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Conferenza Tribunale internazionale
Palumbo Stefano - 8 aprile 1998
LIBERAL GIOVEDI', 2 APRILE 1998
QUEL GIUDICE MITE CACCIATORE DI BELVE

LA TENACIA DI LOUISE ARBOUR HA DATO UNA SVOLTA AL TRIBUNALE PER I CRIMINI DI GUERRA

Di: Giuseppe Cruciani

Ora che ha messo in riga il governo francese, che il suo tribunale ha acquistato rispetto e prestigio e lei può dirsi sicura che Radovan Karadzic e Ratko Mladic si consegneranno "presto, molto presto", tutti hanno preso a chiamarla il "giudice di ferro". Ma Louise Arbour, procuratore dei Tribunali ad hoc per i crimini commessi nella ex Jugoslavias e in Ruanda, del giustiziere non ha davvero il phisique du role. Minuta, sempre preoccupata per il suo peso, ben pettinata, sembra quasi fuori posto nei luoghi di guerra e devastazione che deve frequentare. Eppure con il suo impegno ha mutato le sorti del primo esperimento di giustizia internazionale dopo il processo di Norimberga. Con una fissazione: "E' intollerabile che persone accusate di crimini orrendi possono restare in libertà solo perché la comunità internazionale non fa nulla oppure perché certi Paesi non si muovono".

Fino alla scorsa primavera nelle carceri dell'Aja, dove ha sede il Tribunale, c'erano solo sette detenuti ed era stata emessa una sola condanna. Per non parlare dell'altra Corte, quella di Arusha (Tanzania) per il Ruanda, dove i processi non erano nemmeno iniziati. "Non è nei nostri compiti arrestare i criminali di guerra", dicevano i responsabili della NATO, timorosi di mettere in pericolo la pace di Dayton. Il Tribunale stava diventando un simbolo per pulire le coscienze di chi non aveva saputo impedire i massacri. Le aule erano poche, i soldi pure, l e grandi potenze indifferenti, le procedure poco chiare. "Eravamo impotenti, potevamo indagare, accusare, ma non riuscivamo ad arrestare nessuno", ricorda la Arbour. "A quel punto ho deciso di cambiare registro", spiega, "e per prima cosa ho reso segreti gli atti d'accusa; prima tutti sapevamo chi stavamo ricercando, nomi e cognomi, e forse nei primi anni il tribunale aveva bisogno di pubblicità; adesso la riservatezza degli atti ha dato alle truppe della NAT

O un grande vantaggio, o frese ha tolto loro una scusa per non agire". La svolta è arrivata con il raid dei soldati britannici a Prijedor quando un serbo- bosniaco rimase ucciso. Da allora altri blitz, arresti, alcuni si sono costituiti, altri sono stati costretti a farlo. In prigione in Olanda ci sono adesso più di venti persone, sulle 75 messe sotto accusa, sono in costruzione altre aule, e sono in arrivo più fondi dall'ONU, oltre 70 milioni di dollari quest'anno contro i 48 del 1997. Che per la Arbour "sono sempre pochi, se si pensa alla complessità delle inchieste".

Per ottenere questi risultati, la Arbour ha dovuto anche sfidare la Francia, che si rifiutava di collaborare col Tribunale. "E' una giustizia spettacolo", aveva detto il ministro della Difesa Alain Richard. Lei non si è persa d'animo e sbarcata un giorno a Parigi ha chiamato i giornalisti denunciando che ai soldati francesi veniva impedito di venire a testimoniare. Non solo: in Bosnia "i ricercati si sentono al sicuro nel settore francese", ha rivelato. Da allora la stampa ha messo alle corde il governo e pochi giorni fa il ministro degli Esteri Hubert Védrin è stato costretto a fare marcia indietro. Una bella vittoria. Come quella ottenuta all'inizio del suo mandato, nell'ottobre del 1996, quando convinse l'ONU che gli Stati erano stati obbligati a consegnare i documenti per le inchieste. "Non era previsto nei miei poteri, ma non era scritto nemmeno il contrario", confessa. Una rivoluzione, la stessa che ha in mente anche per l'altro tribunale, quello per il genocidio in Ruanda per il 1994. Visto che i temp

i sono lunghissimi e i criminali arrestati pochi, il procuratore vuole fare una nuova Norimberga, un unico grande processo.

Stupisce che prima di arrivare all'Aja Louise Arbour non avesse sbattuto in galera nessuno. Nata nel Quebec, di formazione anglosassone, è diventata magistrato molto tardi, dopo una lunga carriera come professore universitario di Diritto penale. Nel 1987 è nominata giudice di prima istanza alla Corte suprema dell'Ontario e nel 1990 arriva alla Corte d'appello. Non esita a prendere posizioni scomode, come quando difende i diritti degli uomini nella legge contro la violenza sessuale, giudicata poi incostituzionale, prendendosi gli insulti di tutte le femministe canadesi. Oppure quando cerca di bloccare il processo a un presunto criminale nazista, Imre Finta, che poi verrà assolto. Da vicepresidente dell'Associazione per le libertà civili riesce a far concedere il diritto di voto ai carcerati perché, disse, "possono leggere i giornali come tutti i cittadini", e prima di diventare procuratore del Tribunale internazionale costringe alle dimissioni il responsabile delle carceri canadesi dopo un'inchiesta sui sopru

si commessi dai secondini nella prigione femminile di Kingston.

Anche ora che deve portare alla sbarra alcuni tra gli uomini più mostruosi sulla faccia della terra, Louise Arbour pensa che "ci vogliono prove schiaccianti". Pure i peggiori criminali di guerra "non possono aspettare mesi prima di essere processati". Quando le obiettano che gli accusati restano pochi rispetto all'enormità dei crimini commessi nella ex Jugoslavia e in Ruanda, si inalbera: "I nostri investigatori lavorano in ambiente ostile, le indagini sono difficili e costose; per ogni inchiesta potremmo mettere sotto accusa centinaia di persone, ma non servirebbe a nulla perché ci vorrebbero decine di anni per condannarli, e allora puntiamo solo sui casi più rilevanti". Il metodo funziona. Ma non ha fatto aumentare i rischi. Ora i suoi spostamenti sono continuamente sorvegliati dagli uomini della sicurezza speciale dell'ONU. Quando deve telefonare utilizza sempre una linea speciale. Anche i tre figli avuti da un magistrato canadese, Lerry Taman, vivono protetti e lei preferisce non parlarne mai: è terroriz

zata dall'idea di una vendetta. Forse è per questo che tiene molto ai programmi di protezione dei testimoni, una questione irrisolta per mancanza di fondi. "Ma se chi ha visto commettere le stragi non ha garanzie precise, non verrà mai allo scoperto", dice. E la prossima battaglia della Arbour, assieme a quella che si giocherà a giugno a Roma per la creazione di una Corte penale permanente. E difficilmente Louise Arbour accetterà la nascita di un tribunale che dipenda solo dalla buona volontà degli Stati. Lei, il magistrato tough, come l'ha chiamata l'artefice della pace in Bosnia, Richard Holdbrooke, non accetterebbe mai di fare il giudice dimezzato.

 
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