L'ISTITUZIONE DI TRIBUNALE PENALE INTERNAZIONALE PERMANENTE A ROMA L'ESTATE PROSSIMA, UN'OCCASIONE STORICA PER L'ITALIA.
di Marco Perduca
Cinquanta anni dopo il processo di Norimberga, la comunità internazionale sembre essere decisa ad istituire un tribunale penale internazionale permanente per giudicare i crimini di guerra, il genocido e i crimini contro l'umanità. Dal 1995, all'Onu si lavora per preparare lo statuto della corte. A partire dalla metà di marzo, a New York si terrà per tre settimane l'ultima sessione di negoziati del trattato internazionale per la creazione della corte. Il testo negoziato all'Onu dovrà essere pronto per la firma a Roma quest'estate.
Durante gli ultimi due anni, i negoziati al palazzo di vetro sono stati accompagnati da altri forum pubblici e riunioni a porte chiuse che hanno fatto diventare l'istituzione del tribunale permanente una delle più celeri riforme della comunità internazionale. Dalla proposta radicale, fatta da Emma Bonino nel 1994, della fissazione del luogo e della data per la conferenza diplomatica, i 185 paesi dell'Onu hanno lavorato ad una velocità, e con un impegno, assolutamente eccezionali per le Nazioni Unite. La conferenza di plenipotenziari, che inizierà in concomitanza con l'ultima riunione del Consiglio di Europa sotto la presidenza inglese, puo' divenire l'appuntamento più importante del secolo per la comunità internazionale. Dopo le guerre di Corea, Vietnam, Afghanistan, ex-Yugoslavia e Ruanda, forse il mandato fondativo delle Nazioni Unite, garantire e mantenere la pace e la sicurezza in tutto il mondo, potrà avere uno strumento per essere rispettato con efficacia.
Malgrado la celerità dei negoziati rimangono ancora numerosi nodi politici da sbrogliare. Nel suo discorso all'inaugurazione della 53a Assemblea generale, Bill Clinton ha affermato la convinzione USA circa la necessità della creazione di un tribunale internazionale entro la fine del millennio. Il nuovo corso della diplomazia americana sul tribunale consiste nel proporre come esempi di possibili scenari futuri, la pratica dei due tribunali ad hoc, istituiti dal Consiglio di sicurezza nel 1994 e 1995, basati più su principi di 'common law' che lasciano maggiore discrezionalità al giudice e che sanciscono la regola del precedente. Come immediata conseguenza di questo apparente cambiamento di rotta, il team di esperti del Dipartimento di Stato ha dimostrato un atteggiamento più aperto durante i negoziati sullo statuto, mentre l'Ambasciatore Scheffer, capo della delegazione, è partito per una lunga tournée che lo ha portato prima nei paesi vittime di conflitti armati, Balcani e Africa centrale, e conseguentemente
in giro per le maggiori università americane, per motivare la nuova posizione dell'amministrazione Clinton.
Alla fine di febbraio, a Londra, si è tenuto un incontro dei ministri degli esteri e della giustizia dell'Unione europea in cui gli stati membri hanno cercato di raggiungere, senza successo, una posizione comune in vista dell'ultima sessione preparatoria dello statuto. Le reticenze maggiori vengono dalla Gran Bretagna e dalla Francia. Sebbene gli inglesi abbiano dimostrato al palazzo di vetro di essere disposti al compromesso per quanto riguarda il ruolo e i poteri del Consiglio di sicurezza, la loro presidenza dell'unione non ha particolarmente favorito mediazioni specifiche fra i 15. La Francia, dietro le continue pressioni del ministero della difesa, resta riluttante all'idea di una corte che possa processare i propri soldati in missione di pace e quindi preferisce che gli europei vadano ciascuno per la propria strada senza accordarsi su una posizine comune. Italia, Germania e Belgio hanno partecipato all'incontro con precise istruzioni di scongiurare compromessi al ribasso tesi a minare l'indipendenza e
l'efficacia della corte. La mancanza di compattezza tra gli europei evita di fatto una netta contrapposizione con gli Stati Uniti.
Durante le prossime settimane a New York, esperti legali di tutto il mondo saranno chiamati a prendere in considerazione le ultime questioni rilevanti dello statuto del tribunale: dalla sua composizione al rapporto con l'Onu, dal finanziamento alle modalità effettive della sua istituzione. Si tratterà di un organo come l'International Court of Justice, che richiese un emendamento alla carta delle Nazioni unite, oppure si tratterà di un trattato internazionale ratificato da almeno 20 stati membri? Dovrà essere finanziato dagli stati che ne faranno parte oppure da coloro i quali ne richiederanno l'intervento? Oppure sarà finanziato dal budget regolare dell'Onu con possibilità di raccolta ulteriore di fondi volontari tra gli stati membri più generosi e/o soggetti privati? A tutte queste questioni verrà data una risposta orientativa a New York nei prossimi giorni, ma le decisioni finali saranno rimandate a Roma.
Al Governo italiano, in linea con il ruolo di leadership tenuto negli ulitmi anni, spetta il compito gravoso di garantire il miglior funzionamento possibile della conferenza diplomatica per preparare la strada ad una pronta ratifica, e quindi istituzione, del migliore tribunale possibile durante i mesi immediatamente successivi a Roma. Il compormesso è la regola nei negoziati, ma una corte creata a tutti i costi, politicamente dipendente, inefficacce e ingiusta potrebbe essere assai peggio di niente.