Tutto da decidere".
E poi c'è il problema dei soldi
"Infatti il nuovo Tribunale dovrà essere parte integrante del bilancio delle Nazioni Unite. Quello dell'Aja oggi vive con un fondo di contributi volontari, che regolarmente qualcuno si dimenticava di versare".
Quale sarà il rapporto con il Consiglio di sicurezza dell'ONU? Non si rischiano conflitti di competenza?
"Questo è uno dei problemi politici aperti. A Roma si discuterà e l'Italia, come paese ospite, avrà il maggior dovere di mediazione. Alcuni paesi vorrebbero un Tribunale totalmente indipendente, altri vorrebbero vederlo più legato al Consiglio di sicurezza".
Chi, per esempio?
"Ma, sarà un caso: i paesi che sono membri permanenti del Consiglio di sicurezza. Tranne la Gran Bretagna, che ha preso una posizione disomogenea rispetto a Francia e USA, e chiede un tribunale del tutto autonomo dal Consiglio. Il problema, comunque, sarà stabilire regole trasparenti nei rapporti tra i due organi perché il problema della competenza c'è: la Carta dell'ONU dà al Consiglio il compito di garantire pace e stabilità".
Lei ha parlato di funzione deterrente del Tribunale. Pensa che possa in parte sostituire la funzione avuta finora dalle minacce militari?
"No, assolutamente. Il Tribunale sarà uno strumento complementare rispetto a quelli tradizionali: la diplomazia, i rapporti economici e politici, anche le vie militari. Avrà bisogno delle forze di peace-keeping per lavorare, come si è visto per il tribunale dell'Aja. Non dobbiamo avere troppe aspettative: meglio partire piano ma con forza".